Capitolo 19

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Ian cercò di alzarsi. Continuava a ripetersi di alzarsi, rotolare giù dal letto e appoggiare i piedi a terra. Quanto poteva essere difficile rigirarsi dall'altra parte e mettersi in piedi? Quanto poteva essere difficile infilarsi un paio di pantaloni? Quanto doveva essere pigro per essere ancora sdraiato a letto?

Prese un respiro profondo, l'aria che gli grattò la gola secca. Richiuse gli occhi cercando di scacciare i pensieri che sembravano levarsi nell'oscurità, volteggiare intorno alla tenda e tornare a rimbombargli tra le tempie. La branda era comoda e calda e forse, se fosse rimasto immobile, gli sarebbero solo passati accanto. Se si fosse coperto ancora di più, magari non l'avrebbero nemmeno visto.

Ogni tanto il suono di alcune voci arrivava ad interrompere il suo monologo interiore durante il giorno o durante la notte. O durante la settimana. Aveva perso il conto di quante persone fossero passate davanti alla sua tenda, o di tutte quelle che potevano passare durante una giornata scandendo il tempo che aveva trascorso a letto, il tempo che aveva trascorso da solo. Le ignorava semplicemente, molte non parlavano nemmeno di lui. Quelle che invece lo facevano, avevano abbastanza buon senso da stare zitte quando passavano di lì.

Sembrava che si stessero divertendo, che fossero meno timorosi del solito. Alcuni sembravano persino essere usciti dai loro gruppi abituali per fare conoscenza con gli altri. Almeno c'era una cosa che aveva fatto bene: era riuscito a renderli uniti, anche se contro di lui.

Si irrigidì quando udì qualcuno avvicinarsi. La tenda si aprì e il lembo di tessuto sbattè contro alla parete. Poi, il clangore metallico delle posate contro ad un piatto, e per fortuna non contro al pavimento. Un sussurro, probabilmente un'imprecazione, passi pesanti e poi solo un silenzio insolito, non più confortante come pochi minuti prima. Non reagì, mosse appena i piedi sotto alle coperte mentre si spostava ancora di più contro alla parete. Sentì il profumo del piatto ma non capì di cosa si trattasse. Lo stomaco gorgogliò immediatamente sebbene il solo pensiero del cibo gli facesse venire da vomitare.

-Ti ho portato la cena- udì la voce di Mickey. Altri passi, il fruscio di un pezzo di carta che veniva strappato mentre appoggiava il piatto sul tavolo. -Ho pensato che magari avessi un po' di fame-

In effetti il suo corpo sembrava richiedere il cibo a gran voce ma la branda era troppo calda e la presenza di Mickey troppo minacciosa. Cercò persino di non respirare troppo per non doversi muovere. La presenza dell'altro uomo gli provocava solo brutti pensieri. "Non gli piaci". "Pensa che tu sia solo un rifiuto". "Sei solo feccia, un frocio di merda". "Feccia". "Feccia". "Feccia".

-Sei rimasto a letto per tutto il giorno, cazzo- continuò Mickey. Riusciva ad udire a malapena le sue parole in mezzo a quel treno di pensieri. -Devi alzarti-

Scosse la testa contro al cuscino. Sapeva che Mickey non poteva averlo visto ma era meglio così  piuttosto che non dover dire niente.

Chiuse nuovamente gli occhi cercando di trattenere le lacrime. Mickey aveva ragione, doveva alzarsi. Perchè non ci riusciva, porca puttana?

-Almeno mangia qualcosa-

Cercò di emettere un mormorio ma aveva la gola troppo secca.

-Forza!- urlò ancora Mickey. -Non puoi... -

Due mani furono immediatamente su di lui tirandolo indietro, le coperte che gli scivolarono dal corpo. Cercò di dimenarsi per liberarsi dalla presa. Mickey lo aveva rigirato con l'intento di trascinarlo giù dalla branda, quindi ormai non era più attaccato alla parete. Lo colpì con forza, allontanando le sue mani e riuscendo finalmente a spingerlo via. Si ritrovò seduto, le coperte aggrovigliate intorno alle caviglie, il corpo scosso dai brividi. -Vaffanculo- riuscì a dire.

Paper Shrapnel - Proiettili di cartaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora