14. Storm

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Quella notte, Dylan quasi non dormì... rimase sveglio per ore a fissare il soffitto lasciando che la mente vagasse per conto proprio. I suoi sogni, quando infine si addormentò, furono frammentari e turbati da immagini della sorella di Dereck che si trasformava in Justin che poi si trasformava nei genitori di Dereck... Ogni sogno era coperto di dense ombre nere che vorticavano e a tratti rallentavano attorno ai personaggi.
Si svegliò di soprassalto con il cuscino umidiccio - non sapeva se fossero lacrime, sudore o entrambi -. Aveva anche i capelli e il collo della maglia umidi. Dalla fronte ormai perlacea scendevano piccole goccioline trasparenti che gli scivolavano lungo il collo.
Scese a fare colazione cercando di non inciampare nella confusione da lui creata la sera prima e, quando fu a tavola, ascoltò i discorsi altrui ostentando un apparente interesse che in realtà era pressoché inesistente. Tutta la mattina di quel lunedì festivo passò lentamente per tutta la famiglia tranne che per Dylan, che sembrava contare ogni secondo che passava sperando di veder fermarsi l'orologio da un momento all'altro: non era pronto per affrontare Dereck. Ne era sicuro. Il cielo fuori dalla finestra era grigio, coperto da grossi nuvoloni minacciosi che annunciavano l'arrivo di un abbondante pioggia, nessuna macchina per le strade così come sembrasse che il mondo
fosse stato abbandonato, nessuna persona sui marciapiedi a correre con delle buste della spesa, nessun bambino, nessun adulto che portava a passeggio il proprio cane... i lampioni erano accesi nonostante la luce non si notasse un granché, le luci delle case ed il profumo di cibo caldo che filtravano dalle finestre e dai camini rendevano il tutto un po' meno triste. Tutte le tende di pizzo delle altre abitazioni erano tirate e si intravedevano delle figure muoversi all'interno, dei leggeri soffi di vento spostavano qualche foglia senza vita dall'asfalto umido, ma da fuori nessun rumore proveniva, nemmeno un sibilo. Dylan guardava fuori dalla finestra, seduto su una panca sotto di essa, premeva la guancia sul vetro mentre il suo fiato caldo contro quella superficie gelida formava un'aureola di vapore che in poco tempo si dissolveva mentre lui ci disegnava sopra con le dita. Il Signor Jhonson stava seduto al tavolo della cucina con degli occhiali rettangolari sul naso, ed un computer davanti che gli illuminava il viso di una fioca luce azzurrina che rifletteva sulle lenti. La Signora Jhonson leggeva un libro sulla poltrona del marito avvolta in una coperta rossa che la faceva sembrare una regina, con la luce del fuoco a illuminarle metà volto, i capelli neri che le ricadevano sulle spalle e gli occhi verdi concentrati sulle parole stampate di una pagina ingiallita, era veramente bellissima. Justin era sdraiato sul divano coperto da una miriade di cuscini, i capelli scompigliati e gli occhi stanchi, teneva il telefono e probabilmente scriveva a qualcuno, ma sembrava annoiato. Il fuoco continuava a scoppiettare fra le pietre e ogni tanto qualcuno si alzava per mettere un nuovo ceppo di legno prima che le braci si spegnessero. Come al solito, per qualche minuto, Dylan rimase a fissare le fiamme volteggiare e susseguirsi l'una all'altra e come al solito ne rimase incantato. Passò anche l'ora di pranzo, durante la quale tutti sembravano assonnati dopo una stancante mattinata di ozio. Justin sbadigliava ininterrottamente, e più di una volta Dylan pensò di lanciargli in bocca del cibo per vedere se faceva centro... non lo fece però. Ogni tanto i genitori gli sorridevano e dopo un po' la Signora Jhonson gli prese la mano e non la mollo fino alla fine del pasto. Ogni ora sembrava durasse solo un minuto e Dylan non sopportava più la tensione: Dereck e la sua famiglia sarebbero arrivati alle otto e lui per passare il tempo in modo da non pensare aveva cominciato a riordinare la sua stanza - si pentì molto di aver strappato certi disegni e cose simili, ma preso dalla rabbia... -
Sfortunatamente, quando riguardò l'orario, erano ancora le tre. Passò quindi tutto il pomeriggio a crearsi un discorso a cercare di rilassarsi e non pensare, e dopo svariate crisi di nervi, pensieri sulla morte e sulla sorella di Dereck, abbracci della madre, sorrisi del padre e rassicurazioni di entrambi... si fecero le otto.
Il cielo, di un intenso blu quasi nero, senza stelle, era illuminato dai lampioni, ora ben visibili, le luci delle case ancora accese e un'altra volta l'odore di cibo entrava persino nelle abitazioni altrui. Per non parlare dell'invitante profumo che sprigionavano le pietanze preparate dalla Signora Jhonson che, messa ai fornelli, era come una specie di maga. Justin e Dereck apparecchiarono velocemente sistemando tutto al meglio. Il Signor Jhonson frugava nel frigorifero in cerca di un rosè che ricordava aver lasciato a metà, senza trovarlo si rivolse ai due fratelli che, arrossendo risposero in modo molto vago. Quando ormai erano le otto e dieci e Dylan capì che erano in ritardo, Justin ne approfittò prendendolo in disparte e portandolo su per le scale, piegandosi poi leggermente verso di lui e passandogli le mani sulle spalle. <<Sei tranquillo?>> chiese guardandolo negli occhi. Dylan lo guardò tesissimo prima di rispondere con un leggerissimo "si". Justin allora sorrise comprensivo e lo triò a se stringendolo. Dylan ricambiò la stretta senza aspettare un secondo e fece un paio di respiri profondi prima di staccarsi e riuscire a parlare. <<Tutto bene>> disse, con l'aria di chi aspettava l'arrivo dei carabinieri da un momento all'altro per essere arrestato.
Il fratello allora gli diede un colpetto sulla spalla e sorrise di nuovo. <<Andrà bene, vedrai>>. Dylan lo guardò intensamente, indeciso sul da farsi, poi in un attimo velocissimo si allungò verso di lui e sfiorò leggermente le labbra di Justin che evidentemente, se lo aspettava... infatti non fece una piega. Levò solo le sopracciglia e sospirò con un sorrisetto a increspargli la bocca. <<È questo che ti fa stare meglio?>> chiese. Dylan attese qualche secondo. Cosa rispondere? Si? No? Votò per la più semplice: <<Non lo so>> cominciò a fissarsi le scarpe che avevano, secondo lui probabilmente, qualcosa di particolarmente interessante.
<<Io credo di no>> concluse Justin sorridendo, l'oltrepassò dirigendosi alle scale. <<E sorridi un po', altrimenti gli farai paura>> affermò allegramente.
Lo guardò scendere le scale senza poi fare lo stesso; rimase sul pianerottolo a fissare la porta d'ingresso sperando che nessuno mai suonasse il campanello; desiderio che non fu avverato poiché pochi minuti dopo quello squillò insistentemente mentre i passi del Signor Jhonson arrivavano di fretta verso la porta e in pochi secondi l'apriva.
Dylan corse giù dalle scale, davanti alla porta. Entrò una giovane donna, magrissima, dall'aria sciupata e stanca, i biondi capelli lunghi solitamente lucenti come fili d'oro erano flosci e sembravano aver preso una leggera sfumatura grigia, dopo di lei, il secondo ad entrare in casa fu un uomo alto anche lui molto magro e stanco dai capelli castani. I Signori Jhonson gli andarono subito incontro e riempirono l'aria di convenevoli e condoglianze, fra abbracci, baci sulle guance e pacche sulle spalle dal Signor Brown, poi, il terzo ad entrare fu un ragazzo insolitamente pallidissimo, i suoi capelli biondi avevano preso l'aspetto molto simile a quelli della madre che ora abbracciava Evie, mentre il Signor Jhonson e il Signor Brown oltrepassavano le mogli e si dirigevano in cucina.
