Capitolo venticinque

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Prima le mani sdrucciolarono giù, sulle scapole bagnate, già scoperte. La pelle imperlata emanava umidità, ma mai quanto il respiro. Le dita albeggiavano sul nadir della schiena, e tramontavano allo zenit, sulla nuca, laddove il collo della cubana si piegava proprio così, si così! Così su i suoi polpastrelli aggrinziti, aggrinziti dall'epidermide intrisa della cubana.

Il seno aderiva, quasi si incollava alla sua maglietta, e poteva toccare quasi più sensibilmente il desiderio sprigionato dalla pelle che l'acqua sedimentata su di essa. Improvvisamente colava fra le dita il fremito, il brivido, della cubana. La sua epidermide era un ansito.

Lauren affossò le mani nella chioma voluminosa della donna, li strinse smaniosa. La cubana incespicò sull'orlo della sua maglietta, mentre tentava di sbrogliare il viticcio di braccia che si avvinghiavano, si cercavano, si contraevano. Ora ti voglio, ora ti cerco, ora ti lascio passare, ora ti desiderio, ora sei mia...

Infine riuscì ad alleggerire la corvina dal peso inutile non solo della maglietta, ma anche del reggiseno. La sua pelle fredda si scontrò contro quella accaldata di Lauren. Entrambe sussultarono. Un brivido elettrico serpeggiò velocissimo dalle loro clavicole fino al ventre, epicentro del terremoto. La cubana ebbe uno slancio dettato da questa fregola, e si schiacciò contro la corvina, incastrando ogni segmento del suo corpo contro quello della corvina.

Lauren indietreggiò verso il letto, trattenendo la cubana a se, saldamente stretta. Così come la voleva, come l'aveva sempre voluta. Inciampò qualche centimetro prima, ma cadde comunque sul materasso, con Camila ancora avvolta a lei. Adesso i loro bacini si erano casualmente conosciuti, e ora ballavano in un ritmo rapido che però non era abbastanza. Non era mai abbastanza, con lei.

Lauren si incaricò di sbottonare i pantaloni della cubana, ormai ingombranti e inutili. Camila la imitò, annaspando più impacciatamente, ma riuscendo quasi parimenti alla corvina a sbarazzarsi dell'indumento. Caddero entrambi sul pavimento, mentre i loro corpi si incontravano di nuovo, stavolta più telluricamente, scivolando su ogni centimetro di pelle che ormai non sapevano più riconoscere a chi appartenesse. Mia... sua... Che differenza fa? Non c'è confine a quello che ho conosciuto sulla sua pelle.

A Lauren erano mancate soprattutto le sue mani, i movimenti propri di esse, talmente audaci lungo i suoi contorni da avere vita propria. A Camila, invece, era mancato soprattuto l'interno coscia della corvina, quella zona di pelle più morbida dove la sua coscia sgusciava poeticamente: era sicura di poter riassumere tutto il suo piacere in quel contatto lontano dal centro del suo desiderio, ma abbastanza vicino da essere perfetto.

Lauren le afferrò i capelli ricaduti sulla spalla destra, e richiamò la sua attenzione su di lei. Occhi fulgidi, labbra tumide, ancora un po' infreddolite, ancora un po' tremule. Il suo sguardo era intimorito, Lauren glielo leggeva. La corvina si sciolse in un sorriso accennato, e allora le iridi della cubana si intenerirono, schiarendosi in un sospiro che era la fine di qualcosa. "Fine" che non sempre è sinonimo di addio. E non lo fu quella sera.

Le labbra della cubana cercarono disonestamente quelle di Lauren, impetuosamente. Le loro lingue danzarono armonicamente, ma anche un po' confusamente assieme. I loro corpi si intrecciarono ansimanti, sempre più febbrili.

Sedute sul letto, Lauren ghermì la schiena della cubana all'altezza delle scapole, e la ribaltò sul materasso, precipitando sopra di lei. In quell'istante i loro occhi cozzarono un'altra volta, e fu quella decisiva.

Puoi aver perso treni, salti nel vuoti, giravolte nel buio, cadute su palmi protesi, sbagli su calci di rigore, corse controvento, viaggi contromano. Puoi aver perso tutto, ma non lei. E forse proprio perché non hai perso lei, hai perso tutto il resto. Lei mai.

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