10. Kiss

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Era ancora mattina e i loro genitori non erano tornati, le tende erano ancora chiuse sulle finestre, così come la porta e come i loro occhi ma entrambi erano svegli.
Insieme avevano buttato la droga lontano dalla loro casa e poi, mentre Justin si rannicchiava piangendo in un angolo, Dylan puliva il vomito rimasto per terra.
Poi si erano stesi sul letto in religioso silenzio a fissare il soffitto.
<<Se andassi alla polizia? Denunciami.>> Justin ormai aveva assunto il colorito di un cadavere.
Dylan aprì gli occhi e rimase in silenzio; per un attimo una voce dentro di lui urlò parole di assenso, voleva farlo, doveva farlo. Ma in realtà non voleva. Perché sapeva verità. Non sapeva quando quel sentimento sentimento pietà si fosse insinuato dentro di lui, o forse era codardia? Forse era affetto che non sapeva di poter provare, forse era solo la strada più semplice.
Si rigirò nel letto. <<Non lo farò>>
<<Fallo>> e le lacrime abbandonarono ancora gli occhi di Justin quando lo incitò.
<<No>>
<<Allora lo faccio da solo>> fece per alzarsi ma l'altro gli afferrò saldamente il polso, lo strinse fino a fargli male e sentì la pelle sotto le dita bruciare.
Il dolore che Dylan stava provando era così atroce che a malapena riusciva a starsene li ancora vivo. Ma la verità era che, giusto o no, Justin era l'unica persona con cui avrebbe potuto parlarne. Era l'unico che sarebbe potuto essere la sua valvola di sfogo. L'unico che aveva vissuto tutto assieme a lui, anche se probabilmente non ricordava nulla. Sbarazzarsi dell'unico che avrebbe potuto condividere tutto con lui sarebbe stato peggio che tagliarsi un arto, perché avrebbe sentito la mancanza di una pagina bianca su cui vomitare tutto, e quella pagina era suo fratello.
Se l'incubo c'era, era nascosto dentro di lui, in profondità, dove in quel momento non poteva vederlo, perché non voleva vederlo. Era un incubo di cui voleva dimenticarsi.
Vide Justin sedersi ai piedi del letto di spalle, il suo polso era diventato rosso.
<<Vorrei almeno ricordarmi... >> singhiozzò.
<<Forse è meglio di no>> gli rispose l'altro, la voce tetra. <<Resti innocente se non ricordi nulla.>> mormorò poi.
<<Non mi sento innocente>>
Dylan non rispose.
<<E neanche tu adesso lo sei. Per colpa mia.>> cercò di asciugarsi le lacrime con la punta delle dita ma queste gli sfuggivano. Si sentì afferrare per una spalla e subito dopo era stato scaraventato sul materasso. Fissava suo fratello negli occhi rossi bordati dal viola cupo delle occhiaie. Si piegò e pose le proprie labbra sulle sue, con violenza. Se poteva chiamarmi bacio, nella loro testa lo chiamarono così, ma non c'era niente in quel contatto che potesse ricordare sensazioni di un bacio. Fu un tocco disperato. Se c'era un motivo non lo sapeva, ma lo aveva fatto comunque. Non gli piacque, sentiva il suo stesso odore su Justin, sentiva che la sua bocca  era uguale alla propria, sentiva il suo respiro e trovandolo identico al suo provava un immenso fastidio. Ma lo fece comunque. Gli sembrò di baciare la propria immagine riflessa in uno specchio di carne e e sangue.  Quando si staccò stava piangendo.
<<Mi dispiace>> si sentiva frustrato, confuso. Sentiva di volev urlare ma di non poterlo fare. Avrebbe voluto continuare a piangere per sempre. Justin lo abbracciò, e lo tenne stretto a sé per molto tempo. Finché, piombati nella sua mente come missili da guerra, i ricordi della notte precedente, spietati, si ripresentarono per ricordargli che non meritava di essere lì, tanto meno ancora vivo. Si alzò di colpo e dopo aver lanciato un ultimo sguardo mortificato e pieno di vergogna a suo fratello, uscì e si chiuse nella sua camera.
Quando Dylan sentì il suono meccanico della chiave rigirarsi nella serratura, il terrore invase il suo corpo.

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