<<Be', sinceramente mi è piaciuta molto di più questa volta che la prima>> affermò Dylan appena tornato in camera sua dal bagno e con i capelli ancora bagnati e gocciolanti. Era sera; la stanza era illuminata dalla luce aranciata della lampada, le tende erano tirate e il letto di Dylan era occupato. <<È un miracolo che ti ricordi cos'è successo, sai?>> rispose Justin che per l'appunto occupava il letto con le braccia incrociate dietro la testa.
I Signori Jhonson erano tornati da poco, Dylan e Justin si erano affrettati ad accoglierli nel modo più sobrio possibile ma anche il più velocemente possibile, ed erano corsi a farsi una doccia.
Dylan afferrò un asciugamano tutto sgualcito usato anche dal fratello e cominciò ad asciugarsi i capelli, nonostante quelli avessero già bagnato buona parte della maglia.
<<Quando ti ubriachi, a volte puoi anche fingere, sai?>> ghignò Dylan riemergendo dall'asciugamano e buttandolo addosso a Justin che se lo ritrovò sulla faccia. Dylan provò a non ridere vedendo il fratello rimanere nella stessa posizione, con un asciugamano in faccia. Aspettò la sua reazione.
<<Tu hai fatto finta!?>> urlò Justin alzandosi all'improvviso.
<<Solo in parte... >> fece Dylan con aria innocente sedendosi sul letto. Justin si afflosciò di nuovo sul materasso e rimise le braccia dietro la nuca. Avevano dormito per parecchie ore prima che i genitori tornassero, e ora aspettavano con impazienza che la madre li chiamasse per la cena perché, oltre al fatto che morivano di fame, si sentivano un po' a disagio per quello che avevano fatto... di nuovo. Più che disagio però era imbarazzo, Dylan era quello messo peggio perché ricordava quasi perfettamente tutto quello che aveva detto e fatto nonostante il fratello forse non lo ricordasse, ma questo almeno contribuiva ad alleviare quel sentimento.
<<Mi vuoi raccontare cos'è successo con Dereck? per sfogarti... in un altro modo? Voglio dire... dev'essere successo qualcosa di grave se ti ha spinto a darmi quel bacio e a... be' quello che è successo>> esordì Justin dopo un po'. Dylan si alzò e si stese di fianco a lui mettendosi nella sua stessa posizione, a guardare il soffitto illuminato da un'aureola di luce. <<Possiamo non parlarne più? Né di quello che è successo... né di Dereck>> rispose con fermezza.
<<Quello che è successo questa volta è stato volontario, puoi anche vergognartene ma non mentire: so che ti ha aiutato a smettere di pensare per un po' e ti ha tolto un peso... >>
<<Non ho mai detto che non mi abbia aiutato>> lo interruppe, lasciando che le voce tremasse appena.
<<Ma evidentemente non ti ha aiutato abbastanza, quindi quello che posso fare non è scoparti e basta... >>
<<Ti ho detto di smetterla di parlare di quello!>> esclamò Dylan furioso voltandosi per qualche secondo verso Justin per guardarlo.
<<... per aiutarti>> proseguì come se non fosse mai stato interrotto. <<Posso ascoltarti, ti aiuto come farebbe un vero fratello se vuoi, sfogati Dylan nel modo che pensi sia più giusto... puoi usarmi come vuoi: per parlarmi o per altro... e ora puoi parlarmi>> concluse rotolando su un fianco. Dylan abbassò le braccia ma non si voltò. Prese un profondo respiro per cercare di valutare se parlargliene oppure no. Se quello non aveva funzionato però... perché non provare a parlarne con qualcuno?
<<Hai presente che l'atro giorno quando eri venuto a scuola, appena ti ha visto è scappato via? Ecco... abbiamo discusso. Volevo sapere il perché, ma lui ci ha girato un sacco in torno e poi mi ha mandato "a fanculo">> disse Dylan irritato: non aveva tollerato di essere stato ignorato per due settimane.
<<Tutto qui? Quindi lo abbiamo fatto per niente... ?>>domandò Justin leggermente confuso e deluso.
Dylan s' infervorò immediatamente. <<Tutto qui?! Non parlo con il mio migliore amico da 2 settimane e tu mi dici tutto qui?! Intanto non ti ho chiesto io di farlo con me potevi anche lasciarmi in pace, c'era un motivo se me ne ero andato. Ma, no! Tu mi hai seguito, quindi lo hai fatto solo per te non per me!>>
<<Quando mi hai baciato non ti ho chiesto io di darmene un altro. Hai fatto tutto da solo Dylan, non negarlo, perché hai cominciato tu. Si, ti ho seguito perché c'era qualcosa che non andava ma mi avresti potuto respingere se come dici tu non eri molto ubriaco. Non è da te bere per non pensare... anzi non è da te bere e basta>>
<<Avevamo cambiato argomento, perché ne stiamo ancora parlando!?>> sbottò Dylan voltandosi ancora a guardarlo. Aveva il visto arrossato dalla rabbia e dalla probabile vergogna, sembrava stesse per esplodere da un momento all'altro, come qualcosa di veramente troppo incandescente. <<Non lo so!>> urlò Justin di rimando. Sbuffarono entrambi e ricominciarono a fissare il soffitto.
<<A dirlo così sembra una cosa da niente, un litigio stupido. Ma non se ci sei dentro. Le persone hanno delle espressioni quando ti parlano ma quando cerchi di riprodurre quella scena l'espressione non riesci a farla>> riprovò Dylan dopo essersi calmato. <<Dereck non mi ha mai urlato addosso. Non aveva mai reagito così, lasciandomi solo. Non mi era mai sembrato infastidito quando parlavamo di te. Justin, Dereck è il mio migliore amico, e non capire il motivo di una litigata mi fa girare le palle come quando tu mi dai fastidio... quindi veramente molto>>
<<Hai provato a parlargli dopo quella volta?>> chiese Justin anche lui più tranquillo.
<<No. A scuola mi ignora e non ci scriviamo più... >> rispose Dylan pacato.
<<Credo che la sua reazione sia esagerata... >> commentò Justin.
<<Si. Credo anch'io. Ma è raro che si arrabbi così... quindi ho paura di aver fatto qualcosa ma di non riuscire a capire cosa... è questo che mi confonde, Jus>>
<<Hai pensato a quello per tutto il tempo... si vedeva>> commentò Justin dopo qualche secondo di silenzio. <<Anche in quel momento... stavi pensando ad altro. Da quando sono tornato a quando ci siamo addormentati - e forse lo hai anche sognato - tu hai pensato a quello>>
Dylan sentì improvvisamente gli occhi bruciare leggermente, cominciò a vedere vagamente sfocato. I sospiri gli uscivano tremolanti e aveva il forte impulso di mordersi il labbro inferiore. Invece irrigidì la mandibola e provò a calmare i sospiri.
<<Brutta bestia l'adolescenza, davvero brutta bestia. È una stronza, giusto?>> fece Justin sorridendo e guardandolo con la coda dell'occhio. Allargò le braccia e si voltò per l'ennesima volta verso di lui. <<Vieni qui>> disse dolcemente sorridendo, e in quel momento a Dylan parve di vedere in quel sorriso lo stesso splendente e rassicurante della Signora Jhonson contornato da quegli occhi verde prato e quei capelli neri, quindi non resistette e si fiondò tra le sue braccia scoppiando a piangere silenziosamente. Gli sembrò di tornare bambino e di abbracciare la sua mamma, Justin lo strinse forte e gli accarezzò i capelli lasciando che la stanza si riempisse di silenziosi singulti. <<Tranquillo fratellino piangi quanto vuoi, ci sono io qui a farti compagnia... ci sarò sempre... non sei solo, te lo giuro>> sussurrò su quella chioma di capelli scuri. Dylan lo strinse ancora di più e asciugò le lacrime sulla maglia di Justin tirando su col naso. <<Grazie... >> bofonchiò tra un singhiozzo e l'altro. <<Sono sempre più convinto che tu stia diventando una femmina... suona bene Dylanya? >> Disse Justin, imitando il loro cugino Martin, per alleggerire l'aria carica di tutte quelle emozioni contrastanti. Dylan non rispose ma sorrise e pensò che forse, ormai, aveva ragione. Si sentì così protetto in quel momento. Si senti amato. Le spalle non smettevano di altalenare su è giù, di continuo come avesse freddo, e le labbra non smettevano di tremare. Le lacrime ormai cominciavano a diminuire mentre si infrangevano sulla spalla di Justin che stringeva Dylan e gli dava anche qualche pacca decisa. <<Capita di non sapere il motivo di alcune cose. Ti scervelli per cercare di capirlo ma appena stai per arrivare ad una conclusione, c'è sempre qualcosa che te lo impedisce. Cerchi di capire perché hai sempre voglia di piangere... >> alle parole di Justin, Dylan pensò che avesse ragione e non si era mai accorto di farsi perennemente delle domande. <<Cerchi di capire perché a volte vuoi dare il meglio e altre invece il peggio. Cerchi di capire perché vuoi passare sempre del tempo una una determinata persona >> continuò Justin. <<Ci sono molte cose che cerchi capire, Dylan, ma solo a poche darai delle risposte te lo assicuro, ma non preoccuparti, perché per molte di loro una risposta non serve o non esiste>> concluse premendo la guancia sulla testa del ragazzo.
La signora Jhonson li chiamò pochi minuti dopo e si mise a ridere quando - dopo aver chiesto perché Dylan piangesse - Justin le aveva riposto in tono spensierato: <<Tranquilla mamma! È solo una crisi dovuta alla pubertà! Tutto normale insomma, sai, ormoni e tutto il resto. Ha solo bisogno del suo fratellone per calmarsi! Vedrai che passerà! Crisi di nervi!>>.
Dylan, dopo essersi finalmente calmato, si staccò da Justin.
<<Fai pace con lui. Fidati, andrà bene>> lo rassicurò prima di scendere in cucina e sedersi insieme al resto della famiglia. Fu una cena tranquilla fino a quando il signor Jhonson guardò l'orologio le cui lancette scoccavano sul numero nove. Il cielo fuori era scuro e denso di ombre e probabilmente nuvoloso visto che non c'era traccia né della luna né delle stelle. Il silenzio divenne padrone e tutti guardarono il Signor Jhonson. Si sentiva solo il ticchettio delle lancette che pareva protrarsi all'infinito. Prese un fazzoletto, si pulì i lati della bocca, si raddrizzò e si preparò per parlare come fosse a lavoro e stesse facendo l'avvocato in famiglia. Osservò tutti, e il suo pallido sguardo verdino e penetrante indugiò qualche secondo in più su Dylan che si sentì leggermente spaventato, un brivido gli percorse la spina dorsale e si preparò mentalmente a qualsiasi cosa. <<Ragazzi, devo dirvi una cosa, molto importante>> cominciò lanciando un'occhiata eloquente alla moglie che si raddrizzò e si voltò verso Dylan e Justin, al minore parve, per qualche momento, di vedere un ombra di ansia sul suo volto. <<È successa da poco una cosa molto brutta, davvero molto brutta. Tragica... >> riprese sospirando. <<Cosa, papà? >> chiese titubante, ma comprensivo, il maggiore dei fratelli. <<Dylan, riguarda, forse, te più di tutti noi, e me sul lavoro... quello che voglio che sappiate è che... la sorella maggiore di Dereck, di cui non sappiamo molto ma che tu, Dylan, a volte hai visto immagino... >> Dylan annuì preoccupato allo sguardo grave del padre e ricordò le poche volte che l'aveva vista quando era andato a casa dell'amico: era una ragazza alta dai capelli biondo cenere, doveva avere circa venticinque anni, ed era davvero simpatica, l'ultima volta che ricordava di averla vista era stato due anni prima quando si era sposata in una città lontana e aveva invitato anche lui. Dereck non parlava spesso di lei ma le voleva bene...
