Capitolo quattordici

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Non sarai la parte migliore di te stesso finché non riconoscerai di averne una.

Glielo aveva detto qualcuno, probabilmente durante un test in classe o una classica epopea familiare. Non lo ricordava, ad essere sinceri. Ma sapeva che aveva assunto il ruolo di preghiera nella sua filosofia.

Forse stava pensando a questo quando alzò la cornetta.

Tu... tu.. tu!!!

«Pronto?» Era un sussurro fievole, estinto, ma era proprio il suo.

«Ciao, Mike. Sono Camila.»

Susseguì abbastanza tempo in un silenzio immobile, allegorico. Aleggiavano pensieri di materia oscura, cioè intangibili, in esso. Era l'eredità di parole mai dette, il silenzio le aveva fatte proprie.

«Sei davvero tu?» La sua voce si era incrinata, sembrava sul punto di piangere. Camila non avrebbe saputo dire se per la felicità o...

«Si. Si Mike. Sono io.» La cornetta palpitava nella sua mano.

«È bello sentirti.» Era felice, ma un sospiro greve vibrò attraverso la comunicazione.

Camila non osava immaginare quanto fosse  arduo doversi sforzare anche per sorridere, "cineticamente" parlando.

«Stai bene, Camila?» Fortunatamente ci pensava Mike a riempire i vuoti; Camila non aveva la benché minima idea di cosa dire.

«Ah.. si, si sto bene.» Deglutì.

Onestamente, se c'era una cosa che proprio non sopportava era ammorbare qualcuno in un momento di fragilità. Come quando parlava con le sue amiche, esprimeva un pensiero più intimo, e si sentiva rispondere "benvenuta nel club", "dillo a me!", "anche a me succede sempre". Per lei era inconcepibile, sfruttare la sofferenza come propaganda. Ormai le sembrava che il dolore fosse un vanto, e la felicità un pianto.

«Sto bene, Mike.» Ripeté più convinta, fomentata da quei concetti sgradevoli.

Era una chiamata molto lenta, scandita dal peso della malattia, della lontananza.

«Camila...» Rompere il silenzio era come rompere i pensieri, ecco perché la cubana smise di rifletterci e semplicemente parlò di pancia.

«Non verrò, Mike.» Disse senza nessun giro di parole, perché per quanto gli eventi circostanti avessero annichilito Camila, in quel momento doveva ricordarsi che non stava chiamando "Mike il padre di Lauren", stava chiamando Mike il compagno di scacchi. Tutto lì.

«Non verrò al tuo funerale.» Ingoiò, avvertendo un bruciore allo stomaco, la nausea avanzare. «Non verrò nemmeno a salutarti prima che tu muoia. Questa è l'ultima chiamata che ti faccio, Mike.» Serrò la mascella e volse lo sguardo al soffitto.

Mike si prese del tempo per metabolizzare ed elaborare. La sua riserva di ossigeno difettava, al che aveva imparato ad economizzare sulle parole, proferendo solo quelle essenziali e scartando le altre.

«Non è un problema, lo capisco... Ma Lauren non lo capirà.» Non glielo disse per piantare il seme del senso di colpa. Glielo disse perché Camila era stata spudoratamente sincera con lui, e lui voleva restituirle il favore.

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