Avevano tutti e tre un finto sorriso tirato, ma dagli occhi trapelava tutta la loro angoscia e sofferenza.
Dereck entrò in casa e Dylan ebbe un tuffo al cuore nel vederlo: sembrava debilitato da una lunga sofferenza; gli gettò subito le braccia al collo stringendolo forte a se per non lasciarlo scappare. Sentì la stretta essere ricambiata solo qualche istante dopo, ma fu ricambiata con un affetto incredibile. <<Ciao>> sussurrò Dylan. <<Ciao>> ripeté nello stesso modo Dereck facendo più forza nella stretta. Dylan ne era sicuro. Non era stata la sua immaginazione: Dereck era più magro e la sua pelle aveva assunto una sfumatura grigiastra soprattutto sul volto già pallido. Poteva esserci solo una cosa da fare, secondo Dylan, non nominare l'accaduto... veloci condoglianze alla madre ma niente di più. sciolsero l'abbraccio e si sorrisero ma non si dissero nient'altro oltre al saluto iniziale, prima che Dylan fosse assalito dalla madre di Dereck, la Signora April Brown, una bella donna sempre allegra e festosa, che lo abbracciò e gli baciò le guance in modo affettuoso lasciandogli il segno del rossetto sbiadito. <<È un sacco che non ti vedo, tesoro. Sei cresciuto un sacco!>> disse mostrando il suo lato più ridaciano; le uscì bene ma quegli occhi rossi e stanchi a causa delle tante notti insonni parlavano troppo. <<Io sto bene, grazie. Lei mi sembra sempre la stessa, è bellissima ovviamente>> affermò Dylan con un tono calmo e garbato. Non le chiese come stava... era già ovvio senza parole. Poi però gli rivolse uno sguardo mesto. <<Mi... dispiace tanto... >> disse sottovoce per non farsi sentire da altri, come se volesse mantenere la loro conversazione privata, nascosta da orecchie indiscrete. Lei gli sorrise tristemente con un breve tremolio e gli accarezzò la guancia. <<Grazie Dylan, sei un tesoro>> mormorò prima di cominciare a parlare animatamente su come andassero le cose a scuola, ma - e Dylan non si sorprese - non nominò la litigata fra lui e Dereck.
Poi Dylan scorse sua madre abbracciare Dereck. Lei, la Signora Jhonson, essendo più tranquilla non lo aveva strapazzato più di tanto. Lo aveva semplicemente abbracciato, baciato sulle guance come tutti e poi avevano cominciato a parlare con calma. Si sedettero tutti a tavola dopo dieci minuti buoni di chiacchierate tutte fuori da certi argomenti. Tranne forse per il Signor Jhonson e il Signor Brown, che se ne stavano a capo chino in Disparte a parlare. Evidentemente non volevano turbare le mogli e i figli di questioni ben più grosse di loro.
La tavola era bandita con ogni tipo di pietanza, da antipasti, primi piatti, secondi piatti, dolci, bibite e numerosi involtini ripieni di chissà quanta roba; emanava un odore invitante che spinse tutti a sedersi e a servirsi immediatamente. Gli adulti tutti da un lato, i ragazzi tutti dall'altro. Dylan era capotavola e alla sua destra c'era Dereck che, cercando di stare dritto e di mantenere il sorriso, mangiava... o almeno teneva la forchetta in mano. <<Hey... Dylan>> Dylan non rispose al fratello che gli aveva anche dato un calcio sotto il tavolo.
Vedendo l'amico seduto lì, a fianco sé, che masticava lentamente lasciando che le leggere incavature nelle guance si stirassero, pensò che fosse più attraente che mai, soprattutto con quel briciolo di pallore in più che, se non fosse stato per le occhiaie, lo avrebbe sicuramente fatto sembrare un angelo, unito a quei capelli biondi. Per qualche ragione a lui ignota, non volle scacciare subito quel pensiero, infatti si ritrovò a fissarlo con la coda dell'occhio senza che lui se ne accorgesse...