<<L'altra notte... hanno abusato di lei sessualmente davanti a suo figlio di pochi mesi e poi... è stata uccisa>> Dylan sentì mancare più di un battito. Il respiro si mozzò. Senza accorgersene provò a ricreare la scena dei genitori di Dereck, disperati insieme al figlio. Un dolore atroce lo colpì allo stomaco e le immagini di quella dolce e giovane donna gli sfumarono davanti agli occhi lasciando un buco al centro del petto. Il padre era stato troppo diretto. Lo aveva colto impreparato. All'improvviso immaginò se stesso qualche anno dopo, arrabbiato con Justin che poi veniva ucciso senza che nessuno se lo aspettasse, e le ultime parole scambiate... insulti. Nè un saluto, un avviso... niente se non la sofferenza ed il senso di colpa.
Immaginò il dolore di Dereck e pregò di non doverlo provare lui stesso. Quella litigata era stata così stupida... se solo non ci fosse stata, in quel momento, sarebbe stato con lui, ad abbracciarlo e a sussurargli parole di conforto. Ma non era così.
Pensò che avrebbe dovuto conoscerla di più. Pensò che aveva sprecato troppo tempo. Pensò che non poteva più dire "ci vediamo la prossima volta" perché una prossima volta non ci sarebbe potuta essere.
<<Suo marito era a lavoro, e lei era sola in casa con il bambino. Sembra che fosse entrato l'uomo perché aveva lasciato la finestra della camera aperta... lei aveva provato a proteggere suo figlio e a chiamare la polizia o suo marito, ha provato di tutto fino all'ultimo respiro... ma poi quando era riuscita a prendere il telefono e a chiamare il marito, le hanno sparato alla testa e sono scappati->>
<<Sta zitto papà! Perché mi stai dicendo queste cose!? Perché!? Non le voglio sapere! Una persona è morta e tu ne parli come se fosse una sconosciuta, come se fossi al telegiornale e dovessi solo informare il mondo! Perche devi dire che l'hanno uccisa. Che è morta!? Non puoi dire che... che cazzo ne so?! Lei non è morta! Non è morta!>> pronunciò le ultime tre parole con una forza incredibile reprimendo le lacrime. Era raro che perdesse la calma, specialmente davanti ai genitori. La Signora Jhonson lo guardava con dolcezza e comprensione, ma triste e consapevole del fatto che il marito fosse stato ben lontano dall'essere delicato. Justin pareva shoccato e triste mentre lo fissava. Il Signor Jhonson aveva anche lui un aria triste ma continuava a guardarlo con decisione. Dylan si alzò e corse in camera. Sbatté la porta tanto forte che credette di aver rotto i cardini dato che questi avevano cigolato minacciosamente. Tirò un calcio alla scrivania; poi uno al letto. Se la prese con ogni oggetto gli capitasse a tiro. Buttò cuscini ovunque, tirò via le coperte dal letto e le sparse per la camera, tirò un calcio ad un cestino sulla sua strada, buttò una sedia per terra e poi tutti i fogli e i quaderni sulla scrivania comprese penne, gomme, matite, alcuni dei suoi disegni, alcuni dei suoi schemi. Strappò dei fogli attaccati alla parete e buttò anche quelli per terra. Poi, dopo aver lanciato il suo zaino (aperto) dall'altra parte della stanza, si buttò sul letto stringendo l'ultimo cuscino ancora al suo giusto posto. Pensò a Dereck. Pensò alla sorella di Dereck. Pensò ai gentili e dolci genitori di Dereck distrutti dal dolore. Provò a pensare al marito della sorella di Dereck che, arrivato a casa dopo una stressante giornata di lavoro, aveva trovato il corpo nudo ed inerme della moglie coperto di sangue accasciato sul letto o sul pavimento o in qualche lurido posto, e poi un innocente bambino a strillare e piangere davanti al corpo della madre.
