Pov's Kisumi
Se dovessi spiegare ad un ceco il rosso, gli direi di chiudere gli occhi e di guardare in alto. La mia era una piccola cittadina, e non c'era lo svago e il fermento dei ricchi. Spesso quindi, in primavera, quando il clima non è afoso e il cielo pulito, ricordo di essere andato più volte in un parco vicino casa; di essermi accovacciato sul manto verde sfavillante e di avere chiuso gli occhi. Per ore rimanevo in quella posa, le ginocchie strette al petto, il capo all'indietro e i muscoli rilassati. Ricordo che in molti mi dicevano di essere strano: i miei amici giocavano alla lotta e scherzavano tutto il giorno, mentre agli adulti, sembrava strano un bimbo che meditava in silenzio. Spesso mio padre, uomo da balorgia, mi incitava a divertirmi con lui, ma io , in quei momenti non ci riuscivo, in quei momenti avevo bisogno solo di me stesso e del silenzio. Anche se quest'ultimo, come imparai negli anni, non esiste. E quindi stavo lì, annusando il cielo e ascoltando le nuvole, godendo dei raggi caldi sulla guancia e dell'erbetta pungente sui palmi. Ricordo di avere scoperto tante cose in questo modo. Come che le nuvole si muovono. All'inizio non ci credevo, le guardavo e mi stropicciavo gli occhi, pensando di essere in preda ad un illusione. Invece le nuvole si muovevano davvero, e cambiavano anche forma. Ho anche capito che anche i prati verdi e i cieli limpidi, la primavera stessa, hanno un odore. Ha un odore leggero e caldo, un odore nostalgico, che ricorda quando corri nei campi freschi e ventosi. E poi ho capito la cosa più importante: il silenzio. Perché il silenzio, Non esiste. C'è sempre un suono, un flebile rumore almeno, che annulla quella mera illusione. Infatti anche in un campo isolato, dove io ero l'unico seduto su quel velluto verde, non esisteva un vero silenzio. Quindi mi distendevo. Aprivo i pugni, distanziavo le dita, rilassavo ogni mio muscolo, ogni fibra del mio essere, mi sentivo parte di quella distesa di verde. E allora lasciavo che i miei sensi si impadronissero di me e del mondo. Sentivo la minuscola formica sulla mia mano e il timido sole sulle mie palpebre. Vedevo attraverso il sottile strato di pelle la luce del sole, bella e nociva, indescrivibile. Ma soprattutto ascoltavo. Il rumore del vento fischiare fra i fili e librarsi sopra di me. Imparai che anche le nuvole hanno un rumore, dolce e ovattato, udibile solo se conosciuto. Poi c'era il fruscio delle foglie mosse dagli zefiri sereni e nostalgici. E tutti i rumori della vita. Gli animali e le piante, tutte le colonie che abitavano quel prato. C'erano anche, in lontananza, le voci del paese: i miei compagni giocosi e le vecchiette stizzose. E di sottofondo il mio respiro; profondo e sincero, parte di quel prato primaverile. E così rimanevo fino a quando il sole tramontava, lasciandomi cieco e tutt'uno col terreno. E poi lentamente un uomo arrancava la collina. Era il vecchio Hymaa, e forse lui soltanto mi capiva, mi diceva di tornare di corsa a casa prima che mio padre lo scoprisse. Già, mio padre.
Ed ora c'è la stessa luce.
L'ospedale è fatto da un tetto in vetro, da cui filtrano i raggi di un sole tiepido e nostalgico. Cerco invano L'erba fra le mie dita. Sento il corpo a pezzi. Non ho il coraggio di aprire gli occhi. A spezzoni ho sentito il principe e Haru parlare con l'infermiere. Ho un forte mal di schiena e un dolore mi lacera lo stomaco, poi, ogni poco, il tutto è coronato da una fitta stordente alla testa. Ma almeno non sto tremando. È da molto che non avevo un momento di riposo. Era già da un'eternità che non smettevo di tremare, non riesciuvo a fermare le gambe e la schiena, e i denti cozzavano uno contro l'altro. Mi pare di ricordare il dottore dire che la mia è una influenza piuttosto grave, di avere la febbre che sfiora i 40. Spesso la mia coscienza va e viene. Se non fosse per questa finestra che mi intorpidisce piacevolmente non saprei neppure se è giorno o notte, adesso per esempio: non so neanche se è mattina o pomeriggio, quanti giorni sono passati. Sono rari i casi di malati così gravi che sopravvivono, poi, spesso, passa un nobile o un uomo di chiesa, A pregare o augurare ai feriti.
Ed ecco che piombo fra le brame oscure dell'incoscienza.
Ed eccomi in un nuovo viaggio lontanissimo, ma mentre prima quei campi irradiati da un sole primaverile era qualcosa di caldo e stabile, non si può dire lo stesso di ora. Ricordi sconnessi, spezzoni della mia vita, lacrime e furbate, tutto attraverso la mia coscienza, scandito dalle fitte febbrili. Il ricordo della volta in cui intaccai le provviste per l'inverno, o quando feci piangere mia madre, perché, in un atto di ribellione, volevo a tutti costi i capelli lunghi. Ma anche ricordi felici, come quando era nato Hayato, e ricordi tristi, come la sua tomba. E sprazzi di terrore, l'ansia di quando presi Animo, Convinto a scappare. La prima notte che lo misi nelle stalle, il terrore di essere scoperto. Sento di muovermi eccitato, un dolore lancinante al piede, come se avessi sbattuto contro qualcosa. Eppure non mi fermo, sono in preda all'ansia, alla pazzia. Via via che il ricordo di mio padre che sale sinistro le scale, iracondo con un coltello in mano svanisce, comincio a sentire delle voci esterne, qualcosa di ovattato e confuso, con poca logica e a dalla poca rilevanza. Riconosco il principe Rin chiamare il mio nome. E poi di scatto apro gli occhi. Dopo essermi abituato ai fasci di luce del cielo di vetro, mi focalizzo su cosa ho davanti: un ragazzo come me, della mia età. Ha gli occhi viola, più scuri dei miei, e i capelli sono scarlatti, arruffati e gonfi come non credevo possibile. So di non essere consapevole, che la febbre sta affinando i miei pensieri. Alzo il braccio e poso la mano su quei capelli ribelli, e poi li spettino per qualche secondo, sorprendendomi di quanto siano morbidi. Sorrido come un ebete e continuo a guardare in faccia il ragazzo. Nella sala sento la tensione palpabile, così mi riaddormento codardo con la mano in quei capelli soffici.Angoletto -_-
Ho aggiornato velocemente che avevo voglia di scrivere, comunque credo abbiate capito chi è il "ragazzo coi capelli arruffati" XD
Gomen nasai il piccolo Hayato è morto T-T però cercherò di scrivere anche una storia fraterna, su Hayatino che tipo mi sento un mostro
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Hibiscus
FanfictionHibiscus. È il fiore dell'amore delicato e fugace, Dell'innocenza e della lealtà, è questo che pensa Haru mentre scivola nella fauci dell'acqua, e quello che pensa Rin mentre guarda il suo futuro regalo. Il primo non ha casa e non ha famiglia, il se...