16. That Feeling

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Il soffitto era scuro, ombroso e impenetrabile. Ogni luce era stata soffocata dalla notte e dal buio prima che un'altra alba smorta si annunciasse come l'alba prima di quella. Ma il soffitto restava ancora scuro come le altre pareti, e i suoi occhi fissi in un punto non preciso vibravano pregando che la luce non arrivasse mai. Alla sua destra un tiepido russare gorgogliava a tratti mentre la schiena del proprietario si alzava piano e si riabbassava.
Il suo sguardo era vacuo e le pupille erano dilatate; le mani erano incrociate sull'addome e respirava profondamente. La sera prima era stata una delle sere più belle e rilassanti della sua vita, tra le braccia del fratello a raccontarsi cose belle e divertenti, in un letto caldo e morbido, con tuoni e lampi che andavano a spegnersi mentre lui aveva la pura certezza che tutto andasse per il meglio. Ora che Justin dormiva e di lui solo la schiena e la testa riccioluta erano visibili, si sentiva vulnerabile e freddo; ogni ansia, ogni incertezza era insorta ancora nella sua mente e minacciava di rimanerci per sempre.
Variava a seconda dei momenti: attimi rose e fiori in cui pensava ad una possibile relazione con Dereck e attimi in cui il solo pensiero quasi quasi lo disgustava. Gli sembrava strano e sbagliato.
Un rumore dal comodino lo costrinse a voltarsi e prendere il telefono mentre quello lampeggiava insistentemente, bruciandogli gli occhi abituati ed immersi nell'ombra. Si perse nel guardare le notifiche che erano apparse sullo schermo e non si accorse che il suo movimento nello sporgersi verso il comodino aveva svegliato il ragazzo al suo fianco che si era voltato verso di lui, insonnolito, con gli occhi lucidi dall'impatto freddo con la luce e i capelli sparsi un po' ovunque sulla fronte. Mugugnò infastidito e si rigettò sul cuscino. Dylan lo guardò interrogativo e Justin gli lanciò uno sguardo severo. <<Abbassa quella luce>> disse con la voce roca impastata dal sonno ma con un cipiglio minaccioso.
<<Scusami, ora spengo>> sorrise Dylan, parlando a voce molto bassa. Spense il cellulare e lo ripose vicino lampada sul comodino, poi si ritirò sotto le coperte e si girò verso Justin che aveva richiuso gli occhi. <<Perche sei già sveglio?>> chiese quest'ultimo schiudendoli e assumendo un espressione un po' meno burbera e meno simile a quella di un vecchietto infastidito.
<<Non riesco a riprendere sonno>> rispose Dylan sbadigliando, come se quel gesto mentisse per lui, ed evidentemente Justin se ne accorse perché alzò gli occhi al cielo esasperato e fece una specie si grugnito.
<<Non sei nemmeno capace di dire bugie... ma che uomo sei?>>
<<Ah, ah divertente... non riesco davvero a riprendere sonno!>> sussurrò con forza.
<<Va bene>> fece Justin assumendo un aria più seria. <<Almeno ieri sera eri più tranquillo... bello l'effetto che ho sulle persone, dovrei fare lo psicologo! >> aggiunse, divertito.
Dylan invece si fece serio e dopo qualche istante si tirò su reggendosi su un gomito mentre la sua mente veniva accecata da un imporvviso lampo. <<Hey non è una cattiva idea! Tu hai quasi finito la scuola e non sai ancora che cazzo fare della tua vita, puoi davvero prendere in considerazione di fare lo psicologo!>> affermò eccitato mentre il fratello lo guardava dal basso con un sopracciglio levato.
<<Veramente stavo scherzando... figurati se mi metto ad ascoltare i problemi degli altri quando non riesco nemmeno a risolvere i miei...>> concluse Justin sbadigliando rumorosamente.