Pensò che non avrebbe mai dovuto passare la vita a lamentarsi di suo fratello. Pensò che, in compenso, essere stato abusato da lui non era stato niente.
Orribili pensieri gli correvano nella mente incapaci di fermarsi, a braccetto con la consapevolezza. Non riusciva proprio a realizzare una cosa simile. Come poteva essere morta? ... non l'aveva mai conosciuta bene... no, non ci riusciva. Immaginò come una persona solare come Dereck sarebbe stata buttata giù. Sarebbe stato doloroso non avere più lo stesso Dereck scherzoso e premuroso di sempre. Gli era già mancato per due settimane, figurarsi per tutta una vita. Gli sembrava che tutto stesse andando a rallentatore e poi accellerasse di botto. Ogni pensiero, ogni cosa arrivava troppo velocemente al suo cervello, tanto che tutto ciò che era al di fuori della sua testa faceva fatica a starci al passo. Tirò fuori il volto dal cuscino e provò a pensare di nuovo a Dereck ma non finì bene perché qualche minuto dopo ci rificcò la testa dentro e lanciò un forte urlo, poi si bloccò e rimase immobile con la testa nei cuscini senza sapere più a cosa pensare. Poco dopo fu riportato tristemente alla realtà: la porta della camera si era aperta lentamente ed il Signor Jhonson si dirigeva verso di lui cercando di non fare rumore e cercando anche di non inciampare nella miriade di oggetti che ormai infestavano il pavimento: Forse pensava che dormisse.
Dylan sentì una parte del letto sprofondare da un lato e avvertì la presenza del padre al suo fianco. Nonostante avesse la testa ancora immersa nel cuscino, capì di essere fastidiosamente osservato. Lo ignorò. Il Signor Jhonson posò una mano sulla sua schiena e la accarezzò leggermente. <<Hey>> lo sentì sussurrare. <<Dylan, lo so che sei sveglio>> disse ancora, con garbo. <<Papà per favore... posso stare da solo?>> fece Dylan nervoso. <<No. Non puoi. Non adesso>>
Dylan lo ignorò ancora e seguì una lunga pausa prima che il padre riprendesse a parlare. <<Mi dispiace molto, Dylan. Lo so che ti fa male, adesso. Lo so che pensi ad un mucchio di cose e non sai a quale dare retta prima. Capita, le persone nascono e muoiono ogni giorno. Sai quante persone che non conosci sono morte e tu non te ne sei preoccupato... mentre le persone che le conoscevano ne rimanevano distrutte? Ognuna di loro era importante Dylan, ma è successo e non possiamo farci niente. Non serve rinchiudersi e smettere di andare avanti, può capitare a chiunque: persone che conosci e persone che non conosci. È la vita e nella vita prima o poi c'è anche la morte>> gli accarezzò i capelli per un po'. Dylan sentiva le lunghe dita del padre solleticargli delicatamente la nuca, poi le sentì spostarsi sulle scapole e ancora sulla schiena. Si rilassò immediatamente e dei brividi gli scossero il corpo, aveva dimenticato quanto fosse piacevole stare con lui. Anche solo sentire l'odore dello shampo che usava... lo collegava sempre a lui. Da quanto era che non sentiva quelle dita... forse l'ultima volta aveva avuto sei anni. Il Signor Jhonson e Dylan non avevano un rapporto strettissimo, come quello che invece aveva con la madre, ma gli faceva piacere quando stavano vicini. Lui infatti era sempre stato di più con il maggiore, appunto per i loro caratteri simili. Forse era stato proprio lui a non dargli troppa importanza, troppo occupato a stimare sua madre e a odiare suo fratello che era la copia sputata del padre. Ora che ci pensava, spesso il Signor Jhonson gli aveva proposto di fare qualcosa insieme ma lui aveva sempre declinato le offerte preferendo nascondersi "nelle le sottane di mamma" come diceva Justin. Non aveva mai forse abbracciato veramente suo padre. Non gli aveva mai detto niente di carino e, dopo un po', anche il Signor Jhonson si era arreso ma lì, in quel momento, erano insieme e Dylan avrebbe tanto voluto abbracciarlo e parlare con lui; era una delle prime ed uniche volte che il padre andava di sua spontanea volontà da lui, dopo anni. L'uomo sospirò e gli diede qualche colpetto sulla schiena prima di parlare: <<In quanto loro avvocato dovrò raggiungerli in tribunale tra qualche giorno>> cominciò in tono pratico. <<E in quanto amico li ho invitati a cena da noi, domani sera>> concluse assumendo ora un tono dolce. Dylan sentendo quelle parole si voltò verso di lui con le gote e gli occhi appena arrossati. <<Davvero?>> chiese sottovoce.
