6. Normality

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Anche il secondo, il terzo e il quarto giorno andarono bene. Ogni mattina Dylan si alzava, andava a scuola e poi tornava a casa accompagnato da Justin. Erano riusciti a non litigare per una settimana, quasi. Ogni tanto bisticciavano ma niente di paragonabile ad un attacco bellico. Qualche volta si scambiavano anche qualche "sorriso" e, naturalmente, ogni volta che erano in viaggio verso casa Justin faceva partire la musica a tutto volume tanto per vedere la reazione del fratello che, seccato, non dava a vedere il fatto che effettivamente si fosse spaventato.
Non si sopportavano ancora ma, per fare felici i genitori che avevano riposto in loro fiducia e responsabilità, cercavano di tollerarsi come meglio potevano. Non si riusciva a capire chi dei due fosse più collaborativo. Forse, in effetti, ci provavano entrambi.
I signori Jhonson erano così fieri. I loro cuori erano gonfi di orgoglio. Era la cosa più bella del mondo vederli andare d'accordo anche se a modo loro.
Brian era, oltre che soddisfatto, anche davvero stupito: era successa una cosa che non avrebbe creduto potesse succedere né in cielo né in terra. Si stupiva anche del fatto che la macchina del maggiore fosse ancora intatta, senza sedili strappati, vetri rotti o macchie di sangue sparse un po' ovunque. Pensò più di una volta di doverli premiare ma si trovava in difficoltà nel comprendere cosa veramente volessero. I due fratelli non avevano mai chiesto niente, se l'erano sempre cavata da soli e non erano mai stati viziati o pretenziosi.

Dylan dal canto suo non sapeva cosa pensare: di solito era sempre il maggiore a provocarlo e lui semplicemente si difendeva verbalmente - e non solo -. Ora, invece,  semplicemente non faceva niente. Non lo infastidiva, non lo prendeva in giro... o almeno, quasi sempre.
Perfino Dereck era sorpreso di non vederli azzannarsi appena usciti da scuola. Quel pomeriggio, però, andò diversamente. Dylan era stato attento e diligente durante ogni singolo minuto di tutte le lezioni come sempre e la giornata si preannunciava lieta come le altre che l'avevano preceduta ma in realtà, appena uscito, non vide la smagliante Mercedes del fratello. Si guardò attorno, avvertendo un ondata di dejavu sommergerlo tanto da fargli venire la nausea.
<<Hey, tutto a posto?>> Chiese Dereck aggrottando la fronte dopo averlo visto dondolare leggermente. Dylan sospirò senza guardarlo negli occhi. <<Si, si tutto bene... aspetto mio fratello>>
<<Ma non è ancora arrivato?>> Si mise a guardare davanti a sé mettendo una mano sulla fronte per non rimanere accecato dal sole, cercando di scorgere la sua macchina, ma non la trovò.
<<Vuoi che ti accompagno a casa? Lo so che andremmo a piedi... ma così non devi stare qua a cuocerti con quaranta  gradi all'ombra. >>
<<Non fa poi così caldo >>Disse Dylan, Poi si voltò verso di lui e gli sorrise. <<Tranquillo, vai. Io aspetto qui, non può tardare molto.>>
<< E va bene. Se hai bisogno chiamami.>> E si allontanò di corsa trascinando lo zaino come fosse una specie di sacco della spazzatura di cui non vedeva l'ora di sbarazzarsi.
Piano piano, la folla di ragazzi si diradò e il cortile sabbioso rimase deserto.
C'era ancora un ragazzo che, però, non si poteva ignorare.
Dylan infatti si era trovato il suo posticino sui gradini della scalinata della scuola, aspettando e aspettando ancora. Alcuni professori che gli passavano accanto per tornare a casa gli chiedevano se volesse un passaggio. Lui li rifiutò tutti, perfino il professor Harley che si era offerto gentilmente anche di chiamare i suoi genitori. Quanto si pentì di non aver accettato: nè i genitori nè il fratello avevano riposto al telefono quando li aveva chiamati lui. Ormai, arrivato al limite della tolleranza, tentò un altra volta sperando che almeno allora gli rispondesse.