<<Dylan? Ci sei?>> lo richiamò Justin.
<<Co...? Si, certo>> rispose lui, riprendendosi.
<<Sembravi imbambolato>> spiegò Justin con la bocca piena e rivolgendogli uno sguardo che stava a significare chiaramente "avanti crea conversazione!".
<<No, solo... stavo pensando>> si giustificò a bassa voce insultandosi mentalmente per quello che aveva appena pensato. Passarono gran parte della cena ad insultare certi professori da loro ritenuti ridicoli o antipatici, con il sostegno della Signora Brown che li appoggiava con decisione esilarante e Dereck era un po' più allegro quando, finita la cena, Dylan e lui salirono per le scale fino in camera discutendo il probblema ancora aperto dell'enorme parrucca grigia a riccioli della professoressa Leroy, una professoressa di origini francesi che parlava in modo molto bizzarro.
Dylan chiuse la porta e non si mosse osservando Dereck girare per la stanza e guardarsi attorno con le mani unite dietro la schiena che poi si sedette sul letto dell'amico senza prendere una posizione del tutto rilassata. La piega di allegria che si aveva assunto durante la cena sembrava essere svanita non appena avevano varcato la porta della camera, ed era stata sostituita con una fitta sensazione di disagio che andava crescendo ogni secondo di più. Lo sguardo di Dylan si spostava per la camera facendo di tutto per non farlo arrivare sul ragazzo seduto sul suo letto, che invece lo fissava intensamente con un aria quasi malinconica. Entrambi aspettavano qualcosa che sembrava metterci un eternità ad arrivare. Pochi minuti più tardi la tensione era diventata troppa e Dylan si era stancato di stare in piedi davanti alla porta come se volesse sorreggere il muro che ovviamente non correva nessun rischio di perdere l'equilibrio.
<<Dylan io... volevo chiederti scusa per la scenata dell'altra volta... >> arrivata come una saetta, ecco la scusa che tanto aspettava e che lo trafisse, sgonfiandolo da ogni rimasuglio d'imbarazzo rimasto da quel giorno. Dereck sorrideva ancora leggermente ma sembrava comunque sull'orlo del pianto. Dylan si spostò finalmente e si sedette sul letto, molto vicino all'amico in modo che, se ne avesse avuto bisogno, avrebbe anche potuto dargli qualche colpetto affettuoso sulla spalla e magari dirgli qualche parola rassicurante (cosa in cui non poteva vantarsi d'essere bravo). <<Non fa niente... roba vecchia tranquillo... non avrei dovuto insistere>> mormorò Dylan nonostante il dubbio del "perché" continuasse a svolazzargli in mente. La stanza fu inghiottita ancora dal silenzio battuto solo dal ticchettio di un piccolo orologio sulla parete. Dylan si intrecciava le dita nervosamente pensando a cosa dire mentre Dereck guardava il soffitto mordendosi l'interno guancia. Il corvino riconobbe quel segno: Dereck voleva parlare di qualcosa... in effetti da quel che ricordava, lui non sopportava il silenzio, non quello fatto di proprosito almeno. Per lui il silenzio era più rumoroso del suono, del rumore. Per lui era fastidioso non sentire niente quando invece gli esseri viventi erano dotati di udito: di sicuro non gli era stato concesso per niente, a caso... questo era quello che pensava; E se poi da vecchio il suo udito si fosse abbassato? Non avrebbe più potuto sentire nulla...
<<Be' era da un po' che non venivo qui... hai... cambiato il letto? Prima era più piccolo...>> cominciò Dereck vagando con gli occhi per la stanza in cerca di qualcosa che fosse cambiato ma in effetti... era tutto pressoché uguale.