<<Si. Così potrai parlare un po' con Dereck e consolarlo>> sorrise il Signor Jhonson. <<Certo>> disse Dylan un po' più convinto e alzando la voce. Con suo enorme risentimento, dopo poco sentì il materasso rialzarsi.
<<E va bene... se vuoi stare solo... allora io vado>> nel dirlo, la voce del padre fu oscurata da un ombra di tristezza che però fu bravo a nascondere, come suo solito. Dylan per fermarlo fece scattare la mano verso il lembo della sua maglia e lo fermò. Piantando un gomito nel cuscino, alzò il busto. <<Papà scusa se ho urlato prima... >> cominciò, velocemente, ed improvvisamente la stessa voglia di piangere che lo aveva travolto mentre era con Justin, prese ancora possesso di lui. <<Mi prometti che andrà tutto bene?>> la voce tremò.
Il Signor Jhonson gli sorrise dolcemente. <<Andrà tutto bene, Dylan. Te lo prometto>> confermò, dirigendosi verso la porta socchiusa.
<<Papà!>> una strana bestiolina nel suo petto che continuava a ringhiare e sbuffare gli impedì di lasciarlo andare via e un incontrollabile senso di solitudine e paura di una qualche tragedia unito a qualcos'altro che non riuscì ad indentificare, prese il sopravvento. corse verso di lui e prima che il padre potesse afferrare la maniglia, Dylan lo abbracciò forte sprofondando la testa sulla sua spalla. Era da molto che avrebbe voluto abbracciarlo in quel modo. Evidentemente il Signor Jhonson fu colto alla sprovvista perché rimase un attimo immobile a fissare il ragazzo attaccato al suo petto. Poi, titubante, come se non avesse mai abbracciato qualcuno, ricambiò la stretta poggiando la guancia sulla testa del figlio.
<<Ti voglio bene papà>> Disse il ragazzo dopo un po' in un mormorio soffocato, ormai vicino alle lacrime.
<<Anche io, campione. Anche io... tutti te ne vogliamo, non sei solo. E ora è il momento che tu non faccia sentire solo qualcun altro>> rispose accarezzandogli la schiena. Solo una lacrima uscì dagli occhi di Dylan, ma non di tristezza, rancore o rabbia, ma di gioia. Un sorriso increspò le labbra di entrambi che rimasero abbracciati per molto tempo prima che entrassero anche la madre ed il fratello, che si unirono a quel caldo e soffice abbraccio.Spero non ci siano troppi errori di battitura perché non ho ricontrollato bene il capitolo
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LOVE YOUR ENEMY
Romance[COMPLETA. IN REVISIONE] Ps. Se la state leggendo durante revisione potrebbero esserci delle incongruenze tra i capitoli siccome non ho ancora terminato di revisionarla. Amore e odio. Sentimenti così diversi eppure così uguali. Così difficili da do...