Capitolo 2

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Era appena suonata la campanella di fine lezioni.

Così come ogni giorno, presi i miei libri e uscii come un razzo dall'aula.

Solo a metà strada verso casa, mi accorsi di aver lasciato il quaderno sotto il banco.

Corsi indietro e ritornai a scuola, la quale fortunatamente era ancora aperta.

Andai in classe e vidi che oltre a me, c'era anche James.

Restai a fissarlo per un istante, senza dire nulla.

"Che ci fai qui?" Chiesi, diffidente.

"Non sono affari tuoi." Rispose.

"È vietato rimanere a suola dopo le lezioni." Dissi, e mi avviai verso il mio banco.

Presi il quaderno.

"E con ciò?"

"Verrai espulso."

"Non m'importa." Rispose indifferente.

"Sei un imbecille."

"E tu una stronza."

"Evapora." Uscii dalla classe e mi diressi verso l'uscita.

Le luci erano state spente e nei corridoi regnava il silenzio.

Cercai di aprire la porta ma non riuscivo.

Ci riprovai a non successe nulla, la porta non si apriva.

L'ansia cominciò a nascere in me.

"Probabilmente l'hanno appena chiusa a chiave." Disse James, dietro di me.

"Tu! È solo colpa tua se ora non posso più uscire!" Urlai, disperata.

"Cosa c'entro io?"

"Esisti!"

"Sembra proprio che verrai espulsa anche tu." Canticchiò.

"Aprite! C'è qualcuno là fuori? Aprite!" Urlai queste parole a ripetizione per almeno mezz'ora.

Nessuno rispose.

Erano già le sei e non avevo nemmeno il cellulare per chiamare casa perché mi ero dimenticata di prenderlo la mattina.

Ritornai in classe e mi sedetti a terra contro il muro.

Ricordo bene, la risata di James in quella circostanza.

Quella situazione non sembrava affatto spaventarlo, anzi, lo divertiva come nient'altro.

Ero intrappolata a scuola, senza cellulare, senza cibo e con uno schifosissimo scarafaggio che non la smetteva di ridere.

La cosa peggiore però è che probabilmente, mi avrebbero espulsa quel domani.

Cominciai a piangere, anche se James era lì, non m'importava più di nulla ormai.

Smise di ridere e venne a sedersi accanto a me.

Non disse nulla per un po.

Penso che fosse per il fatto che era qualcosa di nuovo per lui, vedermi piangere.

"Scusami." Disse.

Per un attimo rimasi sorpresa, poi mi arrabbiai di nuovo.

"Non voglio la tua compassione."

Risposi, asciugandomi gli occhi. "Non è compassione." Ribatté. "Non voglio che ti espellano."

"Non ti credo."

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