Capitolo cinque

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Camila aveva fatto più bagni in quei giorni che in tutta la sua vita. Trascorreva quasi tutto il giorno fra la vasca e il letto, fra calici di vino e autori moderni. Dinah, Ally e Jessie si recavano quasi tutte le sere a visitare nuovi scorci di Los Angeles, mentre Camila si dedicava a bagni termali o appassionanti serie-tv. Non era di molta compagnia, ma questo era più che comprensibile.

Era in uno stato confusionale indicibile. Scappare era stato un privilegio, ma prima o poi tutti i vigliacchi pagano lo scotto delle loro fughe. Per quanti chilometri Camila avesse frapposto fra lei e Lauren, non esistevano strade da inframezzare con il suo cuore. Da quando era tornata, un tumulto di sentimenti l'aveva nuovamente investita.

Era la rabbia per la delusione a prevalere o la delusione in se? Era sete di vendetta o voglia di piangere? Era contentezza o disperazione?

Ma poi, perché scindere due facce della stessa medaglia? In fondo i sentimenti sono righe inscritte sullo stesso foglio, solo su ambo i lati.

Forse stava sbagliando. Forse, in quell'arrancare quieto, stava interpretando male la trascrizione delle sue emozioni. Non poteva capire il testo leggendo fino in fondo alla pagina, fino all'ultima parola, ma senza capovolgere il foglio. Un po' come guardare il mare e credere che finisca all'orizzonte.

La cubana non aveva comunque molta voglia di "leggersi", ma preferiva invece bere, oziare e sperare che quei mesi volassero indefiniti. Sperava di tornare presto alla sua vita, quella in Norvegia, e sperava anche... Driiin. Sussultò.

Non era preparata. Appoggiò il calice sulla sponda della vasca triangolare e girò la testa all'indietro, sull'angolo della vasca, dove il suo cellulare stava squillando. Fortunatamente aveva tolto la vibrazione. Mamma, lesse sullo schermo.

Inspirò profondamente, sistemandosi contro lo schienale basso della vasca. Con Sinu e Sofia aveva mantenuto un rapporto costante, ma qualcosa dentro di lei era cambiato: riusciva a guardarle in faccia. Camila impugnava la realtà dei fatti come una pistola carica; dirglielo equivaleva a sparare alla cieca, non dirlo era un po' come tenerla puntata alla sua stessa tempia. Si sentiva terribilmente in colpa verso di loro, e al contempo le invidiava. Non sempre la verità è sinonimo di libertà. Forse perché la vera verità non esiste, o forse perché la libertà non è una conquista ma un carattere. Camila non sapeva ben dirlo. Ciò che sapeva era che avrebbe voluto rivedere sua madre e riabbracciare sua sorella, ma non poteva. Non ci riusciva.

«Ciao, mamma,» rispose con tono brioso, affettuoso.

«Oh, Dios mio! Mi farai venire un accidente prima o poi. Ti pare il caso? Sparire cosi, senza dir nulla. Sono tre giorni che non ci sentiamo.» La donna sospirò sonoramente, un po' esasperata, un po' sollevata.

«Scusa, mamma. Ho avuto delle beghe in ufficio. State bene, si?» Avvertì un colpo allo stomaco. Non poteva neanche dirle la verità.

«Si, e tu stai bene?» Stavolta sembrava rasserenata la donna.

«Si, sto bene, mamma.» Era una bugia che si ripeteva da svariato tempo.

Sinu rimase in silenzio per qualche secondo. Camila avvertiva i suoi pensieri come se avessero voce propria. «Mi hija, quando possiamo rivederci?» Li verbalizzò, senza sorprendere la cubana ormai accostumata.

«Mamma, mancate molto anche a me. Ti prometto che appena avrò un momento verrò da voi.» Socchiuse le palpebre, strizzandole per il dolore che nutriva nel mentire a due delle persone che aveva più a cuore. Ma, nel suo intento, le stava difendendo restandoli lontano. Anche se, forse senza accorgersene, non stava proteggendo solo loro...

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