<<Ascolta... tu non te ne sei accorto ma se ti fossi annoiato ad ascoltarmi mentre io ti raccontavo i miei problemi allora non mi avresti chiesto di raccontarteli! >>
Justin sembrava molto scombussolato e sbatté più volte le palpebre prima di parlare di nuovo. <<Senti... stai facendo discorsi un po' troppo complicati alle... che ore sono?>> fece, guardando verso una parete scura dove doveva esserci un piccolo orologio a pendolo, ma a causa del buio non si leggevano i numeri e quasi non se ne distingueva la sagoma; prese il telefono di Dylan e controllò l'orario strizzando gli occhi non appena il telefono si accese sul suo volto.
Erano le cinque e un quarto ma i fiochi raggi del sole non penetravano dalle tapparelle, poiché ben chiuse e oscurate da pesanti tende blu.
<<Come mai hai messo tutte queste protezioni alla luce? Cos'è, sei allergico?>> fece Dylan cambiando argomento e ributtandosi sul letto sprofondando tra le coperte pesanti.
<<La mattina bestemmio... >> rispose Justin facendo capire che quello accadeva per colpa dell'insistente luce mattutina. Dylan rise piano e poi parlò. <<E c'era addirittura bisogno delle tende sulle tapparelle?>>
<<Certo>> rispose ovvio Justin.
<<Hai dormito bene stanotte?>> chiese improvvisamente tornando a guardarlo negli occhi, nonostante il suo viso fosse oscurato. <<Si, ho dormito bene>> rispose Dylan immaginando il motivo della domanda. Per molti minuti rimasero in un silenzio funereo, nessuno dei due parlava o si voltava a guardare l'altro e Dylan sperò che fosse il fratello a parlare per primo; e così fu: << 'Sto cazzo di freddo mi sta uccidendo! Vieni qui!>> declamò con decisione prendendo Dylan e stringendosi forte a lui, rannicchiandosi sotto le coperte spiegazzate. <<Ah, dio, sei bollente! Bravo ora fai il termo e scaldami!>> sospirò nascondendosi nel pigiama del minore che alzò gli occhi al cielo mentre cominciava a sudare. <<No, no, no, no! Tu non hai capito proprio niente, tu muori di freddo ma io così divento lava! Togliti Justin!>> disse nello sforzo vano di scrollarselo di dosso, ma quello ormai si era agganciato a lui come un koala e sembrava non intenzionato a mollare la presa. Poi a Dylan venne un dubbio non esattamente scontato: <<Com'è che hai così freddo? Guarda che c'è anche il riscaldamento acceso... cazzo hai anche la pelle d'oca>>
<<È inverno mi sembra normale avere freddo. Sei tu che hai una temperatura troppo alta! Ma in questo momento sei utile, quindi abbracciami e sta zitto>> fece sbrigativo tirando su le coperte fino al naso. A Dylan venne da ridere e lo strinse, nonostante il fatto che sentisse così freddo lo stesse preoccupando, ma pensò che fosse solo una sua paranoia quindi non infierì e lo abbracciò spostando le coperte verso di lui.
<<Ti fa così strano il pensiero di poter essere gay? >> mormorò Justin pochi minuti più tardi, sembrava sul punto di addormentarsi di nuovo confortato dal calore del moro. Lui subito non disse nulla, elaborando la domanda e una possibile risposta. Ma ogni cosa che gli veniva in mente gli sembrava davvero stupida. Sì, gli faceva davvero molto strano, considerando che per tutta la vita sono stato etero! Pensò. Eppure, allo stesso tempo, non gli dispiaceva.
Ma come avrebbe potuto farlo capire a Justin.
Justin, il magnifico Jus che aveva sempre avuto tutte le ragazze che voleva, un bel corpo, un bel viso, e il probblema di una bisessualità che non lo disturbava affatto. Lui non era come suo fratello.
<<Si>>
<<Ma... perché? >> Justin alzò lo sguardo e lo puntò in quello azzurro di Dylan che si senti trapassare gli occhi mentre la luce cominciava a farsi largo sotto qualche fessura della porta.
<<Non lo so. Come faccio a saperlo? Voglio dire... è strano e basta! Per te è facile->>
<<Facile? Credi davvero che per me sia facile? >> chiese tirandosi più su dalle coperte.
<<... No... >> pensò a quello che aveva detto. <<Solo che... per me non è così semplice... >>
<<È Dereck in sé che ti preoccupa quindi? Pensi di essere gay in fondo?>>
<<Cos... io non lo so, forse... >> ribatté Dylan confuso.
