Capitolo 27

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(James' Version) Io e Abby eravamo stati entrambi portati subito all'ospedale, in seguito all'incidente.

Non che fossi rimasto illeso, ma rispetto ad Abby, le mie ferite erano meno gravi.

Avevo ferite dappertutto.

Schegge di vetro erano partite dal parabrezza frantumato.

Sangue.

Ricordo ancora, prima di perdere i sensi, il sangue sparso per i sedili, il vetro, la portiera.

Una forte luce mi colpiva gli occhi, costringendomi a riaprirli.

Ero disteso in un letto d'ospedale, attaccato a fili collegati a chissà dove, e una fascia che mi copriva la fronte.

Sentivo dolore dappertutto, ma specialmente al petto.

Sentii voci, confuse, mormorare qualcosa.

"Si sta svegliando." Disse qualcuno.

"James, mi senti? Stai bene?"

"Cos'è successo?" Chiese un altro.

Troppe domande, non riuscivo a realizzare cosa stava succedendo.

Lentamente aprii gli occhi.

Un gruppo di gente ci guardava dall'alto.

Sembravo una di quelle cavie da laboratorio.

"Toglietevi." Disse un'anziana infermiera facendosi largo tra tutti.

Mi cambiò la sacca contenente l'antidolorifico e mi misurò la pressione.

Controllò che fosse tutto a posto e raccomandò a tutti non sforzarmi troppo.

Dopodiché se ne andò.

Notai Jacob, fra tutti e Mari.

C'era anche i miei e Danielle.

Abby.

L'unica cosa che occupava la mia mente in quel momento era Abby.

"Dov'è?" Chiesi.

Non ebbi nemmeno il bisogno di dire il suo nome che Marianne capì subito.

"È ancora in sala operatoria, sono passati 8 ore da quando l'hanno portata dentro."

Abbassai le palpebre per un istante e respirai a fondo.

Mi misi le mani in testa e pensai.

"Merda." Mormorai fra me e me. "Cosa dicono i dottori?"

"Ha subito gravi lesioni e ha perso molto sangue.

Mamma e George la stanno aspettando fuori dalla sala operatoria." Disse Jacob, con la faccia preoccupata.

"Portatemi lì, portatemi da lei." Dissi, mettendomi su a sedere.

"L'infermiera ha detto che..." Iniziò Danielle.

"Portatemi da lei, cazzo!" Urlai, disperato.

Era tutta colpa mia, era tutta colpa mia se ora ci trovavamo in questa situazione.

Sarebbe stata colpa mia se Abby non ce l'avrebbe fatta.

Sarebbe stata solo colpa mia.

Marianne andò fuori ed entrò con una sedia a rotelle.

Mia madre si oppose ma nessuno l'ascoltò.

Mi portarono di corsa al secondo piano.

Là vidi la mamma di Abby, seduta in lacrime, davanti alla sala operatoria.

Ci avvicinammo silenziosamente.

George era seduto dalla parte opposta, le mani fra i capelli.

"Si sa qualcosa?" Chiesi, ora facendo girare le ruote della sedia da solo.

La madre di Abby alzò la testa e la riabbassò senza dire nulla.

Mi odiava, e non potevo biasimarla.

Tra tutti, ero quello più in collera con me stesso.

Se quella mattina non avessi insistito, se quella mattina avesse preso la metropolitana...

Cazzo.

George mi guardò per un istante e disse semplicemente : "I dottori hanno detto che è in una situazione critica, nient'altro."

"Ma ce la farà no?" Domandai, rifiutandomi di accettare la realtà.

George non rispose.

Odiavo quei silenzi.

Come se la risposta fosse troppo crudele per essere pronunciata e allora lasciavano al silenzio parlare.

Rimasi lì, soffocato dalla realtà.

Era solo colpa mia.

Dopo altre 3 ore, uscì finalmente dalla sala operatoria.

Trasportarono con fretta il letto su cui era sdraiata Abby.

Il primario uscì poco dopo.

Andammo verso di lui.

"La paziente ha subito gravi danni alle ossa della colonna vertebrale, in particolare quelle della cervicale.

Attualmente, non sappiamo ancora quando e se si sveglierà dato che è in uno stato di coma indeterminato.

Inoltre, a causa di una lieve ma significante emorragia celebrare, potrebbe avere dei vuoti di memoria, se non, nelle peggiori delle ipotesi, la completa perdita."

Coma, è in coma.

Quelle parole rimbombarono nella mia mente, come un'eco infinito.

Tempeste e UraganiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora