3. Non ha senso.

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Adriel

Quando il discorso del Rettore giunge al termine scappo in bagno, tallonato da Kaleen, per sciacquarmi il viso e ricompormi, mentre Malaki, Amabel e Delaney, sono andati nell'aula in cui si terrà la loro prima lezione.

Mi guardo attorno, nervoso, e constatato che la toilette è vuota.
Per fortuna non c'è nessuno in questo momento che possa notare quanto sono stravolto.
Nessuno tranne il supervisore rammento, nel momento in cui con le dita faccio ruotare il braccialetto che porto al polso, un gesto meccanico che compio da quando me l'hanno allacciato.

Sono in questa scuola umana solo da un'ora e già ne ho abbastanza dei terrestri. Gli umani sono creature semplici, questo lo sapevo già: ogni ragazzo del Campus che abbiamo incrociato ci ha riservato un'occhiata curiosa, le peggiori, però, sono le femmine di questa specie, che ci hanno guardato allo stesso modo in cui io adocchio un cheeseburger da quando ne ho assaggiato uno per la prima volta alla Fortezza.

Kaleen si appoggia allo stipite della porta, resta in silenzio, e mi concede qualche minuto per riprendermi.

Immergo le mani sotto il getto freddo dell'acqua e mi sfrego il viso con gesti decisi. Fisso il mio sguardo sconvolto attraverso lo specchio e mi sistemo le lenti a contatto, che ho dovuto indossare per celare l'insolito colore delle mie iridi. Negli anni trascorsi sulla Terra ho compreso che nessun terrestre ha gli occhi viola, però, grazie ai militari della Fortezza, abbiamo risolto il problema per il nostro primo giorno di scuola ricorrendo all'uso delle lenti correttive colorate.

Sbuffo, frustrato. Gli umani e le loro dannate e futili invenzioni. Odio portare questi aggeggi, ma sono un fastidio necessario per non dover inventare fantasiose spiegazioni sull'origine dell'insolito colore dei miei occhi. Mantenere segreta la nostra identità e apparire normali è di vitale importanza.

Chiudo il rubinetto e ripenso alla serie di eventi che ha mandato in frantumi il mio autocontrollo.

Questa mattina sono arrivato in ritardo a causa della celebrazione del Giorno Zero, a cui nemmeno noi siamo stati esentati dal partecipare.
Ogni anno, il 26 agosto, tutti gli Alphaniani rimasti ancora in vita, me compreso, sono costretti a riunirsi nel grande cortile interno della Fortezza per sorbirsi una filippica sul giorno della ribellione. Ci dividono in gruppi, in base al sesso e all'età e, in quell'occasione, prendono parte alla cerimonia anche gli anziani, che di anno in anno diminuiscono di numero.

Vengono proiettati su un grande schermo le foto delle vittime e il supervisore tiene un discorso per lodare le gesta eroiche dei soldati che in quel giorno hanno perso la vita e condannare i membri del FLA.

È una vera tortura dover prendere parte a tutta quella sceneggiata, starsene zitti e immobili, con gli occhi puntati sullo schermo. Ma, più di ogni altra cosa, è una tortura per me dover rivedere la foto di Layla, così come lo è per Kaleen starsene buono a scrutare l'immagine della sua compagna e del suo bambino.

"Assassini!" volevo gridare per i trenta minuti della cerimonia, invece ho dovuto sigillare le labbra e ingoiare la mia collera.

Quando quello strazio è giunto al termine, abbiamo dovuto far controllare i nostri braccialetti. Sono un'altra delle precauzioni adottate dal supervisore dal giorno della rivolta: stringhe d'acciaio rivestite in cuoio nero, con all'interno un dispositivo GPS e un altro per monitorarci i parametri vitali. Servono per la nostra sicurezza, a suo dire, ma lo sappiamo tutti che la loro reale funzione è quella di impedirci di scappare.
Siamo saliti tutti e cinque a bordo di un furgoncino bianco, guidato da un militare in borghese che ci ha scortato fino a scuola.

Una volta arrivati nei pressi dei cancelli del Campus, siamo rimasti immobili per qualche minuto e abbiamo scrutato il luogo in cui avremmo dovuto passare gran parte del nostro tempo, in cerca di possibili pericoli.

Alpha - the escapeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora