Capitolo nove

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Jessie assicurò a Camila che al box era tutto pronto. La cubana la ringraziò per l'aiuto e le proteste la coca-cola che le aveva comprato, notando subito il folto cipiglio contrarsi sulla faccia dell'altra.

«Niente birra?» Suonò perplessa.

«Era finita,» si giustificò blandamente la cubana, che per concertare una bugia tanto insipida aveva dovuto lambiccarsi.

Jessie scrollò le spalle e bevve di buon grado la sua coca-cola, insieme a Dinah (che Camila aveva ragguagliato solo sul problema di Lauren, così da aver manforte in caso di necessità) e la stessa Camila.

Per loro erano stati riservati dei posti più scentrati e arroccati, così da non doversi mischiare al visibilio belluino che imperversava nelle tribune sottostanti. Erano stati separati con un'apposito "frangiflutti" in vetro. Alle persone non interessava nemmeno voltarsi a esaminare indiscreti quali volti noti riconoscessero: erano concentrati solo sulla pista, ancora vuota ma per poco.

Lauren aveva supervisionato le ultime scaramucce pratiche ed ora sedeva assieme alle altre, con Normani di fianco che mangiava voracemente patatine guarnite di una porzione extra di maionese. Dinah aveva scelto il posto accanto a lei proprio per approfittare del generoso cestino, Ally era accanto a quest'ultima. Camila, ironia della sorte, era seduta fra l'incudine e il martello: Lauren da una parte, Jessie dall'altra.

«Sei nervosa?» Chiese la corvina, intravedendo i saltelli delle articolazioni.

«Un po',» ammise la cubana, sorridendo e sospirando.

«Vedrai che andrà bene,» la rassicurò Lauren, scrollando appena una spalla e un sorriso tiepido.

«Ma si!», si intromise Jessie, poggiando la mano sulla coscia scoperta di Camila, «andrà sicuramente bene.» Le bocca si espanse in un sorriso raggiante e forse un po' troppo largo, ma nessuno ci fece caso, essendo tutti gli occhi puntati sulla mano scattata troppo azzardatamente.

Lauren osservò per una frazione di secondo il palmo schiuso sulla pelle esposta della cubana. Dentro di se montò un fuoco inestinguibile, una sensazione mista ad angoscia, rabbia e invidia, facilmente riassumibile in gelosia.
Dovette appellarsi a tutte le sue forze riflessive per inspirare profondamente, sopprimere quella fiamma incandescente, e costringersi a volgersi verso la pista come se niente fosse.

La cubana afferrò la mano di Jessie e la spostò, lanciandole uno sguardo ammonitore ma non troppo intransigente. Alla fine la donna non stava facendo niente di male, ma, per quanto sbagliato fosse, era innegabile che ferire Lauren era come ferire lei stessa in primis. Forse non poteva stare con lei, forse non era pronta neanche a parlare di certe esperienze, ma se poteva evitare di girare il coltello nella piaga, beh, non vedeva perché astenersi.

La carovana di auto stava intanto raggiungendo le proprie postazioni. Camila notò che i primi classificati erano rispettivamente paesi francesi, italiani, russi, tedeschi, spagnoli e belgi. Gli americani venivano qualche "quartina" dopo. La cubana non aveva fatto i compiti, doveva confessarlo, e non era perciò proverbialmente istruita sui piloti a comando delle vetture, però le parve di riconoscere qualche nome sul depliant illustrativo che aveva in borsa. Erano professionisti di medio livello che non godevano di una fama internazionale, ma nella loro nicchia erano abbastanza rinomati.

Camila identificò anche Carlos, posizionato nettamente distante dai primi classificati ma anche dagli ultimi.

La bandiera crepitò, dando via alle danze. Il rombo dei motori risuonò sotto la tettoia di cemento, amplificando il suono come in una botte. Camila strizzò gli occhi per ripararsi dall'eco, dopodiché portò una mano sulla fronte e seguì il circuito pullulante attentamente.

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