<<Bene. Allora fammi una sega>> senza preavviso Justin si staccò dall'abbraccio e si sedette sul tetto mettendo le mani sull'orlo dei pantaloni.
<<Ehy ma che cazzo fai, non voglio!>> fece Dylan scrollandosi di dosso le mani di Justin che lo aveva sollevato dal materasso portando anche lui a sedersi sul letto.
<<Hai detto che forse sei gay. Allora dai>> spiegò Justin come se stesse spiegando una cosa piuttosto palese.
<<Ma non... non è vero... cioè si... cioè... >> balbettò Dylan cominciando ad impappinarsi.
<<E se ci fosse lui?>>
Dylan tacque e lo fissò. Justin allora lo scavalcò e accese la lampada sul comodino, che rigettò un'aureola di luce argentata sul soffitto tetro.
Lo guardò serio. <<È proprio Dereck il probblema... non il fatto di poter essere gay>> mormorò comprensivo.
<<No... voglio dire... >> borbottò Dylan. <<Cos'ho di sbagliato?>> fece poi, abbattuto.
<<Niente... quello che hai è una cotta per il tuo migliore amico... niente di sbagliato>> disse Justin, e Dylan dovette reprimere l'istinto di picchiarlo. <<Che importa se sei gay o no. Magari sei bisex! Magari ora sei confuso e non lo capisci bene, ma se ti piace Dereck->>
<<Non mi piace Dereck!>> sbottò a voce alta diventando rosso, questa volta per la rabbia.
<<Perché neghi l'evidenza, Dylan? Pensavo fossi più sveglio! >> lo sgridò Justin assumendo quasi un aura da genitore - che non gli apparteneva - . <<Pensi a lui sempre e sei confuso. Ma non faresti fatica ad ammettere di essere gay! Non ho dimenticato la lettera nella tua giacca! Quindi è il fatto che ti possa piacere qualcuno che per anni hai considerato "amico" che tu non vuoi accettare; ma se ti piace non pensare al motivo, goditi questa sensazione e basta, non è difficile, lo capisco addirittura io!>> abbaiò Justin scuotendolo per le spalle come per volerlo risvegliare da uno stato di trance.
<<Si che è difficile! È difficilissimo! Tu non puoi capire perché non ti è mai piaciuto nessuno veramente!>> urlò di rimando Dylan come se facessero a gara a chi alzava di più la voce.
<<Tu non sei nella mia vita, non sai chi mi è piaciuto e chi non mi è piaciuto e comunque ora non stiamo parlando di me, ma di te! Almeno provaci! Provaci Dylan, cosa ti costa?!>> dopo quell'ultimo rimprovero, Dylan lo guardò in cagnesco e lasciò la stanza correndo giù per le scale e sperando che i genitori non si fossero svegliati, cosa che in effetti sarebbe stata da considerare un miracolo, quindi probabilmente avevano sentito buona parte della conversazione, potevano non averla capita però. Si rifugiò in bagno e si appoggiò al lavandino; le mani aggrappate ai bordi in una stretta così serrata che la punta delle dita divenne insensibile. poi senti qualcosa vibrare fuori dalla porta, dei passi, e qualcuno bussare.
<<Dereck ti sta chiamando>> disse la voce ovatta e pacata di Justin fuori dal bagno. Dylan sobbalzò e si precipitò fuori, con uno scatto afferrò il telefono e guardò lo schermo, poi guardò Justin, e ancora lo schermo. Il telefono continuava a vibrare nella sua mano come un richiamo agli istinti naturali. Guardò ancora Justin sperando che capisse dallo sguardo che non sapeva cosa fare, e Justin, fortunatamente, capì: << Be' rispondi, veloce!>> gli disse deciso, spingendo il telefono contro il suo orecchio. Dylan allora, che sembrava fare un enorme sforzo, come se il telefono pesasse quanto un macigno, strinse gli occhi e trattenne il respiro mentre rispondeva alla chiamata.
<<Pronto!>> sputò fuori tutto il fiato in una parola.
<<Hey Dylan, ti ho svegliato io?>> la voce di Dereck uscì forte e chiara dal microfono.
