7. Peace?

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Dylan aveva degli specie di vizzi, delle brutte abitudini.
Mentre mangiava, ad esempio, teneva una mano sulla bocca stretta a pugno. Oppure quando era nervoso si tormentava il labbro inferiore con l'indice e il pollice come a volerlo staccare. O ancora, quando era in mezzo alle persone e magari doveva fare qualcosa che lo metteva a disagio, cominciava a passarsi le mani sul mento, sulle labbra o sulle orecchie. Be', in quel momento - e non sapeva spiegarsi il perché  o forse nemmeno se n'era accorto - li stava avendo tutti e tre.

Qualche giorno dopo la sfuriata con Justin, Dylan si era quasi sempre rifugiato a casa del suo migliore amico.
In quel tardo e umido pomeriggio era seduto sulla poltrona del padre a fissare le fiamme che, sfavillanti, mutavano e s'intrecciavano nel grande camino di pietra. Con una mano si toccava le labbra, passandoci poi il polso e con l'altra si stava sfregando il lobo dell'orecchio, tirandolo e stringendolo. Di tanto in tanto si passava un braccio sulla collottola e sospirava.
Continuò ad ammirare il fuoco. Pensò a quanto fosse bello. Così pieno di sfumature, così tranquillo eppure così letale ed imprevedibile. Così leggero. Sembrava un lenzuolo che quasi traspariva e si sfumava dando poi origine a nuove piccole fiamme che divampavano furiose infrangendosi sui mattoni, facendo schizzare ovunque scintille dorate.
Sentì un rumore dalla cucina, così girò il viso incontrando quello di suo fratello. Si voltarono entrambi dalla parte opposta, all'unisono. Subito Dylan ricominciò a sentire solo lo scoppiettio del fuoco.
Dopo poco sentì una presenza proprio dietro alla poltrona. Non si mosse, nonostante avesse capito a chi appartenesse quell'aura malvagia che sarebbe persino riuscito a vedere. <<Possiamo parlare?>>
Era stato parecchio tempo a fissare ed ascoltare il fuoco, quindi la voce del fratello gli arrivò altissima e squillante. Fece unasmorfia infastidita e lo ignorò, sentendo uno sbuffo irritato.
<<Sono tre giorni che tieni il muso. Ti ho chiesto scusa, no?>>
<< Le scuse funzionano solo se sei veramente pentito... altrimenti valgono come uno sputo nell'occhio.>>
Non  aveva resistito, la voglia di lanciargli la verità addosso era stata troppo forte. Fremeva dal desiderio di vederlo inginocchiarsi e chiedere perdono baciandogli i piedi, supplicando che le sue scuse venissero accolte con clemenza.
<<Ma io sono veramente pentito>> continuò Justin, cominciando ad alterarsi.
<<Certo...>> alzò le sopracciglia e fece per alzarsi ma Justin, da dietro, lo tenne per le spalle inchiodato allo schienale.
<<Bene, ho capito a che gioco stai giocando... cosa devo fare per farmi perdonare?>> lo chiese con un tono tanto scocciato che Dylan quasi si mise a  ridere.
<<Da quando ti importa di fare pace? Noi siam->>
<<Da quando mamma ha nascosto gli alcolici!>> ammise infine.
Dylan strabuzzò gli occhi, Incrociò le braccia al petto, si raggomitolòsu se stesso e ringhiò. <<Ma non avevi detto di essere pentito?>>.
<<Senti... dimmi cosa vuoi che faccia e finiamola.>>
<<Vattene.>>
<<Così faremo pace?>>
<<Assolutamente no.>> Disse continuando a guardare il camino.
Justin grugnì.<<Ma perchè sei così str->>.
<<Dylan, tesoro... >>la voce della signora Johnson irruppe nella sala, ostacolando la frase di Justin. Trotterellò verso il figlio con aria dispiaciuta. <<... Lo so che mi avevi chiesto di accompagnarti in discoteca per il compleanno di Dereck ma... ho avuto un imprevisto con il lavoro, devo partire domani mattina e tornerò soltanto verso sera.>>
<<Ma mamma... mi dovevi portare a casa sua alle sei.>> Disse con voce rotta. Sul suo volto calò un velo tetro come pochi.
<<Lo so tesoro e mi dispiace, volevo farglieli anche io gli auguri. Puoi sempre farti dare un passaggio. >> Gli accarezzò dolcemente i capelli per poi scusarsi ancora e lasciare la stanza.
Era rimasto spiazzato. Tutte le sue beate prospettive erano state tagliuzzate e buttate via come roba vecchia e di poco valore. Sentì una leggera stretta sulla spalla e sobbalzò leggermente come se si fosse appena accorto che il fratello fosse ancora insieme a lui.
Pensò alle sue parole... non voleva dargliela vinta, ma voleva anche andare alla festa. Sospirò pesantemente e strizzògli occhi, massaggiandosi poi le tempie.
<<Senti, volevi fare qualcosa per farti perdonare, giusto?>>
<<Certo...>> riuscì a percepire il suo ghigno malefico farsi largo sul suo volto a gomitate.
<<Domani portami a casa di Dereck alle sei e poi vieni a prendermi alla discoteca lì vicino.>> Il suo tono non ammetteva nemmeno una singola replica.
<<Tutto, per il mio adorato fratellino.>> Disse con voce melensa stringendogli ancora le spalle.
<<Poi ti mando il nome e l'indirizzo... quella roba là insomma.>>
Justin lasciò la presa tutto contento e ci mancò davvero poco che prendesse pure a saltellare. Dylan, intanto, non poteva credere di aver ceduto.

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