<<Ah... Pronto?>>
La sua voce era annoiata, stanca, e Dylan sentì distintamente qualche sospiro nascosto tra le sillabe.
<<Come sarebbe "ah pronto"? Sei rincoglionito!? DOVEVI VENIRE A PRENDERMI A SCUOLA BRUTTO PEZZO DI MERDA! SONO DUE CAZZO DI ORE CHE ASPETTO! E tu, dopo tutte le volte che ti ho chiamato mi rispondi adesso come se non ricordassi nemmeno il tuo nome! ... E DI' QUALCOSA!>> Se qualcuno fosse stato nei dintorni si sarebbe spaventato probabilmente.
Qualche secondo di silenzio dall'altro capo del telefono, poi un altro ansimo e una voce femminile.
<<Chi è?>>
<<Nessuno... zitta... >> la voce della ragazza si spense immediatamente. Dylan si stupì nel sentire quella voce e per qualche motivo un enorme macigno si fece largo fra i suoi organi, scendendo lento e funesto verso lo stomaco. E lì si fermò, senza lasciare un attimo di pace alla mente del ragazzo per elaborare. Lo sentiva dietro lo sterno quel macigno bollente e pesante che aveva mandato giù come carbone.  Questo si era lasciato una scia sudicia dietro e poi si era ingrandito, ingrandito e ancora ingrandito.
Perchè si sentiva così? Ah, si, ecco perchè: suo fratello si era dimenticato di lui per... per cosa? Per fare quello che probabilmente faceva sempre quando era annoiato: sesso.
Ma  averne la conferma sentendo la voce della ragazza lo aveva fatto andare completamente giù di testa.
<<Senti... scusa... mi sono dimenticato->>
<<DI TUO FRATELLO! TI SEI DIMENTICATO DI TUO FRATELLO!>> Sentiva gli occhi bruciare assieme al viso, lo stomaco, il cuore, la mente. Tutto. Aveva vista appannata, voleva piangere.
<<Mi dispiace... ho avuto altro da fare->>
Dylan tirò su col naso ma se ne pentì subito dopo.
Avrebbe rimpianto per sempre quel gesto, perchè suo fratello se ne accorse subito.
<<Stai... piangendo?>> chiese, evidentemente confuso.
<<NO!>>
<<Va bene... vengo a prenderti, aspetta.>> Justin chiuse la chiamata e Dylan rimase con il telefono appiccicato alla guancia, fissando la strada con gli occhi lucidi e arrossati ma spenti, vitrei.
Troppo bello per essere vero, pensò. A molti sarebbe sembrato da bambini mettersi a piangere per una cosa del genere, ma a lui era sembrato come ricevere uno schiaffo, un schiaffo che bruciava come lava. Era successo di nuovo, proprio quando sembrava che tutto stesse andando bene: si era di nuovo dimenticato di lui. Aveva avuto di meglio da fare. Non capiva perché dovesse essere messo in secondo piano in modo così crudele.
Aveva una sola certezza: non voleva apparire debole. Non voleva rivedere quello sguardo carico di disprezzo. Questa volta sarebbe stato lui a sbatterglielo in faccia come la peggiore delle pene. Si asciugò le guance preparandosi all'arrivo del fratello che si fece vivo quando ormai il sole stava per tramontare e tutto, strade e case comprese, erano diventati arancioni perchè abbagliati dalla luce del sole che se ne andava. L'auto si fermò e subito Dylan si alzò, si pulì dalla polvere e andò verso la macchina. Aprì la portiera e si mise seduto senza guardare Justin. La richiuse e incrociò le braccia al petto aspettando la partenza del veicolo, che non arrivò. C'era così tanta tensione che sembrava si potesse tagliare.
<<Perdonami->>
<<Fanculo>> esordì Dylan senza guardarlo. A quel punto Justin si voltò verso di lui, ringhiando.<<Tu a me "Fanculo" non lo dici!>>
Dylan perse le staffe ma non cedette, non lo guardò.<<E invece te lo dico! Te lo dico perché sei solo una bastarda testa di cazzo! Quindi VAFFANCULO! SI, VAFFANCULO STRONZO! FANCULO TU E QUELLA TROIA! MI HAI SENTITO? VAFF- >>
<<Smettila!>> Prese Dylan per il collo della maglia e lo guardò negli occhi ma, nell'attimo in cui i due sguardi si incrociarono, avvertì un brivido. Era uno sguardo duro, freddo, disgustato e distaccato. Lo lasciò senza spiccicare parola. Tornarono a casa nel silenzio più totale. Si sentiva solo il suono ovattato, fuori dai finestrini, dell'asfalto sotto le ruote. Ogni tanto Justin si girava verso di lui e lo vedeva sempre con la stessa espressione: la fronte increspata e la bocca serrata. Poi, l'ultima volta che lo guardò, notò gli occhi lucidi.

*

<<Siamo tornati... >>annunciò il più grande entrando in casa. La madre si  diresse subito verso i fratelli, arrivando dalla cucina. <<Ragazzi! Come mai siete tornati così tardi->> non aveva nemmeno finito, che Dylan sfrecciò  oltre il fratello e salì le scale. La madre guardò Justin alzando un sopracciglio in una chiara richiesta di chiarimento. Subito dopo si sentì una porta sbattere, poi silenzio.
<<Ho fatto tardi ad andare a prenderlo... tutto qui.>> disse, strascicando le parole.
<<Tutto qui? È sera, Jus. Fa bene ad essere arrabbiato.>>
<<Mamma... non ti ci mettere pure tu.>> Si lasciò sprofondare sulla poltrona del padre e mise una mano tra i capelli sospirando.
<<Va bene... vi chiarirete da soli. Evie, vieni?>> Intervenne il padre guardandola eloquentemente. La moglie rispose con lo stesso sguardo e si avvicinò.<<Certo.>>

Dylan si era raggomitolato al centro della stanza, sul pavimento, la testa tra le ginocchia che, a loro volta erano intrappolate dalle sue braccia. Non piangeva. Pensava invece.
Insomma, perchè disperarsi? Quella era la normalità, dopotutto. Se ne sarebbe fatto una ragione.

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