<<Ah si, l'ho cambiato da poco perché... non lo so perché... >> ammise Dylan guardandolo. Dereck rise leggermente fermando lo sguardo sulla porta su cui erano appiccicati dei fogli con evidenti segni di lesioni, dato che erano riparati con dello scotch. <<Non pensavo avresti mai strappato i tuoi preziosi disegni... devi esserti arrabbiato molto>> constatò guardandolo con la coda dell'occhio.
<<Solo un incidente>> rispose in fretta Dylan mantenendo un tono di voce simile ad un sussurro ma più alto.
<<Ah già>> ricordò Dereck dopo qualche minuto. <<Mi è appena venuto in mente di averti portato un regalo... scusa un attimo>> continuò alzandosi dal letto e dirigendosi verso lo zaino che aveva lasciato davanti alla scrivania. Lo aprì e dopo averci frugato dentro, ne estrasse una piccola scatolina blu notte che, tornando a sedersi, porse a Dylan tirando su gli angoli della bocca ancora una volta in un lievissimo sorriso. Dylan, felice ma allo stesso tempo triste per il fatto di non aver ricambiato il regalo, gli sorrise di rimando e prese la scatolina dalle sua mani. L'aprì: un bellisimo braccialetto d'argento, sottile ed elegante, era posato su un morbido cuscinetto nero in modo quasi perfetto; attaccato, a mo' di ciondolo, vi era un orologio veramente piccolo, ma abbastanza grande per leggerci l'ora già regolata.
<<Sei una specie di maniaco del tempo... quindi mi è sembrato perfetto quando l'ho visto nel negozio... volevo dartelo prima ma, sai, dopo quel giorno non sapevo come attaccare di nuovo con te, quindi ho lasciato perdere e avevo pensato di dartelo al tuo compleanno... ma ho deciso di approfittare 'sta sera>> fece Dereck.
Dylan prese il braccialetto dalla scatola, sollevandolo dal cuscinetto, e lo esaminò bene. <<È bellisimo, amico... davvero bellissimo, grazie. Io però non ti ho preso niente>> ammise imbarazzato. Dereck gli sorrise. <<Perché avresti dovuto? Ho solo pensato di farti io un regalo... di solito ogni volta che te ne faccio uno stai sempre lì a ricambiare... >> spiegò Dereck prendendogli il bracciale di mano, vedendo che era in difficoltà ad allacciarselo da solo. Gli prese il polso e Dylan - sempre più sorpreso da se stessi - avvertì un leggero brivido. <<Fatto... ti sta bene, avevo ragione>> affermò Dereck con lo sguardo soddisfatto di chi aveva appena completato un'opera d'arte. Dylan pensò che, davvero, gli stesse bene.
Era un bracciale così particolare per lui... proprio bello, magnifico.
Sentirono le chiacchiere dei genitori dal piano di sotto e dei passi... loro rimasero in silenzio cercando di ignorarli, poi però la tentazione divenne troppo forte: <<Dylan>> lo chiamò Dereck alzandosi e uscendo dalla stanza. Lui lo raggiunse e lo affiancò vicino al davanzale delle scale. La Signora Jhonson e la Signora Brown erano nel salotto a chiacchierare sedute sul divano, purtroppo però l'argomento sembrava tutt'altro che allegro come quelli durante la cena. Vennero raggiunte dai mariti che brandivano una bottiglia di vino a testa. Si sedettero sul divano di fianco alle donne e stapparono le bottiglie che avevano portato, riempirono quattro bei bicchieroni fino all'orlo, il Signor Jhonson levò alto il suo. <<A Claire>>
<<A Claire>> ripetono mesti tutti gli altri e bevvero lentamente il loro vino.
