Erano ad un parco giochi, le mamme con lo sguardo vigile, fisso sui loro figli. Solo una sembrava distratta. I capelli corvini e gli occhi color smeraldo. Sembrava alle prese con varie scartoffie mentre i figli si divertivano ridendo e giocando.
Lui stava tranquillamente facendo una montagnola nella sabbia quando, guardandosi attorno, non vide più nessuno tranne una donna con a fianco una carrozzina che spingeva svogliatamente col piede leggendo una rivista. Cominciò a guardarsi attorno, confuso, noncapendo dove fossero finiti sua mamma e suo fratello. La donna sulla panchina si alzò fingendo di non vederlo e partì di gran carriera verso il cancello arrugginito del parco illuminato dal tramonto.
Il bambino continuò a guardarsi attorno chiamando la madre e attendendo una qualche risposta che tardava ad arrivare. Cominciò a farsi buio e, spaventato, cominciò a correre per i vialetti, gli occhi gonfi e pieni di lacrime. <<Mamma, Mamma! Mamma... >> Ma piano piano la voce si affievoliva, gli moriva in gola.
Sentì dei passi e poi, senza nemmeno accorgersene si ritrovò tra le braccia della madre, con il volto nascosto nei suoi capelli mossi e le lacrime a sgorgagli dagli occhi tristi e spaventati. Strinse forte la maglia della donna cercando anche gli occhi del fratello oltre la sua spalla ma, una volta trovati, questi lo squadravano come fosse un insetto ripugnante che doveva essere schiacciato subito.ora invece stava nella vasca da bagno. Costretti a lavarsi assieme, i due fratelli s' ignoravano. Poi, tutto avvenne in un lampo. La breve vita gli passò davanti agli occhi.
Si sentì mancare il respiro. A tentoni cercava le mani che gli tenevano la testa bloccata sul fondo della vasca. Le bolle d'aria gli si pararono davanti, confondendolo. La testa si fece pesante. Riuscì a togliere le mani del suo attentatore uscendo dall'acqua, nel panico, in cerca di ossigeno. Il padre entrò nella stanza con foga, richiamato dai rumori provenienti dal bagno, sperando non fosse accaduto niente. I due fratelli si guardarono, e Justin aveva ancora incastrato sul volto quello sguardo.Un' altra volta - non ce la faceva più - erano usciti loro due, da soli, e si erano fermati qualche secondo.
Il tempo di tirare su la zip dei pantaloni e si era ritrovato da solo in mezzo al nulla circondato da una vasta distesa di sabbia. Gli sembrava quasi che fosse un deserto: senza acqua, senza qualcuno a cui attaccarsi. Lo aveva abbandonato. <<No...>> si guardò attorno ancora, sperando. Lanciò un urlo di rabbia e si mise a camminare.
Si era fatta sera quando trovò il fratello bellamente accomodato su di un cespuglio. <<Ce ne hai messo di tempo... potevi anche non tornare... >> lo guardò. E il suo sguardo non era cambiato.Spalancò gli occhi, rovinati dalla vista di quei ricordi odiosi. Aveva il fiato corto. Il cuore si scaraventava sulle pareti della cassa toracica. Si passò una mano sul volto per poi coprirsi gli occhi cercando di calmare il proprio battito, ancora intrappolato nei sogni, quando il solito sguardo che gli conservava il fratello lo investì come una botta in faccia. <<Perchè... >>mormorò.
Perchè doveva guardarlo dall'alto in basso? Lo aveva sempre fatto, almeno da quando lui ne aveva memoria. Non gli bastava la vita reale, durante il giorno... no, ora doveva subirlo anche nei sogni, la notte.
Se la prese, come al solito, con l'innocente cuscino, sbattendolo sul materasso per poi affondarci il volto dentro e urlargli contro come fosse colpa sua, stringendolo fra le dita sperando di non riaddormentarsi per non fare altri sogni, belli o brutti che fossero... lo avrebbero turbato comunque.
Finì per riaddormentarsi.Durante la colazione, muoveva la forchetta nel piatto senza nemmeno guardarlo o riuscire a prendere qualcosa dal suo interno. Il suo sguardo crucciato era rivolto solo a Justin, che parlava allegramente con i genitori gesticolando a braccia larghe e mimando imprese grandiose, lui solo sapeva quali. Aggrottò ancora di più lesopracciglia e lasciò che un ombra scura gli calasse sul volto, stringendo la forchetta e rischiando di piegarla.