<<Hem... no! No, no! Io stavo... >> guardò disperato il fratello visto che lui non riusciva a ragionare velocemente in quel momento, come se tutta la sua solita prontezza fosse svanita non appena aveva aperto la chiamata. Justin spalancò gli occhi colto di sorpresa e si mise a mimare qualcosa: portava la mano al viso a tratti e la riportava giù mentre apriva e chiudeva la bocca. Dylan colse al volo, nonostante la raffigurazione di Justin fosse al quanto scadente.
<<... Mangiando! Stavo colazionando! Voglio dire... stavo facendo colazione... >> balbettò, e Justin gli sorrise raggiante e gli mostrò la mano con un pollice in su mentre annuiva velocemente.
<<Va bene>> Dereck rise e per qualche attimo a Dylan parve di sentire la risata di un angelo. Poi il se stesso nella sua mente si tirò uno schiaffo. <<Scusa se ti ho chiamato così presto solo che volevo dirti che oggi non posso venire a scuola per delle... delle cose, e mi chiedevo se quando esci da scuola ti va di venire da me. Te lo sto dicendo ora nel caso hai altri impegni... >> Dereck sembrò ad un tratto agitato. Dylan guardò ancora Justin. Allora lui lo fissò ancora con gli occhi spalancati, sorridente, mentre annuiva ancora più velocemente e in modo eloquente. Ma Dylan indugiò veramente molti secondi pensando a cosa fare, e Justin sembrava quasi che volesse prendergli il telefono per rispondere al suo posto. Be' in effetti si lanciò su Dylan e lo prese per il colletto guardandolo con un sorriso spaventoso mentre continuava ad annuire, questa volta lentamente come a voler marcare il concetto. Allora Dylan venne scosso da un brivido di paura e si affrettò a rispondere. <<Haem... si! Va bene vengo a casa tua dopo la scuola! Allora ci... ci vediamo dopo, eh! Ciao! >> balbettò mentre Justin manteneva quell'espressione inquietante.
<<Davvero? Grazie, amico! A dopo!>> Dereck sembrava parecchio emozionato, la sua voce esprimeva tutta la sua gioia. La chiamata terminò dopo svariati "ciao" da parte di entrambi.
Si accorse solo dopo di essere fulminato dagli occhi del fratello. <<Hem... puoi smettere di guardarmi così? >> chiese esitante mentre si stringeva nelle spalle, imbarazzato.
<<Oh andiamo, hai visto? È destino! Non ti senti meglio ora?>> sbottò Justin allegramente.
<<No!>> fece Dylan serio, e allora anche l'ilarità di Justin si perse.
<<Ti spaventa tanto?>>
<<Non mi spaventa!>> strillò fuori di sé, era già la seconda volta che lo diceva e la sua pazienza ormai era sull'orlo di quello che era il suo animo solitamente tranquillo .
<<Mi dispiace ma ormai non serve neanche mentire, fratellino. Potrà funzionare con gli altri ma non con me... non più. Hai paura e si vede->>
<<Io - non - ho - paura!>> sibilò con forza marcando ogni parola, nonostante dentro di sé gridasse l'approvazione alle sue parole. Justin lo guardò, in silenzio, le sopracciglia aggrottate e una strana smorfia infastidita e arrabbiata. Poi disse a denti stretti: <<Io ho provato a darti una mano. Non mi vuoi ascoltare? Cazzi tuoi. Sei troppo complicato, non venire più da me a chiedermi di aiutarti. Vaffanculo>> e uscì dal bagno chiudendo la porta, con uno scatto irritato, dietro di sé. Dylan rimase lì da solo, con una forte luce bianca ad illuminarlo da sopra la testa, mentre si pentiva di non essere ancora con Justin.
Quella mattina non si parlarono più e ognuno si perse per la propria strada. Dylan arrivò a scuola e passò una mattina monotona e noiosa, mentre tutti i professori, a distanza di ore, uscivano dalla classe e facevano spazio ad altri. E così, finite tutte le ore senza aver parlato quasi a nessuno, con un brivido di eccitazione e ansia allo stesso tempo, prese il vialetto che portava alla casa di Dereck mentre le nuvole si diradavano sopra la sua testa e qualche debole raggio di sole ci passava in mezzo. Arrivò davanti alla porta e si bloccò, si guardò in torno: le case dietro di lui erano grige e tristi, la siepe che aveva di fianco sembrava arida e trasandata, ma la casa che aveva di fronte era grande e lucente in mezzo a quel paesaggio tetro. Si guardò le scarpe, si sistemò i capelli e si specchiò nel pomello della porta, poi, prima che potesse suonare, quella si spalancò e una figura snella dai capelli lunghi e argentati sbucò fuori e lo strinse forte.
<<Ciao tesoro! Dereck è in cucina>> la Signora Brown lo lasciò, permettendogli di respirare. Dylan sorrise e salutò cordiale, entrò in casa e venne assalito una seconda volta da un'altra figura sempre snella ma più alta e robusta, anche lui con capelli chiari e lucenti. <<Hey!>> esclamò Dereck staccandosi ma tenendolo per le spalle.
<<Hey, DK>> fece di rimando Dylan con un sorriso innocente, che evidentemente risultò molto tenero visto che sia Dereck che April arrossirono, facendo sentire il ragazzo leggermente imbarazzato.
Tutti e tre si sedettero in cucina e Dylan avvertì quella sensazione di disagio che si impossessava di lui ogni volta che era in case altrui. <<Dylan, vuoi da bere? >> chiese la signora Brown alzandosi dalla sedia, lasciando uno spazio vuoto tra i due ragazzi.
<<Uhm... no, grazie>> rispose Dylan, mentre pensava l'esatto opposto.
<<Sicuro?>> rincarò lei.
<<... Si>> ripeté Dylan.
<<Va bene. Allora io vado un attimo in bagno, ragazzi>> E la signora Brown sparì dietro un angolo della cucina.
<<Vuoi da bere?>> chiese allora Dereck che sembrava trattenersi dal ridere.
<<Si, ti prego!>> rispose supplichevole, e allora Dereck scoppio veramente in una grassa risata mentre gli prendeva un bicchiere.
<<Tieni>> dopo averlo riempito d'acqua glielo porse, rimanendo in piedi davanti a lui. <<Andiamo di sopra?>> chiese con un sorriso inesplicabile ad increspargli il volto. Dylan annuì, così Dereck lo guidò fino ad una stanza tre piani più in alto. Era una stanza non molto grande - o almeno così sembrava visti tutti gli oggetti che l'affollavano e la rendevano in qualche modo particolarmente accogliente - ; aveva il soffitto basso e un balcone le cui porte, simili a finestre allungate, erano oscurate da lunghe tende arancioni a strati. Sulle pareti erano attaccati molti poster che raffiguravano strumenti musicali, da violini a batterie a chitarre elettriche e tromboni; le pareti erano giallognole e facevano sembrare la stanza molto calda anzi, in realtà, tutta la stanza aveva colori caldi, persino le coperte di un basso letto largo erano arancioni, chiare e leggere, sembravano nuvole al tramonto; un piccolo comodino marrone era accostato al letto, sormontato da una lampada di legno la cui luce, sempre aranciata, ne illuminava un angolo assieme ad una porzione di parete che aveva di fianco.
Si sedettero sul letto e rimasero a parlare di cose abbastanza inutili per una buona mezz'ora, finché non si accorsero che erano davvero argomenti troppo inutili e decisero di far'altro. Misero la musica, cominciarono a ballare, saltare e fare... cose e mosse strane, rischiando anche di farsi male a causa della loro poca elasticità e atleticità: Dylan sbatté forte la testa contro lo spigolo di un mobiletto aperto, e fra imprecazioni che sembravano scelte accuratamente per quel momento, risate di Dereck e massaggi sulla nuca, riuscì ad alzarsi con gli occhi brucianti dal dolore.
Finirono stravaccati sul letto a parlare di nuovo, ma questa volta di cose serie.
<<Ho capito, quindi per questo non sei venuto oggi?>> chiese Dylan.
<<Gia, mio nipote è proprio carino, sai? Si chiama Jessie... e abbiamo anche visto il marito di mia sorella >> Dylan sentì la voce dell'amico sfumare.