Dylan sentì il cuore battere più veloce... voleva andarsene e smettere di ascoltarli ma non ebbe il coraggio di dirlo a Dereck, che invece sembrava essere molto interessato. <<Ci stiamo organizzando per il funerale>> cominciò in tono piatto il Signor Brown. <<vorremmo che fosse in questa città e, secondo i suoi desideri, dobbiamo donare il suoi organi...>> continuò mentre la voce si abbassava lievemente. <<Abbiamo visto i video di sorveglianza di casa sua... hanno identificato... quell'uomo>> esordì la moglie stringendogli la mano. <<Oltre al funerale e alla veglia, rimane solo denunciarlo e, possibilmente, farlo arrestare...>>
<<Potete stare tranquilli, vedrete che andrà bene se lo hanno già identificato, ora lo prenderanno e lo porteranno dal Giudice, allora aspetterò che mi chiamino e ve lo farò sapere... se vi darà troppo fastidio posso sistemare tutto io, senza che ci finiate in mezzo anche voi... il resto poi lo deciderete quando vorrete... inoltre se vorrete chiamare suo marito.. >> Disse il Signor Jhonson.
<<Ci abbiamo provato, sai? Non ne vuole sapere... non ce la fa. È completamente distrutto. Ha anche detto che forse darà il bambino in adozione... è anche di questo che volevamo parlarti>> lo interruppe il Signor Brown. <<È nostro nipote, capisci. Non... non possiamo lasciarlo solo, e nemmeno il padre. Hanno bisogno di aiuto, Brian, ne hanno bisogno >>
<<Capisco, e forse non sarà difficile prenderlo con voi se lo vorrete e se il padre acconsentirà... e suppongo che lo farà, piuttosto che lasciarlo a degli sconosciuti. Avete anche Dereck quindi non dovreste fare tutto da soli>>
<< Mi immagino solo come starà quando sarà cresciuto... >> commentò la Signora Brown.
<<Se vi servirà, chiedeteci sempre aiuto per qualsiasi cosa... anche Dylan e Justin aiuteranno Dereck. vi daranno una mano... purtroppo la vecchiaia ci abbatte tutti, e, anche se è presto per parlarne, anche solo tra dieci anni quella inizierà a dare i suoi colpi>> li consolò la Signora Jhonson.
<<Grazie...>>
Dylan non sentì altro della conversazione perché venne trascinato in camera da Dereck, la porta chiusa di nuovo. <<Non mi fanno stare con loro quando ne parlano... scusa se ti ho fatto ascoltare... >> disse funereo rimanendo in piedi cercando di stare voltato, ma il suo sguardo cadde irresistibilmente su Dylan, che non se ne accorse dato che si era già seduto e guardava il pavimento, ogni tanto spostando lo sguardo sulle sue calze blu, da un piede all'altro. Poi Dereck si sedette molto vicino a Dylan cominciando a parlare. <<Anche io ho visto quel video... di nascosto perché i miei non volevano, soprattutto dopo che mia madre è rimasta praticamente traumatizzata>> sussurrò, con gli occhi che si riempivano di lacrime. <<Dereck...>>disse Dylan con voce soffocata.
<<Sai lei era lì, stesa a letto con il suo bambino, mio nipote, lo stava coccolando quando ha sentito dei passi... pensava fosse suo marito. Ma non era così. Gli era corsa in contro con il bambino in braccio ma appena uscì dalla camera, un uomo le tirò un pugno nello stomaco e lei cadde a terra... con il bambino >> raccontò Dereck, che sembrava incapace di distogliere lo sguardo dal volto di Dylan che, invece, rabbrividì fissando ancora il pavimento.
<<Lui le tolse il bambino e lo butto per terra, le bloccò i polsi con la cinta, mia sorella continuava a dimenarsi e ad urlare cercando di controllare se il bambino stesse bene. Lui la picchiò e la minacciò di ucciderlo se non avesse fatto silenzio>> continuò Dereck, terribilmente implacabile.
<<Dio...>> esalò Dylan.
