Era la mattina felice di un giorno infausto quando Dylan, assonnato e con il pigiama stropicciato dalla notte, uscì dalla sua stanza per dirigersi verso il bagno.
Aprì la porta e si avvicinò al gabinetto, portò le mani ai lacci dei pantaloni ma in quel frangente si accorse che qualcosa, all'interno della tazza, non andava.
L'acqua non era più trasparente come era solita essere, ma rossa, un lieve rosso che ne infestava la superficie. Pensò, dopo qualche secondo di confusione e breve riflessione, che fosse arrivato il periodo di mestruazione per la madre ma poi, quando stava per tirare lo sciacquone per cancellare quella vista decisamente poco piacevole, sentì un gemito, poi un rantolo, un respiro affannato... avvertì dei versi sofferenti che si alzavano sempre di più, evidentemente mal soffocati dal proprietario.
Preso improvvisamente dal panico, si precipitò in corridoio cercando di captare il luogo di provenienza di quei lamenti, fino ad intercettare la camera di Justin, la porta chiusa e un aura scura a vorticarle attorno. Entrò senza bussare, con foga e preoccupazione, e quel che vide lo fece pietrificare per qualche attimo: il fratello stava riverso a terra, rannicchiato, e stringeva con forza la parte più bassa della schiena, nel punto dei reni, mordendo un lembo della maglietta bagnata da lacrime e sudore mentre fra i denti si liberavano quelli che erano degli spaventosi versi di agonia pura.
<<Jus!>> Non ebbe tempo per pensare, si inginocchiò accanto a lui cercando di voltarlo, prendendolo per le spalle, per il busto, ma Justin era rigido come un pezzo di legno e non ne voleva sapere di abbandonare la posizione iniziale, stringendo con maggiore forza il punto dolorante. <<Jus, che cazzo succede! Che hai?>> nessuna risposta, solo uno sbuffo dolorante mentre apriva gli occhi rossi e gonfi. <<Justin guardami... guardami!>> urlò completamente preso dal terrore, indeciso sul da farsi, senza la minima idea di quello che stava accadendo al fratello. Vedendo che non dava nemmeno segno di averlo sentito, accecato dal dolore, gli prese il volto con la forza e lo girò per farsi guardare; il maggiore parve accorgersi di lui solo in quel momento, mollò la maglia stretta fra i denti e strinse gli occhi dai quali caddero innumerevoli lacrime mentre la sua sofferenza aumentava sotto lo sguardo terrorizzato di Dylan. <<Jus! Parlami, ci riesci? Riesci a parlare? Avanti, dimmi qualcosa! JUS dimmi qualcosa!>> se si fosse messo a piangere anche lui, probabilmente sarebbe stata la fine per entrambi mentre la ragione scivolava sotto la loro paura; provò a dargli dei leggeri schiaffi sul volto sperando che reagisse ma Justin dopo poco lanciò un grido e si inarcò, smettendo per qualche secondo di respirare.
<<JUSTIN!>> tuonò Dylan avvicinandosi ancora a lui cercando di guardarlo negli occhi, poi sentì un mormorio venire proprio da lui. <<... Dylan... p... papà>> e riprese a contorcersi sotto il proprio dolore.
<<PAPÀ!>> urlò allora Dylan, capendo che il fratello aveva bisogno di lui, ma non ebbe nemmeno finito di pronunciare tutta la parola che i genitori erano già in camera addossati al ragazzo. Il Signor Jhonson spostò malamente Dylan e afferrò il volto di Justin che strinse una mano sul suo braccio mugolando mentre contraeva una mandibola. <<Papa... >> fu quasi inudibile. La Signora Jhonson gli accarezzo i capelli per qualche secondo. Dylan era in piedi dietro di loro, completamente immobile, traumatizzato dalla vista del fratello che alternava delle urla di agonia con dei rantoli atroci.
<<Evie, muoviti!>> fece sbrigativo il Signor Jhonson passando un braccio sotto le spalle di Justin, tirandolo leggermente su e facendo cenno al figlio minore di fare lo stesso. <<Dylan, vieni qui>> e Dylan sentì una lievissima nota di trepidazione in quella voce decisa; Evie uscì dalla stanza come un fulmine precipitandosi al piano di sotto e Dylan la sentì quasi cadere, poi lui si avvicinò velocemente al padre, imitandolo, e sollevarono con qualche fatica il ragazzo che però gridò ancora, stringendo le braccia attorno ai loro colli e Dylan credette che glielo avrebbe rotto.
<<Portiamolo giù, dai>> la sua voce era soffocata con la gola stretta nella morsa del figlio sofferente, e portare Justin al piano di sotto si rivelò più difficile di quando avesse pensato Dylan, che incespicò nei propri piedi più volte prima di arrivare a destinazione, poi il padre lo guardò e disse. <<Portalo al divano, io arrivo subito>> e lasciò Justin, con tutto il suo peso, nelle mani del ragazzo che, preso alla sprovvista, dovette fare appello a tutte le proprie forze per tirarlo su e non lasciarlo cadere. Le mani del maggiore si arpionarono a lui e, dopo dei grossi sforzi, Dylan riuscì a portarlo fino al divano dove lo lasciò cadere, esausto. Poi si accovacciò vicino a lui, ancora scioccato, e gli sposto i capelli che si erano attaccati alla fronte umida, vedendo i suoi occhi aprirsi in due fessure mentre gemeva e allo stesso tempo cercava di trattenersi; provò a parlare ma non ci riuscì e Dylan fu stordito da quella visione raccapricciante. Per la seconda volta venne spostato, un po' più delicatamente, e allontanato dal fratello mentre la madre si avvicinava e gli posava una pezza bagnata sul capo. Si voltò, per vedere chi gli stesse stringendo un braccio, e incrociò lo sguardo preoccupato di suo padre. <<Papà, che succede... >> mormorò, sentendo una spiacevole sensazione di nausea salirgli su per la gola. Il Signor Jhonson lo guardò, esitante, indeciso e triste, poi si avvicinò a lui e lo avvolse in un abbraccio, accarezzandogli le scapole. <<Devi sapere che...>> sospirò <<Qualche mese fa... a Justin è stato diagnosticato un tumore ai reni... >>
e Dylan sentì la precedente sicurezza del padre scalfirsi, lo sentì tremare e solo allora ricambiò la stretta, avvertendo un inudibile singhiozzo infrangersi nell'aria; il Signor Jhonson deglutì e aggiunse. <<Stavamo aspettando un donatore... ma vedrai che andrà tutto bene, starà bene... >> ma sembrava che stesse cercando di convincere se stesso più che il figlio, il quale, occhi sgranati e completamente attonito, non ebbe né la forza né il coraggio per dire alcunché, per chiedere, per capire oppure arrabbiarsi... rimase in silenzio mentre la sua stretta diminuiva sempre di più sulla schiena del genitore.
Presto, arrivò un'ambulanza che parcheggiò scompostamente nel cortile di casa Jhonson; Evie aprì la porta e alcuni medici caricarono il ragazzo semisventuto su di una barella, portandolo dentro il veicolo; Dylan si riscosse dal suo stato di trance e raggiunse la madre, vicino al camioncino bianco, che stava per salire e la fermò. <<Vengo anch'io! >> urlò, ma un medico lo allontanò con l'aiuto del padre. <<Lasciami papà! Lasciami, voglio stare con lui quando si sveglierà! LASCIAMI PORCA PUTTANA!>> e con un ultimo strattone riuscì a staccarsi dalla loro presa ferrea, correndo verso la Signora Jhonson che, con un espressione estremamente rammaricata, si sedette e lasciò che le porte si chiudessero. L'ambulanza partì e Dylan fece di tutto per raggiungerla. <<Mamma no! Mamma digli di fermarsi! Justin!>> ma era troppo tardi; correndo, cadde a terra, inciampando in un gradino e sbattendo la testa sul cemento cosparso di ghiaia, strisciando le mani al suolo, graffiandole dolorosamente.
Si alzò con un po' di fatica, inginocchiandosi e spostandosi verso il margine della strada, sentendo il liquido caldo sgorgare dalla sua ferita sulla fronte... ma era un dolore secondario, di relativo interesse, non abbastanza forte per paragonarlo alla sua vera sofferenza.
Gridò, in preda ad una folle angoscia.
Pianse, non sapendo se avrebbe rivisto suo fratello... non sapendo se lo avrebbe rivisto vivo.
<<Dylan, calmati! Vieni, tirati su... >> il Signor Jhonson gli posò una mano sulla spalla per incoraggiarlo ad alzarsi e vedendo che non si muoveva, lo prese per le braccia provando a sollevarlo.
<<Mollami!>> ruggì Dylan scrollandosi di dosso le mani del padre e si alzò da solo, fissandolo truce. <<Perché non mi avete lasciato andare con lui?>> mormorò minaccioso mentre il suo sguardo si oscurava.
<<Poteva salire solo una persona... e tua madre aveva la precedenza in un certo senso... >> spiegò calmo lui, sospirando.
Dylan non rispose, continuò semplicemente a fissarlo mentre un rivolo di sangue gli scivolava sulla tempia, lento e caldo... passarono solo pochi minuti in cui i due si guardarono - gli occhi pallidi del padre dentro quelli insolitamente infuocati del figlio - e poi venne medicato dall'infermiere che era rimasto con loro.

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LOVE YOUR ENEMY
Romansa[COMPLETA. IN REVISIONE] Ps. Se la state leggendo durante revisione potrebbero esserci delle incongruenze tra i capitoli siccome non ho ancora terminato di revisionarla. Amore e odio. Sentimenti così diversi eppure così uguali. Così difficili da do...