Capitolo ventotto

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«È stata una pessima idea, quando Camila lo saprà...» Normani avrebbe voluto ricordare a Lauren che, qualche anno addietro, si erano già trovate in quella situazione, e che avevano giurato di non impegolarcisi mai più. Ed invece, eccole di nuovo lì.

«Stavolta lo sto facendo per il bene di Camila, non per il mio.» Puntualizzò la corvina.

«E cambia qualcosa? Camila non ti ha mai rimproverato di aver fatto il tuo o il suo bene, ha solo odiato la bugia. E le stai mentendo di nuovo.» Alzò la voce la donna, ingrossando le vene del collo.

Com'era possibile che Lauren non lo capisse? Com'era possibile che non vedesse che stava per cadere nella solita trappola, e stavolta né il destino né la magnanimità di Camila le avrebbero concesso la grazia.

«Chiamerai Dinah e la pagherai per andare a bussare alla porta di Camila a mia insaputa? No perché, l'ultima volta che ho controllato, anche tu eri brava con le biglie, o sbaglio?» Lo sguardo rammaricato e il tono caustico di Lauren furono un binomio valente.

Normani inspirò profondamente, si ritrasse indietro, spalle e mento ben dritti. Non era pentita di ciò che aveva fatto, e che la corvina glielo stesse rinfacciando era un colpo fin troppo basso anche per lei. Lauren dovette rendersene conto, perché un attimo dopo distolse lo sguardo, visibilmente dispiaciuta ma troppo orgogliosa anche solo per lasciarlo trapelare.

«Fai come ti pare.» Fu la sentenza di Normani, che lasciò lo studio della donna impettita.

Intanto il suo telefono non era ancora squillato. "Nessuna buona nuova buona" avrebbe detto qualcuno. Nei bassifondi del Bronx Tina aveva ingaggiato un team di specialisti che stava lavorando sul caso Jessie, che, fra parentesi, aveva scelto di mollare tutto. Come giustificazione aveva svenevolmente sostenuto che non voleva fare più male a Camila e, mentre usciva, si era anche permessa di consigliare Lauren di far lo stesso: andarsene prima di ferirla di nuovo, perché sarebbe successo, lo sapevano entrambe.

La corvina ticchettò la penna sulla scrivania, sperando che il tempo fisico si sintonizzasse con la sua impazienza e che per una volta accelerasse. Non accadde, naturalmente. Dovette aspettare due ore prima che l'ufficio si riempisse del trillo stridulo del telefono. Era Tina, o meglio, un suo collaboratore. Era andato a buon fine tutto. Jessie si era imbarcata su un aereo che l'avrebbe portata dritta dritta a 12.345 chilometri da lì. Lauren non chiese nemmeno di sapere la nuova identità di Jessie: era andata, Adios, Au revoir!

Prima che anche Camila si imbracasse, Lauren decise di tornare a casa prima. Sì, la cubana doveva tornare a casa, adesso che Sinu era a conoscenza della sua permanenza negli States. Era molto nervosa, per fare un eufemismo, e la corvina voleva restarle vicino come meglio poteva.

In più, dopo la notizia che Jessie aveva spudoratamente barato e la sua azienda era stata messa alla berlina su tutte le testate giornalistiche, Camila aveva preso una decisione irrevocabile: tirarsi fuori dalla gara prima di essere espulsa. Era la cosa migliore da fare per salvare il destino dell'azienda. Non stava pensando ai premi, alla gara, no. Doveva concentrarci solo sulla sua azienda, se voleva che non colasse a picco. E così aveva fatto.

Sarebbe partita l'indomani, dopo aver convocato un'assemblea speciale dell'ultimo momento dove avrebbe tenuto il discorso di rinuncia e di scuse pubbliche.

Lauren era, forse, più agitata di lei. Sapeva quanto i mass media orchestrassero e strumentalizzassero situazioni o dialoghi, a tal punto che più volte, lo ammetteva senza vergogna, i suoi discorsi erano stati scritti a due mani con un assistente matricolato, un addetto specializzato in comunicazione che me evitasse di scafarsi la fossa da sola. Il palcoscenico non era tutta questa goduria. Che Camila fosse finita sotto i riflettori (peraltro nemmeno per colpa sua), non rassicurava Lauren. Affatto.

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