5. The Beginning of The End

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Accoccolato tra le coperte, Dylan se ne stava in uno dei suoi stati apatici in attesa che la sveglia suonasse, in attesa che anche gli altri, come lui, si svegliassero. Non che lui avesse dormito poi granché. Però almeno era il primo giorno di scuola e voleva, per quanto gli era possibile, passarlo in modo spensierato, felice, libero.

Si preparò in fretta e, sempre con la stessa euforia, si precipitòfuori dalla porta di casa chiamando la madre per farsi raggiungere.Salirono in macchina, solo loro due, finalmente. Senza misterfenomeno alle calcagna Dylan si sentiva cosi leggero che avrebbepotuto volare da un momento all'altro senza nemmeno bisogno delleali, gli bastava il respiro per riempire i polmoni e poter sollevarsi. Ma si trattenne.
Evie capivala gioia  del ragazzo, nonostante non la condividesse, ma gliconservò il suo sorriso migliore prima di lasciarlo davanti allascuola. <<Ah ecco... Dylan! Ricordati che oggi->>
<<Si lo so, mamma... Justin>>
la donna annuì dolcementee se ne andò, slittando sull'asfalto.

Venne subitoassalito dal suo migliore amico, Dereck Brown, un ragazzo biondo che loabbracciò e gli scompigliò i capelli in modo dolce e amichevole.
<<Allora, come hai passato l'estate?>>
<<Bene... fortunatamente mister-sono-il-migliore è tornato soloqualche giorno fa, quindi me la sono goduta>> rispose Dylanmentre si avvicinavano all'ingresso dell'edificio e man mano venivano assaliti dal resto del loro gruppo.
La lezione iniziò e Dylan, come al solito, era uno dei pochi attenti. Purtroppo la sua attenzione, quel giorno, durò poco date le sue prove malriuscite di prevedere il futuro per sapere come sarebbe andata conil mostro, nella stessa macchina, a poca distanza l'unodall'altro. Gli venivano i brividi solo a pensarci, figurarsi a viverlo.
Molti si stupirono nel vederlo fissare il vuoto mentre ilprofessor Harley, l'insegnante di letteratura, spiegava.
Lui, Dylan, era solito prendere sempre appunti, alzare frequentemente la mano per dare risposte scelte accuratamente e sempre, immancabilmente, precise: facevadomande utili, discorsi maturi e non disturbava. Gli bastò un solo richiamo del giovane professore col completo marrone per tornare sull'attenti. Harley era di sicuro il suo insegnante preferito. Sapeva penetrare nell'anima quando parlava, riusciva a colpire nel profondo.Era un uomo estremamente giovane per quanto maturo, pareva avesse la mente di uno che aveva visto e conosciuto ditutto. Non aveva un aspetto particolare, i capelli castano scuro egli occhi del medesimo colore. E Dylan doveva ammettere che quel completo marrone abbinato alla camicia bianca lo rendevano dannatamente affascinante.
Era il genere genere di uomo a cui non mancava nulla: aveva i libri, la sua passione e sempre - ma proprio sempre - un sorriso allegro.
Quanti ne vedeva di sorrisi, Dylan. Ormai non riusciva nemmeno più a riconoscere quelli falsi. Tutti, in torno a lui, avevano sempre un' aria felice. Si chiedeva, però, se davvero a loro andasse tuttobene. Secondo lui era impossibile essere sempre felici. Si chiedevacome facesse sua madre: Lei era sempre col sorriso, spesso sorrideva per sorreggere gli altri, sostenerli, appoggiarli, rassicurarli... trasmetteva calore, un teporecosì confortevole e amabile che era impossibile non volerci rimanere per sempre.
Una volta, ad esempio, da piccolo aveva visto il padre piangere, con la testa china sul tavolo e ben nascosta perevitare che qualcuno lo vedesse. Era la prima volta che lo vedeva e sarebbe stata anche l'ultima. La moglie era subito andata da lui, lo aveva abbracciato e coccolato. Lo aveva confortato tenendoselo stretto al petto, sorridendogli dopo aver condiviso il dolore con lui. Era uno dei ricordi più belli che custodiva e sperava che, un giorno, anche lui sarebbe stato in grado di consolare le persone in quel modo.
Ilprofessore richiamò Dylan in classe prima che potesse andarsene. Gli poggiò una mano sulla spalla e lo guardò negli occhi facendosi serio ma mantenendo un'aria rassicurante <<Tutto bene, Dylan? Ti vedo pensieroso, non è da te. È successo qualcosa?>> Era uno dei pochi professori a chiamarlo per nome.
<<Oh, no, niente.>> sorrise, imitando un tono spensierato. Forse gli riuscì anche bene perchè Harley lo congedò poco dopo senza troppi interrogatori.

