18. Today

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Ogni giorno è speciale. Ogni momento in cui respiriamo l'aria che ha respirato qualcun altro. Ogni attimo che passiamo da soli, in compagnia, ad annoiarci, a divertirci... ogni giorno è speciale ma ci sono giorni più speciali di altri... o notti...
<<Papa! Il Giornale lo hai preso?>> urlò scendendo le scale, ancora in pigiama e spettinato. Precipitò in cucina e si sentì felice come mai lo era stato negli ultimi tre o quattro mesi. Justin stava ingurgitando un enorne ciambella alla crema quando spalancò gli occhi e soffiò via lo zucchero a velo che la ricopriva, sembrando proprio un toro imbufalito. <<E tu da dove sbuchi?! Dove caz->>
<< ... Linguaggio... >> lo ammonì la Signora Jhonson, bevendo un sorso di caffè da una tazzina.
<<... Dove cavolo sei stato tutta la notte?!>>
<<In realtà... sarei tornato ieri sera... un po' tardi...>> fece Dylan rimanendo in piedi davanti al tavolo ovale; il Signor Jhonson arrivò con calma in cucina e si sedette posando la sua tazza di caffè sul tavolo rivolgendosi al figlio maggiore ancora stordito. <<Puoi stare tranquillo, garantisco io per la sua sicurezza. Era con Dereck... in mani sicure, insomma. Sono andato a prenderlo io visto che la macchina del padre di Dereck è stata sequestrata... per ovvi motivi...>> disse in tono eloquente facendo un occhiolino a Dylan che sorrise colpevole e si sedette.

Durante quella sera, mentre ancora si stavano abbracciando, un vecchio signore in divisa si era affacciato allo sportello e aveva bussato un paio di volte con l'indice per attirare la loro attenzione; i due arrossirono e si ricomposero, poi l'uomo, seppur divertito, chiese la patente di Dereck... si scoprì essere lo stesso vigile che aveva incontrato quel pomeriggio, infatti si riprese i suoi occhiali e portò via la macchina, dopo aver chiamato i genitori del ragazzo che lo riportarono a casa.

