34. «Hanno ucciso la gara!»

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Martina

Avanti Sebastian rispondi. Rispondi ti prego. Penso dentro di me, provando per l'ennesima volta a comporre il suo numero di cellulare. Ma ancora una volta non ricevo nessuna risposta. Sono passate più di due ore da quando è terminata la gara, le interviste dovrebbero essere finite da un pezzo. E' mezzanotte e mezza, dovrei andare a dormire, ma non ci riesco. Voglio sapere come sta Sebastian. Voglio sentire la sua voce. Ne ho bisogno.

Tocco il suo ID e sento il telefono squillare.

Avanti, avanti, rispondi.

Ma si sente solo il telefono squillare, nessuno risponde. Frustrata, sto per buttare il telefono sul letto, quando sento gli squilli interrompersi. Questa volta la chiamata non è terminata senza risposta; qualcuno dall'altra parte c'è.

«Seb? Sebastian, sono io. Fammi sapere che stai bene. Fammi sentire la tua voce. E' tutto quello che ti chiedo. Ti prego.» Dico io, sull'orlo del pianto. Ho il cuore che mi batte fortissimo, perché Dio solo sa quello che Sebastian sta passando in questo momento. Ho visto dalla tv dell'hotel tutto quello che è successo. Sebastian è un vero pilota, ma è anche umano. Forse qualcuno spesso si dimentica che gli uomini, in quanto tali, hanno delle emozioni.

Non sento nessuna risposta, allora continuo a parlare. Non mi arrenderò, perché so che dall'altra parte lui c'è e mi sta ascoltando.

«Non voglio sembrare egoista e... scusa se sto invadendo il tuo spazio. Forse hai bisogno di stare da solo, e ti capisco. Solo... fammi sapere che è tutto ok, che qualcuno non ti ha rotto qualcosa dentro il petto. Seb, sei la cosa più importante che io abbia. Mi fa male non esserti vicino, quando in verità lo vorrei essere. Però parlami, ho bisogno di-»

«Martina.» Dice lui tutt'ad un tratto. La sua voce è rotta, frammentata ed è molto flebile. Immagino che sì, qualcosa si sia rotto dentro di lui.

Segue un lungo silenzio, poi dice soltanto «Hanno ucciso la mia gara. Io ho solo tentato di sopravvivere, ma hanno ucciso la mia gara.» Lo posso immaginare nella stanza, all'interno dell'hospitality Ferrari, oppure in hotel, seduto sul bordo del letto, con gli occhi fissi nel vuoto.

«E quello che mi fa male è che non me la ridaranno indietro. Non mi ridaranno quello che mi hanno portato via. E tu sai quanto io odi quando mi prendono le cose che mi spettano.»

Apro la bocca per parlare, ma vengo interrotta «Avrei dovuto telefonarti prima, scusa. E' che mi sono isolato per evitare di fare altri casini. Sono stato uno stupido, perdonami se ti ho fatto stare in pensiero. Io... Come stai?» Dice poi, cambiando discorso.

«Come stai tu?» Gli rivolgo io la stessa richiesta.

«Lo sai Mar, che non si risponde alle domande con un'altra domanda? Ma fa lo stesso, tanto te lo puoi immaginare. Non che ti voglia dire una bugia, infatti non va un gran ché bene. Sono ancora incredulo per quello che è successo, non riesco a credere che-» Con tutto il coraggio che ho, lo interrompo. Devo essere forte per lui; lui lo è stato tante volte per me, ora è il mio momento.

«Seb, calmati. Hai bisogno di svuotare la tua mente, altrimenti tutti quei pensieri ti faranno diventare pazzo. Io sto bene; da quando ho preso le medicine non ho più vomitato, hanno fatto i miracoli.»

Poi gli mando la richiesta per fare una videochiamata. Magari aiuterà, vederci in faccia. Lui la accetta quasi subito, ma lo schermo è nero.

«Scusa, ora accendo una luce. Ero così concentrato a lasciarmi tutto alle spalle, che ho quasi trascinato via anche me stesso.»

Si sente un 'click', poi finalmente vedo i suoi occhi luminosi, contornati ai lati inferiori da due occhiaie scure. Sebastian è così, quando qualcosa non va. Sembra che non dorma da giorni, anche se in verità è solo assediato da mille pensieri.

Numero Sei || Sebastian VettelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora