2. Placidity

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Se ne stava lì, disteso sul suo letto a due piazze e mezzo, con gli occhi chiusi a pensare.
La scuola sarebbe ricominciata di lì a qualche giorno e lui si sentiva sollevato, perché avrebbe passato meno tempo possibile con suo fratello.
Mentre tutti erano preoccupati per l'imminente arrivo di compiti e argomenti da studiare, lui non aspettava altro che la mattina del primo giorno. Pensò al suo migliore amico, e agli altri, e sulle sue labbra si stiracchiò un sorriso. Non appena aprì gli occhi, qualcuno bussò alla porta. <<Dylan... posso entrare?>> La voce del padre lo risvegliò dai suoi pensieri.
Dylan guardò la porta per qualche secondo. Decise di far finta di dormire e non rispose, lasciando che il rumore dei passi dell'uomo si allontanassero assieme ad un sospiro rassegnato.
Dopo quel momento sentì i vari "buona notte" che si scambiarono i genitori ed il fratello. Poi, la casa cadde in un silenzio tombale.

Non era preoccupato, né particolarmente triste. Stava sommariamente bene ma non riuscì comunque ad addormentarsi. Continuava a guardare il soffitto con il solo bagliore della luna ad illuminare - attraverso qualche fessura della tapparella- la stanza, altrimenti completamente buia.
Non pensava a niente, la sua mente era vuota, nemmeno la sua voce interiore lo disturbava, come spesso invece faceva. Eppure, il sonno non lo sfiorava nemmeno.
Lentamente, anche il mattino arrivò, svegliando le case tenute fino a quel momento nell'ombra. Le luci dei lampioni si spensero e le macchine ricominciarono a girare per le strade col loro fragore ormai divenuto un suono naturale.
La famiglia Johnson si svegliò, come sempre, di buon umore. O quasi.

Dylan scese le scale con calma, rischiando di cadere quando il fratello gli passò accanto sfrecciando giù per dare il buon giorno alla madre già in cucina. Sembravano tutti in fermento e mangiavano chiacchierando del più e del meno interrotti da qualche sbadiglio.
Poi d'un tratto, come se qualcuno avesse improvvisamente cambiato canale, l'atmosfera cambiò, lasciando spazio alle parole infide e serpentine di Justin, che gli scivolarono fuori dalla bocca come la progenie di un brutto rettile: <<Be', Dylan, ieri mi sono dimenticato didirtelo... >> Gli occhi impregnati di malvagità e un ghigno beffardo a stropicciargli la bocca sottile, facendo del suo bel volto un concentrato di cattiveria. <<Mentre tornavo ho frugato della tasca della giacca che ti avevo preso, e ho trovato un foglio... >>
Il cuore del ragazzo cominciò a battere furioso nel suo petto. Si sentì avvampare. All' udito, qualsiasi suono gli giungeva ovattato. << L'ho letto>>
I due si guardarono. Gli occhi di Dylan sgranati all'inverosimile, quelli di Justin resi a due fessure luccicanti della sua perfidia.

Il maggiore tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un foglio di carta ripiegato molte volte su se stesso.
Sospirò, assunse un espressione solenne e gonfiò il petto tenendo il foglio aperto davanti agli occhi <<Ehm-ehm: "Caro diario, volevo dirti una cosa che mi turba molto: sono l'unico della mia classe ad essere ancora vergine->> Dylan scattò in ginocchio sul tavolo cercando di afferrare la lettera, ma rovinò sulla superficie inciampando nella tovaglia, dando al fratello la possibilità - involontaria - di continuare.
Justin rideva. << Ho provato ad uscire con una ragazza, ma nel momento critico mi sono tirato indietro->> i genitori avevano un aria confusa quanto consapevole, così il padre decise di intervenire mentre la moglie aiutava il figlio ad alzarsi.
<<Avanti Jus, smettila. Gli da fastidio, ridagliela.>> disse con voce autorevole, tendendo la mano per prendere il foglio stretto avidamente tra le dita di Justin.
Quest'ultimo si allontanò e riprese.
<<Aspetta papa! Questa è la parte migliore, senti: "sono veramente triste perchè ho un sospetto, penso di essere-">> ma non finì la frase, perché la lettera gli venne strappata dalle mani. <<Sta' zitto bastardo di merda!>> Dylan aveva quasi le lacrime agli occhi.

Justin rimase fulminato dallo sguardo del fratello: uno sguardo omicida. Voleva sinceramente fargli del male in quel momento.
<<Scusa! Stavo solo dicendo una cosa che avresti dovuto condividere con tutta la famiglia... >>
Il suo tono superficiale ed irritante lo fece esplodere.
<<DOVEVI STARE ZITTO!>> e corse in camera, sbattendosi con forza la porta alle spalle, sperando di non essere seguito e raggiunto. Strappò la lettera in così tanti pezzi che avrebbe potuto usarli per farne un mosaico, appallottolò tutti i frammenti e li gettò dentro ad un cestino, per poi tirargli un calcio e buttarlo per terra.
Si lanciò sul letto, divorato dalla rabbia, e ficcò la testa nel cuscino. Gli tirò un pugno, cercando di sfogare la sua frustrazione.
<<Lo odio... Lo odio... TI ODIO!>> gridò all'ultimo, sperando di farsi sentire.

Fuori dalla camera, la voce della madre lo fece calmare.
<<Dylan... sono la mamma, posso entrare?>>
<<Mamma... ti prego lasciami solo... >> la porta si aprì comunque e Evie entrò ignorando le parole del figlio. Si sedette sul letto e gli accarezzò la schiena con le morbide mani che parevano foderate di velluto. <<Tranquillo. Non c'è niente di male se sei->>.
<<Non sono gay!>> strillò il ragazzo senza dissotterrare la testa dal cuscino, ma anzi diventando ancora ancora più un tutt'uno con esso. Lei sorrise e gli posò un bacio tra i capelli corvini.
<<Va bene. Comunque io e papà abbiamo sgridato Justin.>>
<<Come se a lui importasse qualcosa, ha diciotto anni, Non gliene frega niente se lo sgridate o no! ... Mamma, fammi un piacere... >>
<<Dimmi>>
<<Dimentica quella lettera. Era solo una roba vecchia.>>
<<Certo... può capitare di sentirsi confusi, amore, tranquillo. Se hai bisogno di me, sai che la mamma c'è sempre>>
Dylan si voltò la abbracciò stringendola fino ad aderire completamente a lei.

Quando erano insieme, il resto non contava niente, riusciva a liberare la mente e a rilassarsi.
Poi, la signora Johnson lo lasciò solo con i suoi pensieri.

Era certo di non essere gay, ma il fatto che quell'idiota di suo fratello lo avesse detto alla sua famiglia, e probabilmente non solo, faceva nascere dentro di lui una rabbia irrefrenabile. Ora, la persona più sbagliata del mondo sapeva di quel vecchio "segreto".

Nessuno andò più a trovarlo in camera: avevano capito che dovevano lasciarlo solo. Tranne Justin che, naturalmente, non sarebbe andato da lui a prescindere, nemmeno sotto tortura. Ogni volta che Dylan pensava ad un possibile ricatto da parte del fratello, si alzava dal letto e cominciava ad andare su e giù per la stanza come un anima in pena.

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