<<Sembri felice, è successo qualcosa di così bello?>> chiese la Signora Jhonson alzandosi per lavare la sua tazzina. Dylan sobbalzò, riscosso dai suoi pensieri e negò col capo sorridendo ma per qualche attimo incrociò lo sguardo del fratello, oltre l'enorme ciambella, e non seppe decifrarlo.
Quella mattina, a scuola, Dereck sembrava nervoso e si muoveva in modo frenetico per ogni cosa che faceva; che fosse aprire un libro o prendere delle cose dall'astuccio, come se il tempo gli stesse scivolando tra le dita.
Come se non bastasse, non aveva rivolto neanche mezzo sguardo a Dylan, che si sentì offeso e usato; riuscì a bloccarlo proprio mentre apriva la porta del bagno: lo afferrò per un braccio e lo voltò di botto guardandolo negli occhi che si erano spalancati mentre le pupille scure si dilatavano. <<Buongiorno anche a te>> disse affannato a causa la corsa fatta per raggiungerlo. Dereck sembrò interdetto e schiuse le labbra più volte prima di parlare. <<Oh, non ti avevo salutato... scusa>> fece con una disinvoltura del tutto convincente. Dylan alzò le sopracciglia in una evidente risposta ironica. <<Ma se non mi hai cagato mezzo minuto>> disse lasciando il suo braccio con una smorfia fintamente schifata. <<Si be', mi è passato di mente... >> ora sembrava in difficoltà e il suo volto stava prendendo una sfumatura rosea.
<<Passato... Ma stai scherzando?>> esclamò sottovoce ma adirato. <<Ho capito... ieri sera eri ubriaco>> e si voltò per andarsene.
<<... Un attimo>> sussurrò Dereck come se avesse avuto paura che i mobili e le pareti ascoltassero, e gli mise una mano sulla spalla. <<Puoi venire un secondo?>> Dylan si girò e lo guardò, poi guardò i corridoi che aveva di fianco; erano vuoti. Gli passo per la mente di lasciarlo lì e tornare in classe per ripicca, ma Dereck sembrava esausto e aveva uno sguardo talmente supplichevole che annuì ed entrarono nel bagno.
<<Cosa c'è?>>
il cuore accelerò all'improvviso la sua corsa quando Dereck si avvicinò e lo abbracciò. Il sangue arrivò direttamente al cervello e divenne bollente. Ricambiò la stretta e affondo il naso nella sua felpa, tra la spalla e il collo, e il suo odore gli offuscò la mente, come una specie di droga... fu una sensazione strana e percepì dei brividi attraversargli la schiena.
Sentì Dereck fare lo stesso e si strinsero per parecchi minuti senza spiccicare parola.
L'incanto venne spezzato da una suoneria, la quale proveniva esattamente dalla tasca posteriore sui jeans di Dylan. Probabilmente approfittando della cosa, Dereck portò immediatamente la mano in quel punto e lo strinse leggermente per poi tirare fuori il telefono e guardare chi li aveva interrotti.
Il moro sentì crescere l'imbarazzo dopo quel gesto ma decise di non dire niente, si sentiva un po' come una ragazza e non capiva se questo lo rendesse felice o lo facesse solo sentire a disagio.
<<Chi è? >> chiese cercando di guardare il suo cellulare in mano a Dereck che, facendo una piccola smorfia, glielo porse dicendo: <<Tuo fratello>>
<<Dove sei?>> scattò immediatamente la voce di Justin quando Dylan rispose alla chiamata. Rimase confuso; come " dov'era" ? Dove doveva essere?
<<A... scuola?>> Rispose ovvio.
<<E non sai che a quest'ora devi uscire da scuola?>>
<<Ma che... Dk che ore sono?>> si rivolse all'amico, leggermente accigliato.
<<Oh cazzo, ecco perché non c'era nessuno in corridoio... >> fece lui allarmato alzando lo sguardo dall'orologio da polso.
Dylan alzò gli occhi al cielo, esasperato; uscì di corsa dal bagno senza salutare Dereck e si fiondò in macchina da Justin che partì non appena la portiera si richiuse.
<<Eri con lui?>> fece, subito dopo.
<<Si>> rispose l'altro, cercando di non dare troppa importanza a quella risposta.
<<E se non eravate nei corridoi e neanche in classe... dov'eravate?>> chiese in tono casuale.
<<... In bagno>> rispose Dylan con lo stesso tono.
<<E... cosa stavate facendo in bagno?>>
<<... Non ti riguarda>> rispose, ora più freddo.
<<Sono tuo fratello>> replicò Justin, deciso.
<<Sta zitto>>
<<come?>>
Perché voleva sapere cosa stavano facendo? Erano fatti suoi! Dylan stava perdendo la pazienza e si sentiva come una bomba in procinto di esplodere. La strada davanti a loro era deserta ancora una volta e coperta di nebbia; il freddo cominciava ad entrare dalle fessure degli sportelli e i vetri si stavano appannando.
<<Ho detto stai zitto>> ripeté con forza.
Justin frenò di colpo e Dylan quasi si strozzo con la cintura.
