1. Hate

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La famiglia Johnson era una famiglia tranquilla, semplice. Quel tipo di semplicità che molti non hanno. O, perlomeno, era quello che pensavano gli altri.

La Signora e il Signor Johnson erano sposati da molti anni. Evie Johson era una delle donne più affascinanti del paese. Aveva lunghi capelli neri che le cadevano sulle spalle in una serie di onde, gli occhi verdi e  brillanti, le labbra rosse, fini, su cui era sempre posato un bel sorriso che spiccava sulla pelle caramellata.
Brian, suo marito, era un uomo spiritoso ed enigmatico, forse  per via dei suoi occhi pallidi di cui non si capiva mai veramente il colore: azzurri, verdi e forse anche marroni, ma chiari e  opachi come nebbia.  I capelli erano come quelli della moglie:  neri, ondulati ma perennemente scarmigliati. Il suo volto non aveva nemmeno una ruga, nonostante i suoi quarantanove
anni. E così anche la moglie.

I due erano una coppia pressoché perfetta. Litigavano, certo, ma facevano inevitabilmente pace ogni volta.
Ad un certo punto della loro vita, avevano deciso di avere dei figli.
Il maggiore era Justin, un ragazzo allegro e spiritoso come il padre, gli occhi verdi come quelli della madre, labbra sottili, un bel sorriso perlaceo, pelle bronzea e  capelli naturalmente color ebano che, rasati sulla nuca, diventavano una massa di ricci lucenti e disordinati sulla fronte.
Ora aveva diciotto anni, e amava viaggiare. Spesso partiva da solo o con degli amici e visitava qualsiasi paese, città, stato o continente che attirasse la sua attenzione.
Il secondo figlio era Dylan.
Il ragazzo aveva sì, ereditato i capelli neri da parte dei genitori ma, purtroppo, a parte la pelle ed il carattere, sembrava essere l'unica cosa in comune con il resto della famiglia.
Aveva i capelli lisci, gli occhi non erano né verdi né pallidi, ma azzurri. Cerulei, in effetti. Brillanti e intensi. Non amava scherzare a differenza del padre e del fratello, aveva più che altro la calma imprescindibile della madre e forse era proprio da lei, dopotutto, che aveva ereditato di più: era l'unico della famiglia ad avere il sorriso proprio come il suo.

Dylan, essendo nato tre anni dopo il maggiore, si sentiva escluso dai discorsi dei "più grandi" quindi, inevitabilmente e non potendo provare nessun sentimento negativo nei confronti dei suoi genitori, era nata in lui quella forte sensazione di sgradevole irritazione in ogni momento in cui Justin apriva bocca. Aveva iniziato, già da molto piccolo, a provare un certo odio nei suoi confronti.
In effetti, era reciproco.
Ma non c'erano vie di mezzo in questo uragano di odio e irritazione.
Non potevano sopportare l'uno la vista dell'altro e, da quanto Dylan potesse ricordare, era sempre stato così. Si detestavano e avrebbero dato qualsiasi cosa pur di vivere senza l'altro.
Per questo motivo ogni volta che Justin partiva per uno dei suoi viaggi Dylan era incredibilmente sollevato, come se un enorme macigno gli avesse abbandonato lo stomaco e potesse finalmente respirare senza avere paura di entrare - anche solo attraverso l'ossigeno  - in contatto con Justin.
E per lo stesso motivo anche suo fratello aveva spesso cercato di sbarazzarsi di lui fin dalla più tenera età: una volta, ad esempio, aveva scambiato la carrozzina di Dylan con quella di un altro bambino.
Nessuno dei due godeva della presenza dell'altro nemmeno, in angolo remoto e nascosto del loro cuore.

Quell'afoso giorno d'estate stava giungendo al termine e, come il sole che voleva tramontare, Dylan voleva chiudersi in camera per evitare di vedere il brutto viso di suo fratello,  di ritorno da un viaggio in Scozia dopo tre - davvero troppo corti - mesi. Ma non poteva farlo, perché la madre si era premurata di avvertire lui e suo marito di essere presenti quando Justin sarebbe tornato. Doveva avere una bella accoglienza.

I tre si riunirono davanti alla porta aspettando l'ingresso del ragazzo.
La Maniglia cigolò, scese e poi si tirò su lasciando che la porta si aprisse sbattendo contro al muro, facendo tintinnare fastidiosamente i vari mazzetti di chiavi appesi alla parete. Justin entrò tutto eccitato, sprizzava gioia da tutti i pori mentre si trascinava le valige dietro. <<Sono tornato!>>
Saltò a dosso al padre, che lo abbracciò forte lasciandogli numerose pacche sulle spalle.
<<Si era capito... >> sussurrò Dylan, non appena il maggiore finì di pronunciare la frase. Poi quest'ultimo si attaccò alla madre e le baciò la guancia <<Mamma! Mi sei mancata.  Dimmi che hai cucinato qualcosa di buono per il tuo povero figlio... >>
La donna gli sorrise e gli lasciò una carezza tra i capelli in un disperato tentativo di tenerli a bada.  <<Certo. Ho cucinato il tuo piatto preferito, tesoro.>>
Justin tirò su un angolo della bocca furbescamente, per poi allontanarsi da lei ed avvicinarsi allo sfortunato rimasto in disparate. Guardandolo dritto negli occhi, gli sussurrò: <<Tu sei sempre lo stesso... hai sempre quell'espressione da rincoglionito.>> Poi alzò la voce, sorridendogli falsamente.<<Allora! Ti sono mancato?>>
Il ragazzo si scrollò dalle spalle le mani del fratello e sbuffò. <<Ma non potevi rimanerci per sempre in quel posto?>>
<<In quel posto dove?>> disse ironicamente. Dylan sbuffò di nuovo.<<A fanculo...>>
Un muscolo nella mascella di Justin si contrasse e Dylan gioì nel sapere che lo stava facendo innervosire.

Si sedettero a tavola chiacchierando. Ma il più piccolo se ne stava come sempre nel suo angolino, con gli occhi puntati nel piatto senza guardarlo davvero. Era come pensava. Quando c'era suo fratello, lui veniva escluso da tutto. Come se fosse solo una seconda scelta, la gomma di scorta, la carta della gomma da masticare che non ti serve più una volta che l'hai tirata fuori.
Per un momento pensò anche che fosse colpa sua, perché non si univa ai discorsi che facevano loro. Ma poi ci ripensò: lui non aveva niente di cui parlare con la sua famiglia. A scuola era sempre andato bene, quindi i bei voti non erano una gran sorpresa ed era bravo anche negli sport. Sapeva cucinare, spesso riordinava la casa. Ma niente era più eccezionale dei favolosi viaggi di Justin.

Calò per qualche attimo il silenzio e lui provò a fare il suo ingresso. <<... Mamma... >> lei si voltò sorridendogli e degnandolo di tutta la sua attenzione, cosa di cui lui le fu infinitamente grato. <<Io... ecco, oggi  mi hanno fatto i complimenti per l'articolo che ho scritto su Dickens prima dell'estate... >> la donna gli strinse la mano e non staccò gli occhi da quelli del figlio, come se lo stesse leggendo nella mente. <<Sono fiera di te, amore>> e gli afferrò il viso stringendolo fra le dita vellutate e baciandolo sulle guance.
<<Be', non è una novità, vero tesoro? Abbiamo due figli fantastici!>>
I due fratelli si guardarono con astio, pretendendo che il titolo di "fantastico" lo affibbiassero ad uno solo di loro. <<Nessuno ti aveva interpellato...>> Justin si rivolse a Dylan.
<<Nessuno ha chiesto il tuo permesso>> gli rispose il più piccolo riducendo gli occhi a due fessure.
<<Non c'entravi niente con questa conversazione... dovevi rimanerne fuori->> abbaiò Justin perdendo il velo di ironia.
<<Ragazzi... >>intervenne il padre con tono eloquente, stroncando la discussione.
Arrivò il momento dei souvenir, il più odiato da Dylan, poiché il fratello a lui riservava solo miseri regalini da pochi centesimi, oppure assolutamente nulla. Di solito diceva che aveva finito i soldi e non aveva potuto comprargliene. Al padre brillarono gli occhi vedendo ciò che aveva ricevuto.
La signora Jhonson gli accarezzò la guancia e lo ringraziò per il suo. 
E infine Justin aveva finito I soldi, purtroppo, perciò Dylan rimase a bocca asciutta. Ma si era preparato bevendo abbastanza in precedenza, perciò non ne soffrì.
Liquidò la famiglia con un semplice <<'Notte>>.

Non appena entrò in camera, si buttò sul letto e si rifugiò nel suo piccolo mondo cercando di ignorare le voci allegre dei genitori e del fratello che rimbombavano dal piano inferiore.

Avrebbe tanto voluto essere figlio unico o, per lo meno, avere un altro fratello, che fosse diverso dal suo. Diverso da Justin.
Preferiva addirittura ignorarlo che litigarci insieme: era uno spreco anche quello.
Come poteva voler bene ad una persona che non gli aveva nemmeno mai fatto un regalo di compleanno? Come poteva accettare e amare un fratello che lo ignorava, derideva e insultava ?
Era contro la sua volontà - o forse non del tutto : non riusciva a volergli bene.

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