Capitolo diciotto

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«No, non mi stai ascoltando!» Sospirò, portando le mani sui fianchi, frustrata. «È avventato, è... No, non mi piace, non è...»

«Camila, puoi sederti, per favore?» La interruppe Lauren, sospirando anch'essa ma esasperata.

La cubana arrestò il passo nervoso, fissò la corvina con aria impettita e al contempo accomodante, sedendosi, infine, mollemente sulla poltrona.

«Ah, alleluia.» Bisbigliò rasserenata Lauren, che a causa del maremoto ambulante della cubana si sentiva nauseabonda. «Non sono in procinto di propormi come cavia per mettermi di fronte ad un bersaglio e farmi lanciare coltelli addosso, sto solo...»

«No, infatti,» l'anticipò la cubana, tagliente, «il bersaglio stai per mettertelo sulla schiena, e i coltelli te li tireranno eccome.» Quando Camila teneva a qualcosa, o a qualcuno, sfoderava un lato forse un po' troppo rigido, ma che in cuor suo sapeva esser tale proprio perché cinto da una muraglia d'affetto che faticava a venir fuori, ma dentro di se recintava ogni emozione.

«Ohi, Camila,» Lauren si prese la testa fra le mani e sospirò sonoramente, «non mi stai capendo.»

«Por Dìos!» Scattò in piedi, impedita a star ferma dallo zampillare turbolento dei nervi, che neanche per un secondo smettevano di fremere. La sua "linea germinale del pensiero" proliferava straboccando.

«Camila, non è niente di che.» Tentò di convincerla Lauren, ma la cubana sembrava sempre più irritata dalle sue parole, invece che rassicurata.

«Niente di che? Niente di che?!» Sbarrò gli occhi, piegandosi minacciosa, ma anche attonita, sulla scrivania. «Dichiarare pubblicamente aperta la caccia ad un hacker che ha avuto l'ardire di abbattere la tua azienda ti pare niente di che?» Suonò quanto più scettica e retorica, capitalizzando il silenzio di Lauren come effettiva risposta.

La cubana sospirò e di nuovo le diede le spalle; portando una mano sulla fronte socchiuse le palpebre e si tentò di far mente locale. Lauren si posizionò alle sue spalle. Esitò qualche secondo, indugiando sull'essenza della sua pelle, tentennando sul nitore della pelle caramellata, respirando sull'arpeggiare della sua schiena... Ma infine, sì, fece scivolare le mani sulle spalle della donna, si accostò di qualche passo a lei, ma facendo attenzione che il suo calore non diventasse invadente o affrettato.

«Camz, andrà tutto bene.» Sussurrò al suo orecchio, espirando sul suo collo.

La cubana volse gradualmente il viso all'indietro. Le labbra schiuse, le ciglia sussultorie. Ingoiò a vuoto e si discostò, allungando il passo verso lo scaffale. Ne estrasse uno casualmente, giocando con l'equilibrio di esso sul crinale della mensola.

«Non sono d'accordo, ma non sono nessuno per contraddirti.» Si schiarì la voce, aggiustò al millimetro il libro nel suo nido, dopodiché si spolverò le mani l'una contro l'altra e trovò il coraggio di voltarsi verso Lauren e fronteggiarla apertamente.

«Devo scappare, adesso. Ti vedrò in tv.» Abbozzò un sorriso, pensieroso è incoraggiante al contempo. La corvina annuì una sola volta, riconoscente.

Camila imbracciò i suoi affetti, rassettò il cappotto sulle spalle e temporeggiò un po' -"Dovrei dirle qualcosa?", "Starà bene?", "Sarà la cosa giusta?", "Potrei fare di più?"- prima di lasciare lo studio a sguardo basso.

Lauren aveva concertato una programmazione sfiancante, ma era fiera del suo operato. L'azienda era l'eredità più importante che le rimanesse. Era l'ultimo lascito di suo padre, l'ultimo sprazzo tangibile della vita di Mike.
Non avrebbe permesso ad un hacker da quattro soldi di rubarle ciò che le stava più a cuore, e ancor meno gli avrebbe permesso di svilirlo.

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