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Paolo sbuffò sprofondando ulteriormente nel sedile dell'aereo.
Sentì la pressione schiacciarlo contro il sedile durante il decollo e i muscoli del viso tendersi, spingersi verso il basso, la pressione schiacciargli le tempie e rendergli sorde le orecchie.

Quando l'aereo si fu stabilizzato, strinse le narici con due dita e soffiò, sentendo le orecchie liberarsi un po'. Diede un'occhiata fuori dal finestrino mentre si allontanava dall'aeroporto di London-Heathrow.

Si calò il berretto sugli occhi, maledicendo ancora una volta quei folli dei suoi genitori e le loro idee ancora più folli: alla fine, avevano vinto loro e si trovava in viaggio verso la Sicilia.

Detestava l'idea di doversi privare di due settimane di vacanza da passare con gli amici sulla spiaggia di Brighton e le folli serate in festa al Brighton Pier. Aveva incominciato a frequentare la città costiera con i suoi genitori durante il periodo delle festività invernali, quando si recava con la famiglia a fare visita ai nonni materni che, da sempre, risiedevano lì, e poi vi era tornato un'estate e... se n'era innamorato: le giornate serene e tranquille, le ore oziose, le notti da sballo al Pontile. La gente libera e fresca del posto. I giovani come lui pieni di voglia di vita e di fare esperienze senza porsi il problema del domani. Godersi ogni istante come se fosse l'ultimo; respirare ogni attimo e assaporarlo sino in fondo.

E i suoi genitori l'avevano spedito in Sicilia! Più ci pensava, più gli veniva da piangere. E se l'anno successivo si fosse trovato già lavorativamente legato e senza possibilità di prendersi quelle due settimane da passare a Brighton? Non vi avrebbe più fatto ritorno?
Che ne sarebbe stato di Scott, Tyler e Christine? Si stava forse perdendo l'ultima estate da ragazzo da potere trascorrere con loro? Li avrebbe mai più rivisti?

Sbuffò nuovamente nascondendosi tra i sedili, si tolse il berretto poggiandolo su un ginocchio. Gli mancavano da morire le tette di Christine, le labbra di Scott... e non aveva avuto tempo di scoprire sino in fondo Tyler, e forse non avrebbe mai più potuto rivelargli quanto fosse per lui seducente il suo modo di guardarlo di sbieco mentre si mordeva il labbro inferiore...

Dannazione! La sua vita era finita, precipitata in un abisso senza fine e, si era trovato a permettere che ciò accadesse senza capire come, quando e perché tutto aveva incominciato ad andare a rotoli.

Il volo fu abbastanza tranquillo, il cielo era limpido e non vi furono scossoni fastidiosi o turbolenze a rendere il viaggio ancora più insopportabile di quanto già non fosse.
A meno di venti minuti dall'atterraggio, un ragazzo si sedette vicino a lui: era uscito dal bagno e, invece di ritornare al suo posto, aveva finito per riempire uno dei sedili vuoti al suo fianco. Paolo lo guardò di sbieco, curioso di capire che diavolo ci facesse lì quel tizio a interrompere il suo malumore con la propria inaspettata presenza.

Era un uomo giovane, sui trent'anni, indossava degli occhiali da sole che gli coprivano gran parte del viso, aveva una scura barba incolta a incorniciargli la mandibola e stava con la testa china ad ascoltare, probabilmente, della musica tramite gli auricolari che teneva nelle orecchie.

Paolo si trovò a scendere con lo sguardo sul suo fisico, non eccessivamente massicio, ma comunque ben proporzionato, con quella muscolatura tipica degli atleti, quando, all'improvviso, si trovò il viso dell'altro a un palmo dal suo.
Il giovane fece scivolare gli occhiali da sole sul naso con un dito, fissando gli occhi chiari e limpidi nei suoi.

-Tu non eri qui...- gli mormorò quasi sulle labbra, poi aggrottò la fronte e spinse nuovamente gli occhiali sul naso. -Mi sa che ho sbagliato posto- aggiunse in seguito, guardandosi intorno.

Paolo si trovò a deglutire sonoramente e sentì una strana pressione stringergli la bocca dello stomaco: non si era aspettato un assalto di quel tipo e ne era rimasto spiazzato.

