Capitolo venti

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Forse era stato il "pathos" del giorno precedente la causa dell'infermità della cubana, che si era svegliata con 38 di febbre, un mal di testa martellante e le forze azzerate. O forse erano stati i ripetuti viaggi in aereo, Los Angeles/ New York- New York/ Los Angeles, a cagionarle un malessere fisico. Le ragioni potevano essere molteplici, fatto che sta che Camila era costretta a letto. La cosa che la faceva imbestialire era la tempestività beffarda con cui si era presentata la malattia.

Avrebbe dovuto essere sul campo, invece era confinata in panchina. E che panchina! Un letto matrimoniale pieno di medicine, briciole di biscotti e riviste nemmeno sfogliate. Fortunatamente Dinah aveva supplito egregiamente la sua momentanea assenza, incaricandosi personalmente di seguire Lauren durante tutto il giorno e tentare di apparire quanto più discreta possibile. "Senza dare nell'occhio," aveva ammiccato. Ovviamente il piano erano andato a rotoli esattamente cinque minuti dopo, non che Camila sperasse in una durata più consistente.

«Ho già una scorta, Camz. Non ho bisogno anche dei tuoi tirapiedi.» Aveva scherzato la corvina, mimando gesti intimidatori alla polinesiana, sempre in aveste spiritosa.

«È solo una precauzione, dato che io non posso intervenire.» Tossicchiò, sbuffando infine per la noia che le provocava quell'inghippo indesiderato.

«Effettivamente avevo notato l'assenza di uno dei miei gorilla.» La prese in giro la corvina.

«Simpatica, davvero simpatica.» Cantilenò con accento birignao la cubana, occluso dal raffreddore. Lauren sorrise, era così tenera.

«Che cosa hai intenzione di fare adesso? Spero niente che metta a rischio la tua vita!» Sottolineò protettiva la cubana, sperando che un monito bastasse per dissuaderla da propositi dinamitardi.

«No, aspetterò. La notizia è stata diffusa in tutto il paese, sono sicura che qualcuno ci aiuterà a smascherare l'identità dell'hacker.» Serrò la mascella. Agognava per un po' di sana giustizia, che detto da lei era alquanto irriverente, ma vero.

«Non vedo l'ora.» Ringhiò a denti stretti la cubana, già sul piede di guerra.

Lauren sospirò. Non era il momento di campare castelli in aria, soprattutto date le condizioni fisiche della cubana. «Ok, meglio che tu riposi adesso, tanto Dinah è sempre qui di vedetta.» Risero entrambe.

La cubana la salutò e le augurò buona giornata, quindi tornò a inabissarsi nella sua "valle di lacrime". Fu una giornata monotona e tediosa, stracolma di intenzioni ma vuota di azioni. Era troppo fiacca per attuare il suo volere, troppo annoiata per smetterla di annoiarsi. L'unica distrazione che si concesse fu quella di rivisitare alcune pratiche burocratiche, valutare i tassi d'interessi, e spilluzzicare articoli qua e là che ritraevano lei e Lauren in una cornice romantica ed eroica al contempo. I titoli erano sensazionalistici come da prassi, le foto lascivano libero arbitrio all'immaginazione, che da un abbraccio affettuoso ricamava su trame secondarie. Era come se quasi tutta l'America fosse maggiormente interessata nell'evoluzione sentimentale delle due donne, che nel crimine clamoroso commesso da un pazzo armato. Ah, a proposito. L'FBI aveva interrogato "il pazzo armato", che realmente si chiamava John Tevez, ispanico naturalizzato americano, trentasei anni. Si rifiutava ovviamente di collaborare, e l'unica indiscrezione che si era lasciato sfuggire era stato un commento mordace che aveva messo alle strette i detective: "Tanto chiunque mi abbia assunto ha talmente tanti soldi che mi tirerà fuori di qui in ventiquattro ore."

Camila rimuginava su quell'affermazione, che non era per niente scontata. Poteva significare che era stato profumatamente pagato per quel lavoro, e che quindi il mandante si sarebbe potuto fare avanti per scagionarlo, sapendo bene quanto rischioso fosse che la fonte si trovasse circondata da agenti.

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