<<Non vuole tenerlo, non se la sente. Vuole vendere la casa e trasferirsi il più lontano possibile... quindi Jessie viene con noi>> continuò.
<<C'era anche mio padre oggi? Lo hai visto?>> chiese Dylan.
<<Si, l'ho visto di sfuggita, sai non mi hanno fatto state molto là dentro... discorsi da adulti e io non sono maggiorenne... hanno solo chiesto il mio consenso per il bambino e ho provato a parlare con Norman, il... >>
<<... Si, il marito di tua sorella>> completò Dylan.
<<Jessie verrà portato qui tra qualche giorno... praticamente sarò io suo padre perché i miei non saranno spesso a casa... soprattutto con... be' tutte le cose che devono organizzare adesso; hanno fatto firmare anche me nel foglio di adozione come genitore... tipo famiglia alternativa>>
Dylan trattenne il fiato e sospirò a fondo. <<È una grande->>
<<Responsabilità, si lo so, lo ha detto anche mia madre... e tuo padre>> lo interruppe Dereck ridendo. <<Tu... sei sempre stato più adulto di me... parli come un adulto... pensi come un adulto...>> mormorò, quasi rattristato.
A Dylan venne in mente la conversazione con Justin e si accorse di non essere per niente adulto come diceva l'amico.
<<Chiamami quando avrai bisogno, d'accordo? >>
<<Va bene>> disse Dereck sorridendogli, poi si voltò a guardare la parete che aveva di fronte. Seguì un lungo silenzio poi Dylan non riuscì più a trattenersi. <<Che mi dici del funerale...?>> chiese come se stesse sollevando un grande peso con un enorme sforzo. Dereck esitò qualche istante e deglutì. <<Be' è fra qualche giorno... poi c'è la veglia... e...>>si voltò verso Dylan. <<Tutta quella roba là...>> Dylan annuì sospirando poi distolse lo sguardo, imbarazzato. <<Già, be'... forse non avrei dovuto chiedertelo...>>
<<No, fa niente, tranquillo... mi farebbe piacere vederti... al funerale... >> aggiunse Dereck.
<<Ci sarò, ovviamente>> gli assicurò Dylan tornando a guardarlo. Proprio qualche secondo dopo essersi voltato, senza averlo premeditato e cogliendosi da solo di sorpresa, attaccò le labbra alle sue. Tempo pochi istanti e si ritrovarono stretti in un abbraccio mozzafiato, che si baciavano con furia, come se fossero incollati. Crollarono sul materasso. Dylan gli posò lo mani sul viso e lo spinse verso di se... lo sentì sorridere e avvertì un calore immenso espandersi sul collo e sulle guance, la stanza era improvvisamente diventata ardente, sentiva, al posto del consueto sangue, lava incandescente ribollire nel suo stomaco. Per dei magnifici minuti non aveva pensato a niente... la mente era vuota, niente che gli impedisse di compiere quel gesto, nessuna domanda...
Ma poi, quando si accorse di quello che stava facendo, un lampo fortissimo gli balzò davanti agli occhi, come un enorme scritta luminosa di avvertimento, la verità gli piombò addosso, assoluta ed irreversibile, e si alzò di colpo lasciando Dereck sul letto, ancora steso. <<Oh Gesù! >> lo disse con una voce stranamente acuta e si allontanò dal letto mentre Dereck si alzava tutto stropicciato e rosso in volto con una specie di sorrisetto compiaciuto.<<Wow...>> disse ansante. <<Scusami! Io... non so cosa mi sia preso... davvero, scusa>> Dylan si agitò e non ebbe neanche il tempo di arrossire mentre capiva quello che era successo.
<<Hey non scusarti, non è successo niente, tranquillo>> fece Dereck raddrizzandosi bene sul materasso.
<<Si invece! Senti... dimentica quello che è successo! >> sbottò Dylan. Dereck aggrottò leggermente la fronte e il sorrisetto svanì.
<<come? Sei tu che mi hai baciato! >>
<<Come se a te sia dispiaciuto! >> esclamò Dylan trasalendo. Dereck a quelle parole schiuse la labbra.