-Sei inglese?- gli domandò l'altro e Paolo si limitò ad annuire. -Ma capisci quello che dico, no?- il ragazzo annuì ancora. -Bene, allora perché non parli? Sei per caso muto?-
-No- sbottò Paolo, infastidito dalle provocazioni dello sconosciuto.
-Non ti va di parlare?-
-Di che dovremmo parlare, scusa? Chi ti conosce?-
-Stiamo viaggiando insieme, verso la stessa destinazione...-
-Non puoi saperlo- lo interruppe Paolo.

Lo sconosciuto tornò ad abbassarsi gli occhiali da sole sul naso.
-Atterreremo al Falcone e Borsellino. O credi che questo coso farà qualche fermata extra per te?-

Paolo aggrottò la fronte e fece per voltargli le spalle nel tentativo di interrompere quella conversazione.

Poco dopo, sentì dei movimenti al suo fianco e, voltandosi in direzione del corridoio dell'aereo, si trovò il giovane seduto nel sedile centrale, di fianco a lui.

-Come hai detto che ti chiami?- gli chiese con un sorriso beffardo, togliendosi gli occhiali da sole e fissando gli occhi dentro i suoi: erano di uno strano colore che scemava dal verde al miele, con il contorno dell'iride molto più scuro.

-Non te l'ho detto- ribatté il ragazzo, cercando di non farsi catturare da quello sguardo così malizioso e indagatore.
-Io sono Gabriele- si presentò l'altro, allargando il suo sorriso. Paolo fece una smorfia.
-Paolo- mormorò in risposta, riportando la propria attenzione tra le nuvole fuori l'aereo: incominciò a scorgere il profilo dell'Isola e il mare di un intenso azzurro a lambirla sui fianchi.

-Nome italiano...- osservò il suo nuovo, e molesto, compagno di viaggio.
-E quindi?- chiese Paolo, più per inerzia che per una reale voglia di parlare.
-Nome italiano, parli bene la nostra lingua, quasi senza accento. Probabilmente sei figlio di immigrati di prima generazione, altrimenti la tua famiglia avrebbe già cancellato dalla loro storia il proprio passato italiano-

Paolo, a quelle parole, si voltò, già arrabbiato, pronto a controbattere, ma si ritrovò il volto di Gabriele a un millimetro dal suo: il giovane sorrise e il movimento delle sue labbra finì per fargli sfiorare quelle dell'altro. Il ragazzo rimase pietrificato da quel sottilissimo contatto e sentì il suo cuore incominciare a battere forte nel petto.

Gabriele aveva un odore fuori dal comune, qualcosa che lui non aveva mai sperimentato neanche durante le sue vacanze a Brighton: sapeva di sole, di mare e salsedine, nonostante la sua pelle fosse chiara e per nulla abbronzata, sembrava venire fuori direttamente da un qualche posto di mare, sembrava che si fosse fuso con tutti quegli odori tipici e caldi che fanno da sottofondo alle estati più solari e strabilianti. Mentre fantasticava su tutto quello, Gabriele azzerò la distanza che li separava e si protese in cerca delle sue labbra, premendovi contro le proprie, dapprima delicatamente, a fior di pelle, accarezzando gentilmente e sensualmente le sue. Fece scivolare la lingua tra di esse e si appropriò di quella custodita dentro la bocca di Paolo e il bacio divenne mozzafiato, profondo, intenso, travolgente.
Ma durò solo pochi secondi.

-Informiamo i signori passeggiari che siamo appena atterrati all'aeroporto Falcone e Borsellino. Vi preghiamo di rimanere seduti e di non slacciare le cinture di sicurezza finché il mezzo non si sarà completamente fermato-

Paolo batté le palpebre come se si trovasse sotto shock: guardò Gabriele, le sue labbra, il suo sorriso, la luce nei suoi occhi e poi fu il caos di sempre. Gente che si alzava dai sedili, cappelliere che venivano aperte, bagagli che venivano tirati fuori, chiacchiere frivole, cellulari che iniziavano a squillare, le solite frasi di rito: "No, siamo arrivati ", "Siamo appena atterrati", "Siete qui?", "Il tempo di recuperare i bagagli e vi raggiungiamo" e, nel frattempo, Gabriele si era già alzato senza mai staccare gli occhi da quelli di Paolo, gli sorrise divertito e gli voltò le spalle.

Il ragazzo, finalmente, tornò in sé, si alzò dal sedile e... Gabriele era sparito.

TWO WEEKSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora