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«Jimin che fai a casa? Non dovresti essere in università?».

Yoongi fissava il fratello con le braccia incrociate al petto e lo sguardo colmo di disapprovazione, ma il minore sbuffò solamente e si rigirò nel letto, dandogli le spalle.

«Jimin, siamo venuti a Seoul per combinare qualcosa nella nostra vita, non per poltrire.»

Il ragazzo sospirò e si avvicinò al letto per cercare di togliere le coperte a Jimin, ma quest'ultimo sbuffò ancora più pesantemente e se le strinse addosso.

«Ti sbagli, tu e Taehyung siete venuti qui per combinare qualcosa delle vostre vite, io sono qui solo perché non volevo stare in mezzo ai piedi ai nostri genitori - è un po' diverso.»

Yoongi alzò gli occhi al cielo e si sedette sul letto accanto al fratello, che non voleva saperne di muoversi: vivere per sette anni insieme aveva fatto sì che Jimin prendesse qualche sua vecchia abitudine e solitamente le parti erano invertite, ricordava ancora il desiderio di strozzarlo quando entrava la mattina ad orari indecenti per buttarlo giù dal letto.

«Jimin mi dici che ti sei iscritto a fare all'università?».

Il ragazzo dai capelli arancioni tirò fuori il naso dalle coperte e fissò il suo Hyung intensamente.

«Perché a differenza tua io non sono portato in niente, ho pensato che iscrivermi qui avesse un senso.» sussurrò immerso nei suoi pensieri e Yoongi sbuffò.

«Non è vero che non sei portato in niente, se solo tu volessi ricominciare a ball-».

Jimin lo interruppe prima che potesse finire la frase, detestava che si aprisse quell'argomento.

«No! Fine della discussione, non ti azzardare a dire una parola di più.»

Yoongi sospirò e riuscì finalmente a levargli le coperte di dosso, trovando il suo fratellino con lo sguardo un po' perso e gli si addolcì lo sguardo: odiava vederlo così, sperava che Seoul lo aiutasse a trovare una soluzione.

«D'accordo, ma sei stato preso alla facoltà di biotecnologie con il massimo dei voti, quindi tanto schifo non devi fare, no?».

Jimin sospirò e lasciò che Yoongi gli accarezzasse i capelli dolcemente, era fortunato ad averlo accanto, sia lui che Taehyung, soprattutto dopo tutto quello che era successo negli ultimi anni.

«Sì, ma ... Non mi ci vedo a passare il resto della mia vita in un laboratorio.»

E Yoongi concordò con lui, Jimin era destinato a stare sotto i riflettori, lo si vedeva da lontano un miglio.

«Allora fatti coraggio e torna a fare ciò che ami, ma per ora alza il tuo bel culo e vai in università, mamma e papà stanno comunque pagando la retta.»

Jimin annuì alle parole del fratello e fece come gli era stato detto, d'altronde non voleva che i suoi genitori buttassero via i soldi, avrebbe preso quella laurea e fine.

«Sei testardo.» mormorò Yoongi osservando il fratello sparire in bagno, preoccupato che un giorno potesse pentirsene.

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Jimin uscì dall'Università con l'umore sotto i piedi, come aveva previsto il corso gli faceva schifo e la maggior parte delle persone lo aveva fissato dall'alto in basso per via del suo colore di capelli.
Avrebbe tanto voluto prenderli a testate uno a uno, ma non poteva di certo rovinarsi il suo bel faccino per una branca di deficienti, no?
Aveva seguito la lezione svogliatamente, preso appunti solo se necessario e giocato con il telefono praticamente tutto il tempo, anche se spesso si era ritrovato ad aprire la pagina social di quel ragazzino antipatico, per poi richiuderla velocemente e darsi del coglione da solo.
Era carino, non c'era che dire, ma era uno stronzo di prima categoria e di spartire il suo tempo con lui non gli andava minimamente.
Sospirò a quei pensieri e infilò le mani nelle tasche del giubbotto di pelle e si avviò verso casa: non avevano un auto o meglio, Yoongi aveva un auto, ma la utilizzava lui poiché era quello più distante dal suo posto di lavoro.
Quel ragazzo dai capelli verdi aveva avuto la fortuna di venire assunto da una casa discografica come produttore: sogno della sua vita e Jimin non poteva essere più felice per suo fratello o per Taehyung - iscritto alla facoltà di fotografia e impegnato con un tirocinio, che a detta sua valeva parecchio.
Solo lui era stato costretto a ripiegare su qualcosa che gli faceva altamente schifo.
Era talmente immerso nei suoi pensieri che urtò senza volerlo uno dei passanti, facendogli scivolare dalle mani l'oggetto che stava stringendo e che si ruppe sul marciapiede con un suono agghiacciante.
Jimin tornò al presente e fissò la macchina fotografica rotta sull'asfalto e si voltò velocemente verso il povero passante, ritrovandosi faccia a faccia con il ragazzino odioso del supermarket di due settimane prima, che lo fissava come se avesse voluto ucciderlo, solo che stavolta non aveva tutti i torti: chissà quanto costava quella macchina fotografica.

«Non ci credo! Tu!» sbottò innervosito il moro, mentre si chinava a raccogliere la macchina fotografica e i vari pezzi sparsi sul marciapiede.

«Scusa, avevo la testa fra le nuvole.» mormorò veramente dispiaciuto, d'altronde non l'aveva fatto apposta.

«Scusa!? Scusa un paio di palle! Ti rendi conto!? È andata, è fottutamente andata! Sai quanto cazzo costa!?».

Jimin stava iniziando ad innervosirsi, d'altronde era stato un incidente e quel ragazzino stava iniziando ad esagerare.

«Maledizione! Ma dove hai la testa?» sbottò nuovamente e il ragazzo dai capelli arancioni sbuffò.

«Senti non l'ho fatto apposta, mi dispiace.» ma il suo tono uscì più freddo e scocciato di quanto volesse e il ragazzo di fronte a lui puntò i suoi occhi glaciali nei suoi.

«Non me ne faccio nulla delle tue scuse, sai? Potevi stare più attento: ora come cazzo faccio!?».

Jimin sospirò, avrebbe voluto dirgli che non erano affari suoi, ma d'altronde era stato lui ad averlo urtato e avergliela fatta scivolare di mano.

«Vieni con me, ne parliamo da un'altra parte.» mormorò il ragazzo facendo segno di seguirlo, ma il moro non si mosse.

«Io con te non ci vengo.» sentenziò scocciato e Jimin gli lanciò uno sorriso malizioso.

«Voglio solo parlare della tua preziosa macchina fotografica, stai tranquillo non ti salterò addosso ... Non ancora.»

Jungkook spalancò gli occhi a quelle parole, mentre il ragazzo dai capelli arancioni ammiccava nella sua direzione e gli faceva segno di seguirlo.
Avrebbe potuto mandarlo a quel paese e andarsene, ma poi spostò lo sguardo sulla sua amata macchina fotografica e capì che non avesse scelta.

«Tu osa solo sfiorarmi con un dito ed io ti denuncio per molestie.»

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