Capitolo otto

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Camila indossò un vestito non troppo succinto, ma certamente scollato. Jessie dovette legarsi le mani per non allungarle, più di una volta istigata dalle movenze suadenti e peculiari della donna. Sapeva che la cubana non se la sentiva di andare oltre, non ancora per il momento, e rispettava la sua scelta.

«Dinah è già qui?» Si percepiva il nervosismo nella voce schietta della donna.

«A me lo chiedi?» Inarcò un sopracciglio Jessie, strappando un sorriso alla cubana che scosse gli occhi cielo.

Le porte dell'ascensore si chiusero. Camila fissava la freccia digradare sul semicerchio decorato come spicchio di sole, e più calava più la sua gamba ballava. Jessie osservò prima il movimento di discesa sulla parete, poi il tremolio del piede della donna. Non disse niente però. Era una gara importante, sapeva quanto Camila ci tenesse e non trovava le parole adatte per rassicurarla; le saltavano in mente solo stupidi cliché circostanziali privi di costrutto. Maledetta maestra Agnese, pensò dentro di se, ricordando quella donna austera e arcigna che le impartiva ripetizioni d'italiano, sottolineando quanto importanti fossero le parole e la comunione fra loro.

L'ascensore si dischiuse sulla hall, più brulicante del solito. A quanto pareva la competizione coinvolgeva più amatori del previsto. I partecipanti erano comunque abbastanza da confondere Camila nella lizza di contendenti.

Dinah era effettivamente e miracolosamente in anticipo. Le attendeva appoggiata stravaccata sul bancone della hall. Sembrava che l'avessero costretta ad un'attesa eterna, quando in realtà stava pazientando da soli quattro minuti.

«Ah, finalmente! Stavo per prendere appuntamento per fissare la dentiera,» sdrammatizzò stizzita.

«Sei ancora in tempo,» appuntò in tono lievemente pungolante Jessie, superandola senza degnarla nemmeno di uno sguardo mentre si armava di coraggio per affrontare l'interminabile fila per i taxi. 

«Si vede proprio,» principiò a denti stretti Dinah, affiancando la cubana, già di per se smarrita, «Si vede proprio che non gliela dai.»

Camila alzò gli occhi al cielo e sbuffò, aizzando il passo verso l'uscita. La sua mente era affollata di schemi e tecniche, ma sapeva bene che nessun allenamento propedeutico poteva prepararla ad una gara. Anche perché, non era lei a capitanare l'auto, ma il suo pilota. Lo stesso che era scappato lo prima volta, le ricordò dissidente il suo subconscio, distaccandosi dal sistema olistico che aveva modellato la cubana.

Rasoio di Occam, Camila. Rasoio di Occam, si ribadì tenacemente, ringraziando Guglielmo per averle semplificato la vita.*

«Andiamo!» Gridò Jessie affacciata sulla porta, attirando l'attenzione irrequieta e scortese di alcuni ospiti che non erano abituati al fare un po' "becero" della donna.

Camila raggiunse il patio, al che Jessie lasciò andare la porta, sbattendola in faccia a Dinah, che si ripromise di accoppiarla il prima possibile con qualcuno, a costo di sacrificarsi lei stessa.

Tutte insieme salirono sul taxi e diedero istruzioni, anche se non fu necessario dilungarsi più di tanto visto che il tassista aveva già scarrozzato tre clienti avanti e indietro dall'hotel all'autodromo.

Camila durante il tragitto rimase con la testa bassa e l'attenzione canalizzata sulle righe di resoconto scrollate sul suo display. Forse non era il momento propizio per valutare le condizioni dell'azienda lasciata nelle mani di Tina in Norvegia, ma spostare l'attenzione su un altro problema risolveva il problema numero uno, no? Non era un asso in matematica, ma con la logica ci sapeva fare.

Il taxi sobbalzò fermandosi, riscuotendo la cubana dalla sua trafila. Fortunatamente gli esiti aziendali erano relativamente promettenti. Tina era un ottimo investimento, vista la sua spiccata intelligenza, ma la vera virtù che aveva convinto la cubana era stata la sua arguzia, capace di trainare l'azienda fuori anche dalle sabbie mobili. Ora, era contenta di potersi rallegrare di nessun declino estemporaneo, ma ciò non le permetteva di spartire l'ansia in altre occupazioni, lasciando il perno dell'angoscia interamente sull'edificio colossale e rumoreggiante che signoreggiava di fronte ai suoi occhi intimoriti.

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