Pov's Asahi
Credo che Rin e Haru siano persone davvero divertenti, sembrano l'esatto contrario, eppure vanno così d'accordo... Da quando sono ospiti al mio palazzo passiamo molto tempo insieme, a ridere e confidarci. Ma, dentro dentro, il loro amore mi fa star male. O meglio, il mio amore mi fa stare male. Il principe è riuscito ad amare l'uomo che voleva, io invece sto facendo l'errore più grande della mia vita. Quel vagabondo con un piede nella fossa non ha un titolo, non ha un soldo, ha solo quel suo sorriso abbagliante . Ma Per mio padre non è abbastanza. Per mio padre c'è bisogno di una donna. PEr questo non posso amare la persona che desidero, perché Kisumi non è una donna. Non sa neppure il mio nome, un po' perché non voglio che conoscendo la mia natura da reale cambi il suo atteggiamento nei miei confronti, ma in verità non voglio dire il mio nome perché ancora io non mi sono rassegnato all'amare un uomo.
Spingo la porta cigolante ed entro nella stanza del ragazzo, mentre schivo a fatica il comodino col carrello pesante che mi tocca portare, noto che è già seduto sul letto, guardando fuori, con lo sguardo perso. Mi affianco silenziosamente, cercando di non distrarlo da ciò che stava così attentamente osservando. Dopo attimi lunghi ed interminabili gli chiedo con voce sommessa "a che pensi?" Quello mi scruta assente, come si fosse risvegliato da un sogno durato più della sua stessa vita. "Niente... Ero lontanissimo... Ad Ithriya..." non mi ha mai esplicitamente parlato del suo luogo di nascita, ma me ne aveva accennato il principe. " così vieni da una città di mercanti... Deve essere bello aver ascoltato storie da tutto il mondo, ma raccontami della tua di storia ." Lo guardo rapito. Sembra prendere un respiro profondo. Poi apre la bocca, ma le parole non escono per lunghi minuti. Così rimango ad aspettarlo, convinto che prima o poi mi racconterà di lui. Dopo un tempo interminabile fa come un sorriso stolto, Si gira verso di me cogliendomi alla sprovvista."Ithriya non era solo una città di mercanti, ma anche di chi non è riuscito a realizzare il proprio sogno. Mio padre. Non so molto di lui. Non ci ho mai veramente parlato. So che da giovane voleva girare il mondo, accompagnava sempre un nobile viaggiatore per tutta la Siria, conoscendo persone e vedendo luoghi indescrivibili. So che il suo sogno era quello di fare soldi, vendendo piccoli gioielli laddove si fermava insieme al suo compagno di viaggio, E, una volta diventato abbastanza ricco, voleva girare oriente ed Occidente. Ma come ho detto, Ithriya è la città dei sogni falliti. Così, quando arrivarono a questo paese maledetto, mio padre fu accusato di aver venduto un gioiello rubato al nobile che lo accompagnava nei suoi viaggi strambi. Così mio padre, giovane e senza un soldo in tasca, fu abbandonato dai suoi compagni di viaggio in una sperduta città di mercanti, da dove non riuscì mai a scappare. E da lì comincia la storia. Era sempre stato un uomo malinconico, così diceva mamma, probabilmente a causa dei suoi sogni mai realizzati. Io sono stato il primo genito, quando sono nato ero la luce negli occhi mia madre, il suo tutto, la sua ragione di vita. Mio padre non mi guardava neppure, era sempre rinchiuso nel suo studio, a far non si sa che cosa. Ma tutto si complicò quando, per sbaglio, nacque Hayato. Non siamo mai stati ricchi, eravamo persone normali, ma che non si potevano permettere una seconda bocca da sfamare. Così mia madre diventò una persona stressata, in balia di due figli, e mio padre non lo vidi quasi più, non veniva a cena, né a pranzo, non mi salutava quando arrivavo in casa, stava sempre chiuso nel suo ufficio. Quando poi Hayato raggiunse i tre anni, come una maledizione mia madre rimase ancora incinta. Entrambi diedero di matto, nessuno si curava più di Hayato E io non vedevo mio padre da mesi. Quando lo rividi fu soltanto il giorno in cui mamma stava partorendo. Era come se si fossero passati il testimone, perché da quel giorno non vidi più mia madre, e mai seppi chi fosse il bimbo che teneva in grembo. Da quando quella morì in casa si creò come una perenne malinconia. Mio padre diventò violento. Una sera scoprii cosa faceva nel suo ufficio. Beveva. E si drogava. I pochi soldi che riuscivamo a guadagnare finivano in quelle sostanze stupefacenti che si permetteva di comprare. E così funzionava la nostra giornata. Fino a sera dovevo badare a un fratellino che non riusciva più neppure a parlare, Poi la sera mio padre scaricava su di me la sua sofferenza, lanciando le bottiglie di vino vuote e menandomi per ogni sua colpa. Ad una certa era arrivato ad accusarmi della morte di mia madre. Ma un ragazzino di 10 anni non può badare a un bambino di quattro. Così Hayato raggiunse il resto della famiglia dove solo Dio sa. E io rimasi da solo, con un padre violento in una casa che odorava di morte. Non avevo più una ragione di vita. Ma avevo da rispettare una promessa. Le ultime parole di mia madre. Risuonano ancora nelle mie orecchie, la sua voce mi ricorda il rumore delle spighe di grano mosse dal vento "Kisumi... anche se il mondo fosse contro di te, anche se tutto dovesse andare storto... tu non ti arrendere, sii sempre coraggioso e gentile... con chi ti ama e con chi ti odia... e soprattutto... soprattutto non morire, vivi. Vivi la tua vita, e non permettere a nessuno di sottrartela."
Per questo ho stretto i pugni e digrignato i denti, ho staccato gli occhi dagli ostacoli per guardare al traguardo: a quando finalmente sarei evaso da quella prigione." Mi guarda con occhi assenti "e alla fine ci sono riuscito"
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Hibiscus
FanfictionHibiscus. È il fiore dell'amore delicato e fugace, Dell'innocenza e della lealtà, è questo che pensa Haru mentre scivola nella fauci dell'acqua, e quello che pensa Rin mentre guarda il suo futuro regalo. Il primo non ha casa e non ha famiglia, il se...