Dylan lo vide arrossire alla luce della lampada. Parve lottare contro se stesso per un attimo.
<<Ma tu hai baciato me!>> disse con una sfumatura d'accusa nella voce.
<< Si lo so... ma non so perché! Mi dispiace... i-io non volevo>> balbettò, e corse verso la porta. Era pronto per aprirla quando venne preso per il polso. <<Hey, non andare via. Non... non è successo nulla, ti prego...>> ma Dylan lo fissò, scosse la testa impercettibilmente e uscì di corsa dalla stanza senza chiudere la porta mentre sentiva il suo nome urlato svanire. Corse giù dalle scale scendendo i gradini due a due per tre rampe e se ne andò di fretta quando si ritrovò all'uscita.
Corse veloce verso casa mentre la sua ombra lo seguiva sul marciapiede, dietro la luce rossa del tramonto. In poco tempo si ritrovò davanti alla porta di casa sua, l'aprì velocemente ed entrò correndo ancora per altre scale, mentre Justin, seduto sul divano, lo chiamava: <<Allora? Com'è andata? >> aveva detto, con un ostentato tono annoiato non appena la porta si era aperta, ma non aveva ricevuto risposta perché Dylan lo aveva ignorato e aveva sbattuto forte la porta d'ingresso lanciando una specie ruggito, poi era corso in camera. Ormai ci stava prendendo l'abitudine. Chiuse a chiave la porta - era la prima volta che lo faceva - e ci si appoggiò con la schiena fissando un punto del letto che aveva di fronte; poi sprofondò lungo la superficie e si ritrovò seduto a terra, lo sguardo assente e le braccia a circondardgli le ginocchia. Sentì bussare forte dopo pochi secondi, come se qualcuno volesse buttare giù la porta. <<Dylan, aprì! Dylan! Che cazzo è successo? DYLAN!>> urlò dal corridoio Justin mentre batteva i pugni sul legno duro.
<<Lasciami in pace! Per una volta fatti i cazzi tuoi e vattene!>> gridò di rimando Dylan.
<<Avanti apri! Senti, scusa per quello che ho detto stamattina! Ti aiuterò ancora! Sono tuo fratello!>>
<<Justin, non me frega niente del tuo aiuto, va bene!? Non riesci mai a farti i cazzi tuoi?! Non me ne fotte se sei mio fratello! FUORI DALLA MIA VITA!>> Dylan urlò con tutto il fiato che aveva, sentì la gola bruciare e la testa pulsare.
<< Dylan, qualunque cosa sia successa puoi dirmela->>
Dylan, allora, non vedette più dalla rabbia: si alzò di scatto e bettè calci e pugni sulla porta, le cerniere cigolarono e la maniglia minacciò di staccarsi. <<Vafanculo! Vaffanculo! Vaffanculo! Vaffanculo! VA-FFAN-CU-LO! Non sei mio fratello, sei uno stupratore DI MERDA! È TUTTA colpa TUA! Vaffanculo! >> urlò forte l'ultima imprecazione piangendo e si fermò solo quando, da una fessura vicino al pavimento, vide l'ombra del fratello allontanarsi nel silenzio. Pensò davvero di aver esagerato, e fu quel pensiero a struggerlo definitivamente.
Diede una spallata alla porta mentre le sue labbra si arricciavano per la voglia di piangere ancora ed il naso gli pizzicava. Sbatté un ultima volta un leggero pugno e poi si riaccucciò sul pavimento freddo, nella stanza buia e deserta, le tende tirate, le nuvole grige, la pioggia nuova imperterrita e gelata gocciolante sui vetri. Era solo. Era confuso e pieno di domande rivolte solo a se stesso... domande a cui non riusciva a dare risposta. Non riuscì ad evitare che delle altre lacrime bollenti gli scivolassero dagli occhi, come loro consuetudine degli ultimi mesi; insultandosi per quella sua debolezza, per quella sua fragilità che aveva assunto in così poco tempo, inaspettatamente e fastidiosamente irrefrenabile.
Come poteva considerarsi un uomo.

Quella verità che gli era piombata addosso e che lo aveva bloccato... lui non sapeva quale fosse.

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