Capitolo 13

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L'inverno se ne andò via lentamente, lasciando il posto alla primavera.
Era trascorso quasi un mese dalla partenza di James.
Non riuscivo a uscire da quella situazione, in quanto non la smettevo di contare i giorni passati senza di lui.
Continuavo a scrivere lettere destinate a rimanere nel cassetto della mia scrivania.
Spesso mi soffermavo a pensare sul motivo per cui non si era più fatto sentire.
Più provavo a trovare una risposta e più la mia tristezza si trasformava in rabbia.
In quel periodo, stavo spesso zitta e sola.
Non parlavo nemmeno con Marianne, che cercava sempre di farmi sorridere.
Dicevo di stare bene, ma più lo dicevo e meno era credibile.
Cercavo di convincere più me che gli altri.
Cosa mi stava succedendo?
Perché non riuscivo più ad essere quella di prima?

Fu solo verso la metà di febbraio che George cominciò a confidarsi con me.
Parlavamo spesso, di quello che gli succedeva, di come non sapeva più cosa fare.
Era sempre la stessa storia, prometteva di smettere il giorno dopo, ma ogni volta che arriva quel momento, rimandava sempre.
Ecco il problema più grande dei drogati, rimandare.
Capii col tempo molte cose riguardo quella cerchia della società umana.
Illudersi era il loro modo per non sentirsi in colpa.
Il fatto era che, più che dipendenza era un problema psicologico.
"Perché lo fai?" Chiesi un giorno a George.
"Non lo so." Disse con gli occhi più vuoti che avessi mai visto. "È il modo più semplice per scappare dai problemi che mi circondano."
"Non serve a niente scappare dai tuoi problemi perché prima o poi li dovrai affrontare.
Più li rimandi e più diventano difficili da risolvere."
Non disse nulla, semplicemente rimase a guardare l'asfalto grigio sotto i suoi piedi.

Verso la fine di quel mese, Marianne venne a casa mia.
Sprizzava felicità da tutti i pori.
Non l'avevo mai vista così entusiasta.
Salì in camera mia e cominciò a urlare. "Indovina??"
"Cosa?" Chiesi che più calmi di così non si poteva.
"Hai l'amica migliore del mondo."
Risi. "Cos'è successo."
"Mh, dammi un motivo per cui dovrei dirtelo." Disse girando e rigirando un foglio tra le mani.
"Ti prego."
"I miei hanno trovato il numero di James!"
Fui talmente sorpresa che non seppi cosa dire.
"Allora? Non sei felice? So che sei stata male per quello li, per il fatto che non ti ha nemmeno salutata quando se n'è andato, dunque ho chiesto a mio padre di chiedere ai Hood il numero di James e voilà." Disse porgendomi il foglietto.
Ero così felice che cominciai a piangere.
"Hey, ma che fai? Ti metti a piangere? Senti non ho fatto tutta questa fatica perché tu scoppiassi a piangere." Borbottò.
"Sei la migliore Mari." Dissi singhiozzando.
Mi asciugai gli occhi e sorrisi.

Il cielo di quella notte era costellata da migliaia di stelle.
Ero ancora sveglia nonostante fosse l'una di notte.
Continuavo a fissare quelle meravigliose stelle brillare in tutta quell'oscurità.
Il vento continuava a soffiare e a spettinarmi, ma era piacevole stare lì e non pensare a nulla.
Chiusi gli occhi per un istante e il suono dei fuochi d'artificio di quella notte rimbombò nella mie orecchie come se fossero stati lanciati in quell'esatto momento.
Avevo il cellulare in mano e il foglio con scritto il numero di James.
Non gli avevo ancora telefonato.
Non sapevo cosa dire, o semplicemente avevo troppe cose da dire e non sapevo da cosa cominciare.
Più di tutto, avevo paura che si fosse dimenticato di me e non mi avrebbe riconosciuta.
Dovevo decidermi.
Strinsi forte il cellulare e rientrai in camera.
Presi un lungo respiro e premetti i numeri.
Suonava, quel suono sembrava durare secoli.
"Pronto?" Rispose una voce femminile.
Restai in silenzio.
Sentii la voce di James dall'altra parte.
"Cazzo Danielle, mi hai rotto."
"Ahaha, e dai James, era solo per scherzare."
Sorrisi.
Quel sorriso conteneva tutto il dolore che avevo cercato di sopportare fino ad allora.
"Pronto, chi sei?" Chiese James.
Rimasi zitta.
"Pronto?" Ripeté.
"Scusa, devo aver sbagliato numero." Mormorai, cercando di trattenere le lacrime.
"Hey, ma chi sei?" Insistette.
"Scusami ancora."
"A..."
Chiusi la chiamata e lanciai il cellulare contro il pavimento.
Mi distesi sul letto e scoppiai a piangere.
Sembravo un fiume in piena, una giornata di pioggia intensa.
Non sapevo il perché di tutte quelle lacrime, né perché mi sentissi ferita, ma continuai a piangere finché non riuscii ad addormentarmi durante prime ore del mattino.

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