<<Senti puttana, a me "stai zitto" non lo dici, chiaro?>> quasi urlò, ma mentre parlava rimase a fissare un qualche punto nella nebbia mentre stringeva il volante tra le mani e le nocche diventavano bianche. Dylan sentì una stretta allo stomaco sentendosi chiamare "Puttana". Il perché lo stesse trattando in quel modo, lui non lo sapeva. Ma non sembrava lo stesso. No. Era come il vecchio e violento Justin. Strinse i denti e, con una qualche forza trovata chissà dove, parlò, bloccando il tremolio che minacciava la sua decisione. <<Pensi che io sia una puttana? Grazie, ora si che so di avere un fratello che mi ama>> incrociò le braccia al petto per sembrare offeso... ma in realtà era molto più che offeso; era rotto. Era bastata una parola per spezzarlo. Ma poi, nel silenzio, in mezzo alla nebbia, su quella strada fredda, sentì una specie di singhiozzo e con la coda dell'occhio vide la testa del fratello cadere fra le mani e schiacciarsi sul volante. Ora era confuso, Justin non piangeva mai... e ora... le lacrime cadevano in silenzio sulle gambe lasciando dei segni scuri che piano piano si dilatavano.
<<J-Justin?>> fece perplesso e quasi spaventato.
<<Dimmi solo una cosa... >> cominciò, mormorando ma senza singhiozzi o tremolii. <<...Non... ti ha fatto nulla, vero?>> nascose ancora di più il viso fra le mani e deglutì così forte che sembrava avesse ingoiato la propria lingua per smettere di parlare. Dylan allora collegò tutto: il suo sguardo severo di quella mattina... si era preoccupato per lui; Sapeva che Dereck era un bravo ragazzo ma evidentemente pensava che dopo quello che aveva fatto lui, ogni persona avrebbe potuto fare lo stesso. <<... Ti prego se è successo qualcosa dimmelo...>> ora la sua voce tremò e Dylan non seppe bene cosa fare o dire... era una situazione davvero particolare. Ma ormai, negli ultimi tempi, ci si era abituato.
<<Qualcosa è successa... >> disse piano, ma non ebbe il tempo di aggiungere altro che Justin si era già tirato su, le guance bagnate e gli occhi rossi. <<Io lo uccido quel bastardo! Ricordami solo dove abita che->>
<<Mi ha solo baciato>> disse dopo avergli schiaffato la mano sulla bocca. <<... E quando, ieri sera, gli ho detto che... non volevo, lui si è fermato subito >> Justin parve sollevato e scostò la mano del fratello per parlare; aveva un segno rosso che delineava le cinque dita di Dylan. <<Davvero?>>
Dylan annuì e subito dopo Justin si raddrizzò e si strofinò gli occhi con una mano mentre le labbra si arriciavano.
<<Così però è esagerato... dai, smettila>> lo supplicò Dylan, decisamente a disagio. <<Hey non scherzare... che ti prende... Perché continui a frignare? >> chiese poi, esitando. Vedendo che il fratello non accennava neanche a guardarlo in faccia, si avvicinò e gli passò un braccio sulle spalle, sfregò la fronte su quella tremante di Justin e dopo qualche secondo gli prese la testa fra le braccia e lo strinse al petto. Erano in una posizione davvero scomodissima ma non ci fecero troppo caso.
<<Non volevo chiamarti così... >>rantolò con voce roca, seguito poi da un singhiozzo.
<<... Basta... fa niente>> sussurrò con le labbra fra i suoi riccioli neri. Justin si calmò e smise di piangere ma in fondo sembrava che qualcosa, al di là di Dereck e di quello che poteva aver fatto, lo turbasse...
Quel giorno passò più in fretta degli altri e si lasciò dietro una scia di candida pioggia ormai simile a neve che cadeva sulle guance dei bambini al parco, cadeva sugli occhiali dei nonni sulle panchine, sui ciuffi ribelli dei giovani e sulle ciglia truccate delle ragazze. E intanto, giunta la sera, l'intera famiglia era riunita attorno al tavolo; Il signor Jhonson sembrava stanco ma sorrideva alla moglie che allegramente raccontava la sua giornata come una buffa barzelletta, mentre i fratelli, ognuno preso dai propri pensieri, guardavano i loro piatti ancora pieni, uno sorrideva spostando la forchetta di qua e di là sulla superficie graffiata come se ci stesse disegnando sopra, l'altro invece aveva uno sguardo vacuo e teneva la forchetta in uno strano modo, come a volerla farla fluttuare, l'aveva tra due dita con una leggerezza che sembrava irreale e poi, senza che neanche se ne fosse accorto, Dylan si ritrovò ad osservare il soffitto della sua camera, tra le coperte calde del suo letto circondato dal buio rischiarato solo dalla luce della lampada sul comodino esorrideva, senza saperne il preciso motivo, ma sorrideva. Finché non gli venne in mente...









Capitolo cortissimo, lo so e mi dispiace, sono consapevole del fatto che in principio questa storia non è particolarmente seguita e il fatto di non aggiornare spesso di sicuro non aiuta, ma la scuola è iniziata anche per me e ho avuto molto da fare... cercherò comunque di aggiornare più spesso !

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