22. forgetting is easier than pretending

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Il silenzio divenne talmente profondo che sembrava di essere nel vuoto.
Fece un breve sospiro e, dopo aver stretto le labbra, si alzò, si sistemò i vestiti sgualciti e si passò le dita fra i capelli biondi chiudendo gli occhi.
Justin si alzò a sedere, ma non disse e fece niente, capendo il disagio e l'imbarazzo di Martin, rimase fermo dietro di lui. Il ragazzo, di spalle, portò in avanti il petto e raddrizzò la schiena, poi parlò, come lo avrebbe fatto un aristocratico adolescente bello e stizzoso: <<Non m'importa cosa pensi tu ora. Comunque, credo... che me ne andrò...>> e così fece, senza che nessuno potesse replicare; uscì dalla camera lasciando Justin smarrito con lo sguardo ancora sulla porta che era appena stata varcata.
Solo dopo qualche secondo si scosse e decise di provare a chiamarlo un paio di volte, ma non ci fu risposta, così decise di catapultarsi al piano di sotto.
Martin era sicuro di aver fatto la cosa giusta decidendo di andarsene; non era altrettanto sicuro che fosse stato giusto quello che aveva fatto prima, ma aveva già deciso che avrebbe messo fine a tutto in pochi attimi. Era bravo a farlo, e non sarebbe stato difficile nemmeno quella volta. Si avvicinò alla madre seduta al tavolo, con la testa sulla spalla del marito, e le picchiettò sulla spalla con l'indice. Lei si voltò e sorrise: <<Cosa c'è amore? Tutto bene?>>
Lui provò a sorridere, ma probabilmente gli uscì una sorta di smorfia. <<Si però...>> mormorò, la sua mente vagò in cerca di una scusa <<Sono stanco mamma. Possiamo andare? Magari anche la zia e lo zio sono stanchi, no? Anche Dylan è già andato a dormire...>>
Evie lo guardò, prima dubbiosa, con uno sguardo quasi investigativo, poi sorrise e disse con un tono dolce. <<Marty, state ogni anno a dormire qui. Non c'è fretta tranquillo, se sei stanco dico subito a Justin di prepararti il letto>>
Per un attimo, il panico lo assalì.
Justin si fermò sulle scale, guardando Martin che parlava con sua madre, poi si avvicinò e si posizionò dietro lo zio, che si era alzato in piedi. Subito dopo l'affermazione della Signora Jhonson, Martin aveva incrociato gli occhi verdi di Justin e si era sbrigato a distogliere lo sguardo, riportandolo sulla zia. <<Lo so...>> fece una risatina nervosa <<la verità è che non sto molto bene e preferirei andare a casa... >>
Evie e Delphina allora si alzarono leggermente preoccupate. <<Cos'hai tesoro? Hey... >>
<<Martin... in effetti hai certi occhi rossi...>>
Ma lui non le ascoltava, erano solo un suono di sottofondo offuscato e sfumato mentre fissava Justin ancora dietro il padre. erano distanti l'uno dall'altro almeno due metri, eppure riusciva a cogliere il dispiacere negli occhi di suo cugino. Ma non voleva cascarci di nuovo e insistette con la madre per poter tornare a casa e alla fine, la donna, leggermente preoccupata per il figlio, acconsentì... sebbene fosse dispiaciuta di infrangere quello che era una sorta di "rito di natale".
Tutti si alzarono e si avviarono alla porta, gli adulti si baciarono e abbracciarono, Martin invece passò affianco a Justin senza guardarlo ma il cugino provò a chiamarlo a bassa voce, in un disperato tentativo di fargli cambiare idea, di scusarsi o in ogni caso di chiarire. Ma non servì perché il suo lamento s'infranse nel vuoto dopo che Martin lo ebbe guardato qualche attimo prima di uscire dalla porta, seguito dai genitori... e quando la porta fu chiusa, entrò più gelo dentro di lui di quanto non ce ne fosse stato quando quella era ancora aperta.
La neve si abbatté furiosa sulle finestre e il buio divenne profondo, come il silenzio che era ormai tornato nella camera del ragazzo, spoglia e fredda. E lui era immobile con la testa fra le mani, le dita nei capelli, i gomiti sulle ginocchia... e si faceva le domande che solo gli uomini sofferenti possono capire e risolvere.


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