<<terribile, vero?>> disse Dereck, la voce poco più di un sussurro.<<La bendò, la legò, le tirò i capelli, le diede ordini, la spogliò>>
<<Basta!>> esclamò Dylan all'improvviso prendendosi la testa fra le mani. <<Davvero, Dereck, basta... io vorrei ascoltarti e consolarti ma... non devo sentire... non voglio sentire... non ci riesco... scusa>>
Gli occhi gli bruciarono quando gli tornò in mente suo fratello che faceva le stesse cose. Poi fissò gli occhi colmi di lacrime di Dereck che, ancora una volta, sembrava incapace di distogliere lo sguardo.
<<Scusami>> Disse. <<È solo che...>> la sua voce si spezzò e finalmente posò lo sguardo da qualche altra parte, sulla parete che aveva di fronte. <<Non la conoscevo bene, sai? Non dovrebbe nemmeno dispiacermi molto visto che in tutta la mia vita l'ho vista pochissime volte... ma... non so... io>> Gli tremò un labbro mentre parlava e si voltò di scatto per non farsi vedere, poi le lacrime gli colarono lungo le guance pallide e tentò di nasconderle chinando la testa e mettendola fra le mani, con i gomiti puntati sulle ginocchia. Si era messo a piangere e Dylan non sapeva cosa fare, era completamente nuova per lui quella situazione e si sentiva molto a disagio. D'un tratto però, la sua irritazione nei suoi confronti per avergli raccontato la storia, svanì. Faceva molto meno male vederlo piangere e sfogarsi che vederlo tenere un falso approccio indifferente alla cosa. <<Sentirli parlare di lei... boh io... non capisco se mi manca davvero... ed è la cosa peggiore perché ogni giorno vedo mamma che piange e io invece, piango solo perché vedo lei così...>> disse in tono grave, la voce rotta. I respiri divennero tremolanti mentre cercava di essere il più silenzioso possibile, sempre con le lacrime che scendevano senza sosta dagli angoli dei suoi occhi.
<<Non ti avevo mai visto piangere>> mormorò Dylan sentendo le guance scaldarsi appena. <<Eppure sei il mio migliore amico>> senza troppa esitazione, lo abbracciò. E per poco non gli salì in braccio da quanto erano vicini.
<<Lo so... comunque, non so cosa ti sia successo ma ho capito che ti ha dato fastidio quello che ho detto... mi dispiace non volevo deprimerti o altro... >> Dereck inspirò forte e lo abbracciò a sua volta, calmandosi.
<<Ero partito alla grande con l'idea di ascoltare i tuoi problemi e di consolarti... ma non sono riuscito nemmeno in questo... mi sono solo impressionato e ti ho fatto... piangere>> mormorò Dylan stringendolo un pochino di più e spegnendo la voce fino ad un dolce sussurro. Dereck mugolò piano e poggiò la fronte sulla sua spalla.
<<I tuoi hanno detto che tuo nipote forse verrà a stare con voi... >> disse Dylan.
<<Così sembra... >> Dereck sospirò leggermente e tirò su la testa. Aveva smesso di piangere.
<<Ti darò una mano>>
<<Grazie>> mormorò Dereck. Poco dopo sciolse l'abbraccio e si asciugò le lacrime rimaste con le dita. <<Okay... sto meglio, grazie>> disse annuendo velocemente allo sguardo dubbioso di Dylan. Si ricomposero e Dereck tornò a guardare davanti a se la porta della camera; strinse i denti, assunse un'espressione determinata e, passati parecchi minuti di silenzio, parlò. <<Devo dirti una cosa>> Dylan si voltò a guardarlo.
<<Cosa?>>
Respirò profondamente e contrasse una mandibola voltandosi verso di lui. <<Sono gay>> Disse deciso stringendo le labbra, gli occhi rossi e gonfi dal pianto. Dylan lo guardò sbalordito e sgranò gli occhi.
<<Volevo che lo sapessi>> Calò il silenzio, il più imbarazzante in cui Dylan si fosse mai trovato con Dereck. <<T-tu... gay?>> gracchiò Dylan, un po' stordito. Dereck divenne più pallido che mai, la fronte scintillava di sudore. <<Ti da fastidio?>> Sussurrò allarmato.