<<Be' non siete felici? Domani inizia la scuola.>> Annunciò il signor Johnson cercando di entrare nel campo visivo del figlio stizzito. Allora Dylan tornò nel mondo reale calcolando il padre sfoggiante un sorriso allegro. <<Si, papà... >> rispose, senza nemmeno fingere un qualche entusiasmo.
<<Certo!>>
I genitori guardarono divertiti il figlio maggiore consapevoli che, comunque, non avrebbe preso esattamente delle eccellenze.
<<Justin...>>la madre, tranquilla come sempre, cominciò a parlare con lui. Dylan ascoltava, o meglio, sentiva. Lo percepiva più come un suono ovattato, troppo impegnato a fissare quello strano mostro bello come un demone seduto alla destra della donna. Non sopportava niente di lui: aveva gli stessi occhi della madre, ma questo di certo non gli aveva mai fatto cambiare idea, aveva i capelli dei genitori ma nemmeno questo aiutava a farselo piacere. Forse era proprio quella somiglianza con i genitori a renderlo così irritante, così insopportabile. O forse era semplicemente arrogante e presuntuoso.
E pensare che, da li a quasi niente, avrebbe dovuto trascorrere la bellezza di venti minuti nella macchina di quell'essere riprovevole, perché la madre aveva caldamente consigliato di andare a compare i materiali per la scuola e più che un consiglio, ai due, era parso un ordine.
Dylan sarebbe sicuramente crollato o morto prematuramente. Al solo pensiero di rimanere chiuso con lui all'interno di un oggetto in movimento, senza avere la possibilitàdi scappare, e con alte probabilità di incidenti gli si contorceva lo stomaco e mille fitte gli attraversavano l'addome, per non parlare dei polmoni, che sentiva schizzare via in qualche luogo perduto, e probabilmente senza alcuna intenzione di tornare... come biasimarli, poi.
Anche lui avrebbe voluto scappare via. ma non poteva. Da piccolo gli bastava rifugiarsi nella camera della madre o anche solo tra le sue braccia ma ora in nessun posto si sentiva veramente a suo agio, tranquillo, sicuro. Per un attimo, ma solo un attimo, i loro occhi si incrociarono. Justin si era accorto di essere fissato, ma, stranamente, non aveva fatto commenti per criticarlo o rifilargli qualche battuta crudele. Probabilmente era troppo impegnato a vantarsi e a gonfiare di orgoglio i genitori non ancora stanchi di sentire tutto quel continuo ciarlare inutile.
Lui si alzò dal tavolo, completamente ignorato dalla famiglia e si accovacciò sulla poltrona marrone solitamente usata dal padre. Chiuse gli occhi e vari ricordi, come sogni in una dormiveglia, passarono davanti alle sue iridi cerulee. Erano tutti ricordi riguardanti Justin: stava scavando nella memoria, cercando un qualche episodio bello o felice che avesse passato con lui... ma per quanto si sforzasse, niente. Ricordò che una volta il tronfione lo aveva fatto partecipare ad uno dei suoi viaggi. Non spazzò subito via il ricordo ma, appena riaffiorò il motivo di quell'invito, scosse la testa nervosamente per poi riaprire gli occhi e trovarsi spiaccicato davanti alla faccia il volto sinistro dell'altro.
<<Fatto un bel sogno, principessina sul pisello?>>
<<Non dormivo...!>> Ringhiò Dylan tirandosi a sedere sulla morbida poltrona.
<<Eppure sembrava di si... >> disse Justin allontanandosi un po' da lui mantenendo il suo odioso sorriso di scherno a deformagli la faccia.
Dylan si alzò velocemente e lo scansò col gomito. <<Chiudi quella bocca.>> Era parso come un rantolo minaccioso che fece congelare il fratello solo per un millesimo di secondo. Poi Dylan se ne tornò in camera a riflettere. Lo aveva visto bene mentre saliva le scale.
<<Hey, vestiti decentemente domani, sennò col cazzo che entri nella mia macchina>>
Quello sguardo. non era cambiato in quegli anni... era sempre quello.Perdonatemi il fatto che alcune parole sono attaccate. Purtroppo ho avuto probblemi con la pubblicazione, nel passaggio da PC a telefono.
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LOVE YOUR ENEMY
Romansa[COMPLETA. IN REVISIONE] Ps. Se la state leggendo durante revisione potrebbero esserci delle incongruenze tra i capitoli siccome non ho ancora terminato di revisionarla. Amore e odio. Sentimenti così diversi eppure così uguali. Così difficili da do...