17. After the rain, there's snow

494 28 0
                                    

Da fuori, al gelo pungente, nessun rumore tuonava nell'aria tranne quello di uno strano picchiettio sull'asfalto. La porta era diventata gelida e il pavimento sembrava fatto di neve fresca caduta durante la notte; una notte passata schiacciato sul pavimento, immobile, la testa caduta tra le mani intorpidite e le ginocchia al petto. Sentì la testa girare e il suolo freddo scivolargli sotto le gambe e arrivagli con un tonfo sul fianco mentre la schiena era strisciata sulla porta. Era rannicchiato sul pavimento con gli occhi aperti e vitrei che fissavano le coperte riverse a terra che aveva aggredito la sera prima. Aveva sonno, aveva fame ma non riusciva né a chiudere gli occhi né ad alzarsi.
Quando stava per addormentarsi, densi incubi si rincorrevano nella sua mente senza dargli pace e aveva capito che l'unico modo per ignorarli era stare sveglio, mentre gli occhi lacrimavano contro la sua volontà e le labbra tremavano senza sosta. Se l'era presa con chi aveva cercato di aiutarlo, l'aveva respinto nonostante non fosse lui la causa di quel suo disprezzo verso qualcosa... qualcosa che nemmeno lui riusciva a riconoscere. Non sapeva da dove provenisse tutta quella rabbia ma poi, quando per l'ennesima volta le palpebre calarono, quella crebbe nel buio; non riusciva a starsene lì sdraiato in compagnia di quei pensieri amari. Sentiva il bisogno di scusarsi, non di essere consolato. Si era stancato di fare la vittima, di creare problemi a chiunque cercasse di aiutarlo. Aveva capito che i suoi problemi doveva risolverli da solo. Un forte tuono si abbatté nell'aria e a Dylan parve di sentire la proprie lacrime cadere a terra a ritmo della pioggia. La luce bianca passava dagli angoli delle tende che coprivano la finestra ma la stanza rimaneva quasi completamente nell'ombra.
Qualcuno bussò e Dylan venne scosso da un brivido quando sentì la voce del ragazzo che aveva battuto due timidi colpi sulla porta. <<Hey... sei sveglio? >> sussurrò con il tono di chi sembrava si stesse scusando per un grave reato. Dylan non rispose ma, dopo pochi secondi di riflessione, si alzò dal pavimento con qualche scricchiolio sinistro proveniente da schiena e ginocchia. Guardò a terra le impronte umide lasciate dalle sue lacrime, poi guardò la camera spoglia e grigia e avvertì una stretta al cuore.
Non sentì bussare di nuovo ma capì che il fratello lo aspettava dall'altra parte della porta, così l'aprì e una luce spenta e pallida lo investì, mentre le sue pupille si stringevano in quel mare che avevano a circondarle. Justin parve sorpreso e lo guardò intensamente; anche Dylan attese con lo sguardo ora fisso e penetrante indugiando sul fratello; Dall'aria preoccupata e spaventata di Justin, Dylan capì di essere pallidissimo; poi parlò: <<L'ho baciato>> i minuti si dilatarono nel silenzio in quelli che avrebbero potuto essere anni. Justin fece uno strano sospiro soffocato; sembrava si stesse trattenendo dal forte impulso di sorridere. <<E...?>> fece a bassa voce.
<<E poi me ne sono andato... l'ho lasciato solo>> rispose Dylan, la voce interrotta da un leggero tremolio. Il fratello parve dispiaciuto a quelle parole, come se fosse stata colpa sua.
<<Sono stato terribile, lo so ma->> le braccia del fratello lo coccolarono per diversi minuti prima che anche Dylan lo abbracciasse.
<<Ieri ho detto cose che non volevo dire... >> esalò in un sussurro. <<Si be'... anche io>> ammise Justin.
<<No invece, tu hai detto cose giuste... quando eravamo in bagno... hai detto la verità, e infatti avevi ragione>> disse sciogliendo l'abbraccio.
<<Senti io non ce la faccio più... ma non voglio che tutti si creino probblemi per colpa mia... quello che ho detto ieri mi fa male, più di quanto pensi>> mormorò. <<Ci sono cose che... che io non riesco a capire ma adesso credo che seguirò il tuo consiglio... >>
<<Cioè?>> chiese Justin, quasi commosso.
<<Non mi farò più troppi problemi, o almeno ci proverò>> seguì un altro lungo silenzio.
<<Dereck ti ha detto qualcosa? >>
Dylan alzò lo sguardo ricordando il giorno prima mentre scendeva le scale e sentiva le suppliche dell'amico. <<Si... in realtà no... lui mi stava chiamando e mi ha detto che non era successo niente ma per me invece era successo e allora... allora me ne sono andato>> non voleva piangere, e con uno sforzo che richiese ogni sua volontà riuscì a trattenersi.
<<Sistema le cose... ti dico lo questo>> aggiunse proprio quando Dylan stava per ribattere. <<A dopo>> e scese le scale velocemente.
Da quel giorno né Dylan né Dereck si rivolsero la parola, né si guardarono o scrissero. Dylan riceveva notizie sulla famiglia Brown grazie a sua madre e a suo padre, che avevano annunciato l'arrivo del piccolo Jessie. Ricordò di aver promesso all'amico di aiutarlo se ne avesse avuto bisogno ma purtroppo passava ore e ore aspettando una sua chiamata che non arrivava mai. Sapeva di dover essere lui a scusarsi ma qualcosa glielo impediva.
Ogni volta che lo vedeva a scuola le viscere gli si contorcevano e un forte senso di nausea lo pervadeva; tuttavia, il pomeriggio di un gelido quattro dicembre, mentre fiocchi di neve leggeri e candidi cadevano oltre la finestra della sua camera dopo che tuoni e fulmini del mese passato si erano calmati, lo schermo del cellulare si accese all'improvviso; e Dylan, che prima stava steso sul suo letto caldo e morbido con una tazza di caffè in mano a leggere un libro dalla copertina stropicciata, balzò in piedi e afferrò il telefono ammirando estasiato il messaggio tanto aspettato: Ti va di vederci?
All'improvviso un forte batticuore s'impossessò di lui e senza pensarci troppo rispose la prima cosa che gli era balzata in testa: Certo.

LOVE YOUR ENEMYDove le storie prendono vita. Scoprilo ora