<<Hey... è per tuo fratello che stai così? Hai passato tutta la lezione a fissare le mosche.>>
<<Secondo te, Dk?>> disse con tono ovvio.
<<Dai...>> il biondo gli diede una sonora pacca sulla schiena che lo fece barcollare.<< Devi solo ignorarlo.>>
<<Si... >>disse, senza quasi nemmeno degnarlo di attenzione, continuando a guardare dritto davanti a se pesando a come poter scampare al probabile pericolo di morte nel caso di una possibile litigata in macchina.

Uscito dal cortile vide subito la maestosa macchina del fratello: una Mercedes nera, Pagata un rene eusata così raramente che avrebbe potuto rivenderla e spacciarla come nuova. L'aveva comprata durante uno dei suoi viaggi in Germania. Non la usava spesso, soprattutto perchè si faceva volentieri accompagnare da altre persone per non sprecare inutilmente soldi in carburante e manutenzioni. Sentì la mano di Dereck dargli un buffetto di consolazione. Vedendo che tutti ammiravano - con gli occhi che parevano delle lucciole - la mitica macchina di Justin, e notando che quest'ultimo si era alzato gli occhiali da sole per fare la corte alle ragazze nel cortile, si affrettò a salire per partire il più presto possibile e scendere il più presto possibile.
Chiuse la portiera con poca delicatezza, aspettandosi già un rimprovero da parte dell'altro che naturalmente non tardò ad arrivare. <<Sei salito come un cazzo di elefante e poi chiudi la portiera in questo modo? Sei così ingrato->>
<<Sta zitto e parti.>> Disse lui portando le dita ai margini degli occhi per poi strofinarli massaggiandosi anche ilponte del naso.
<<Prego?>> fece l'altro con voce tetra. Dylan si voltò a guardarlo capendo che per farlo partire non avrebbe avuto alternativa, così deglutì preparandosi allo sforzo più grande della sua vita. <<Scusa... per la portiera. Perfavore... puoi partire?>>
<<Se me lo chiedi con questa grazia allora... >> fece l'altro tirando giù gli occhiali da sole per poi schiacciare all'improvviso il clacson col gomito facendo sobbalzare Dylan. Disse che non lo aveva fatto a posta.

Partirono, lasciando che l'edificio scolastico si rimpicciolisse metro dopo metro. Ogni secondo sembrava infinito, sembrava durare una vita. Una vita molto lunga e faticosa. Davanti agli occhi di Dylan passavano case, campi, alberi. Avrebbe guardato di tutto pur di non occhieggiare dalla parte di Justin.
<<... Com'è andata a scuola... ?>> la voce del maggiore risuonò incerta e sofferente, sembrava gli stessero schiacciando le dita tra due tavoli.
<<Te lo ha chiesto mamma di parlarmi, vero?>> chiese tediato Dylan tenendo la guancia attaccata al palmo della mano e guardando ancora fuori dal finestrino.
<<... Si>> ammise, ora sembrava stesse trattenendo a stento un conato di vomito.
<<... Bene>>
Calò ancora un silenzio tetro, noioso, teso e indeciso come quello prima che un prof cominci ad interrogare estraendo a caso.

La musica partì senza preavviso e Dylan quasi colpì il tettuccio con la testa sobbalzando per il - miracolosamente - mancato infarto. Giurò di aver sentito il cuore balzargli via dal petto. Justin aveva fatto partire una canzone ad un volume tanto alto che temette gli sarebbero sanguinate le orecchie.

Il ragazzo continuò a guardare lastrada. <<Spaventato?>> chiese con una smorfia stranamente innocente ma allegra, girando una rotellina per abbassare il volume. <<No... >>mormorò Dylan accovacciandosi di nuovo controlo sportello, piegando le gambe senza però poggiare i piedi sul sedile sacro della vettura.
<<Non volevo spaventarti.>> Disse con voce pacata senza occhiate o sorrisetti strafottenti.
Dylan non volle ammetterlo ad alta voce ma la canzone scelta da Justin era, come dire, orecchiabile.

Parcheggiò nel vialetto e i due scesero dal veicolo senza nè guardarsi nè parlarsi, così com'era stato definito.
Allo stesso modo entrarono in casa e si spartirono i vari discorsi sul primo giorno da raccontare ai genitori quandosarebbero tornati, in modo da essere già preparati per i vari turni di chiacchiere.
Era andato tutto bene, pensò Dylan con sollievo, sperando che ilgiorno dopo sarebbe stato altrettanto "facile" come quello.


Purtroppo siccome avevo iniziato a scriverla su PC alcune parole rimarranno attaccate anche se le correggo, perdonatemi.

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