3. Don't Provoke Me

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Il signor Johnson era un uomo di tutto rispetto nonostante fosse spesso scherzoso e prendesse con ilarità anche faccende serie.
Era un avvocato, e i suoi occhi penetranti erano mezzo di grandi "vittorie" nei momenti critici davanti ad un giudice. Riusciva a persuadere chiunque , mantenendo la calma: il suo tono rimaneva rilassato ed allegro.

Il suo impiego, durante i mesi lavoro, lo faceva spesso rimanere fuori casa ed era raro vederlo rilassato su un divano a leggere il giornale, eccetto la domenica mattina.
La signora Johnson era una professoressa universitaria e spesso veniva mandata in diverse città per organizzare eventi o esami di stato, di conseguenza anche lei spesso si assentava da casa. Ma i due fratelli avevano comunque modo di non vedersi visto che, giustamente, facevano scuole diverse.

Tutti si salutavano al mattino presto e si rivedevano la sera tardi. Un accordo perfetto per Dylan quando Justin tornava dalle sue lunghe assenze. Ma durante quegli ultimi giorni di vacanza fu diverso.
Dylan si svegliò, consapevole dei rischi che correva incontrando suo fratello al piano di sotto. Si fece coraggio e attraversò il corridoio e le scale come se stesse andando al patibolo. Appena arrivò in cucina si guardò attorno furtivo e, non vedendo Justin, il suo cuore ricominciò a battere normalmente. Ma si era rilassato troppo in fretta. Nemmeno il tempo di pensare a regolarizzare il respiro che: <<Oh! Eccolo qua il frocetto!>>
ll ragazzo lo ignorò e contrasse la mandibola.<<Che c'è, verginello... il->>
Dylan attraversò con un paio di falcate la cucina e si avventò sul ragazzo prendendolo per il colletto del pigiama. <<Se non chiudi quella cazzo bocca giuro che ti faccio dimenticare chi sei e dove abiti.>>
<<Ooh ma che paura!>> poi il suo sguardo si fece più duro. <<Se potessi dimenticare di avere un fratello frocio sarei più che felice.>>
<<Ah si? Be' allora puoi rilassarti, perchè tanto non lo sono... era una lettera dell'anno scorso e poi... anche se lo fossi, a te non importa niente di me... quindi dovresti solo tacere.>>
<<Non voglio che gli altri pensino che ho un fratello malato.>> Gli sputò in faccia Justin, e lo guardò come se fosse una vecchia gomma da masticare attaccata sotto un banco.
<<Se tu non lo pensi, gli altri non lo penseranno.>> Soffiò Dylan. Liberò Justin dalla sua stretta e ritornò al tavolo.
Sentì la schiena bruciargli, percepiva il suo sguardo a traverso i vestiti nonostante fosse voltato.
<<E ora che cazzo guardi?>> Sbottò, girandosi, sorprendendo il fratello con gli occhi puntati su di lui. Quello distolse lo sguardo. <<Non lo dirò a nessuno solo perchè sennò sfotterebbero anche me... sia chiaro.>>
<<Ma tu le capisci le cose quando ti vengono dette? O sei completamente stupido? Ti ho detto che NON lo sono->>
<<Mh-mh>>
Ed ecco che un bruciore accecante colpì la guancia di Justin, il suo zigomo sinistro cominciò a pulsare. <<Ma che-!>> Sbraitò il ferito alzandosi dalla sedia. <<Te le sei cercate!>> e un altro colpo. Poi anche Justin cominciò a picchiarlo. <<Non ti ho detto niente! Perchè mi hai dato un pugno!?>>
<<Si che hai detto qualcosa, brutto bastardo!>>
<<Ho solo annuito!>> un pugno sul mento.
<<Appunto!>>
Si ritrovarono uno con il colletto dell'altro stretto nel pugno, a fissarsi con rabbia. Si voltarono di scatto sentendo i passi dei genitori sulle scale. I loro sguardi interrogativi li fecero resettare. <<Ha cominciato lui!>> gridarono all'unisono vedendo avvicinarsi la madre, che li prese per le orecchie come fossero due bambini colti in un bisticcio. <<Chiedetevi scusa! Ora!>>
Si guardarono aggrottando le sopracciglia in segno di resa: <<scusa... >> soffiò Dylan abbassando lo sguardo. <<... Scusa>> mormorò anche il più grande. La madre li lasciò, sospirò e si massaggiò le tempie. Il marito arrivò da dietro e le poggiò una mano sulla spalla sorridendole comprensivo, per poi portare lo sguardo sui fratelli. <<Ragazzi, so che sembriamo giovani ma... anche io e la mamma invecchiamo. Dovreste cominciare a comportarvi da adulti, responsabili.>> Disse infine mandando un'occhiata d'intesa a Justin che lo ricambiò voltando lo sguardo.
<<Avete già fatto colazione?>> Intervenne la madre tentando un sorriso, sperando di rallegrare l'atmosfera ormai tesa come una corda di violino.
<<Si>> mentirono, separandosi. Uno in camera e l'altro uscì di casa chiudendo, non con poco impeto, la porta che tremò e vibrò come se stesse per crollare la casa.
Poco dopo si sentì lo sbattere di una portiera, il rombo di un motore e lo stridore delle ruote sull'asfalto. Solo a quel punto Dylan tirò un sospiro di sollievo mettendosi a sedere sul letto. Si passò nervosamente le dita tra i capelli morbidi. Almeno sapeva che i genitori credevano a lui e non al fratello; era una soddisfazione enorme. Gliela avrebbe fatta pagare a quel tronfione di suo fratello.
S'incamminò verso la camera di Justin e rimase stupito di quanto l'aveva trovata cambiata. Si rese conto che erano passati anni dall'ultima volta che era entrato in quella stanza, o forse non ci era mai entrato. Sorvolò i pensieri e cominciò a frugare nei vari cassetti di comodini e armadi. Cercò sopra e sotto la scrivania, sulle mensole, sotto l'enorme letto ma non trovò altro che preservativi, fogli, penne, e cianfrusaglie di dubbia utilità. Doveva trovare qualcosa che potesse mettere a tacere la boriosità di Justin. Purtroppo, fu colto sul fatto.
<<Fuori da qui, molecola.>> Dylan si voltò convulsamente, gli si rovesciò lo stomaco: quanto avrebbe voluto che quel momento non fosse mai arrivato.
Non disse niente, cercò semplicemente di uscire a testa bassa senza incrociare lo sguardo dell'altro, ma venne bloccato dalla sua voce. <<Cosa facevi nella mia stanza?>> chiese, con tono annoiato, mentre faceva qualche passo avanti. Il cervello di Dylan lavorò in fretta in cerca di una qualche scusa plausibile. <<Cercavo una penna>> disse infine senza esitazione per non farsi scoprire. Justin gli lanciò un occhiata obliqua chiaramente insospettito. <<Va bene, ora vattene. Ah no, aspetta>> breve ma intenso, pensò il ragazzo che aveva tanto sperato di essere congedato.<<Mamma mi ha detto di dirti...>> sospirò. <<Che, quando inizierà, per un po' di tempo dovrò venire io a prenderti da scuola... >>
<<Che?!>> rischiò di soffocarsi con l'aria. Era completamente allibito.
<<Hai sentito bene...>> rispose scocciato.
<<E tu non hai fatto niente per impedirlo!?>>
<<Ci ho provato... >>aveva un espressione quasi sofferente, se non nauseata. <<Ma ha vinto la donna.>> Dopo qualche secondo di silenzio i due sospirarono affranti. Dylan mosse un passo verso la porta ma la voce di Justin lo interruppe ancora. <<Hey... sappi che neanche a me fa piacere questa situazione, quindi non ti chiedo di andare d'accordo con me... solo di non farmi arrabbiare->>
<<Se tu non fai arrabbiare me... io non faccio arrabbiare te.>> E finalmente abbandonò la stanza.

Si rifugiò di nuovo nel suo letto imboscando la testa in mezzo ai cuscini, pensando ad un possibile posto dove trovare una qualche verità nascosta riguardante il fratello.
Dopo qualche minuto sentì Justin uscire per la seconda volta: evidentemente era tornato solo per recuperare qualcosa che si era dimenticato ma, pensò Dylan, meglio non rischiare di farsi beccare un'altra volta.

LOVE YOUR ENEMYDove le storie prendono vita. Scoprilo ora