<<No, no! Solo che non me lo aspettavo >> replicò frettolosamente. <<... Va bene... >> disse infine a bassa voce, ancora scosso.
<<Si?>> sussurrò speranzoso Dereck, gli occhi dilatati e luccicanti.
<<Si>> rispose Dylan.
<<... sono contento di averti come amico>> affermò Dereck con l'aria di essersi tolto un peso enorme.
<<Anche io sono contento di essere tuo amico... Se io fossi gay, ci uscirei con te>> sorrise Dylan, e il colorito di Dereck si fece un po' più vivo.
<<Comqune... ti prego non dirlo a nessuno>> disse con tono supplichevole. <<Sei il primo a cui l'ho detto>> sussurrò guardando in basso. <<E mi dispiace di non avertelo detto prima... adesso però... volevo che il mio migliore amico sapesse questo segreto perché... io da solo non ce la faccio più e ho bisogno di te>> i suoi occhi lampeggiarono mentre tornava a posarli su Dylan che inizialmente lo aveva fissato intensamente e poi il suo volto si era aperto in un largo sorriso, il più simile a quello della Signora Jhonson. Dereck lo guardò, ammirato.
<<Senti ma... da quanto? >> chiese più tardi Dylan scrutando la parete di fronte che fissava Dereck, il cui colorito sempre più intenso. <<Tipo... a undici anni credo... >> esitò. Dylan rimase shoccato e si offese internamente: non glielo aveva detto per circa cinque anni... ed era gay da circa cinque anni! Non gli disse niente e lasciò cadere l'argomento. Passarono poco più di dieci minuti quando la voce della Signora Brown richiamò Dereck e gli disse che era ora di tornare a casa. I due si alzarono e Dylan era pronto ad aprire la porta quando Dereck gli mise una mano sulla spalla. Dylan si voltò e lo guardò interrogativo. L' ossigenato si avvicinò a lui e gli strinse le spalle; avvicinò il volto a quello di Dylan e gli diede un fugace, umido e dolce bacio sulla guancia. non appena si allontanò era, più che rosso, ormai quasi tendente al marrone. Dylan spalancò gli occhi e sentì una vampata di vergogna diffondersi come un formicolio dalla testa fino ai piedi. Si sentì come se fosse stato dentro ad un forno a mille gradi. Dereck era imbarazzato ma anche compiaciuto, mentre Dylan pareva turbato. Senza dire altro, Dereck prese lo zaino e andò alla porta velocemente. <<A domani Dylan... grazie >> borbottò, e con questo corse via.
Quella sera Dylan non andò a salutare tutta la famiglia vicino alla porta. Rimase in camera fermo dove era stato lasciato da Dereck, la porta chiusa, le luci abbassate, a tastarsi la guancia con espressione prima estremamente sorpresa e poi accigliata, pensando senza sosta a quanto fosse stato particolarmente strano, e arrivò alla conclusione che intimamente non gli era affatto dispiaciuto quel gesto.
Lo aveva consolato, perché e questo che fanno gli amici... era evidente che avesse voluto farlo da quando erano rimasti da soli, come se volesse una coccola. Forse era anche per quello che glielo aveva confessato... avrebbe potuto agire sentendosi meno in imbarazzo... cosa che non parve funzionare.
Non poté fare a meno di chiedersi come sarebbe stato baciarlo sulle labbra e, perso in quella prospettiva beata, si addormentò cullato in un dolce sonno pieno di sogni in cui i protagonisti erano solo lui e Dereck; e non si sentì minimamente a disagio nel fare quei magnifici sogni.

Non poté fare  a meno di chiedersi come sarebbe stato baciarlo sulle labbra e, perso in quella prospettiva beata, si addormentò cullato in un dolce sonno pieno di sogni in cui i protagonisti erano solo lui e Dereck; e non si sentì minimamente a di...

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