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Fu quando uscì dall'area passeggeri che si rese conto di aver perso il suo berretto: il suo dannato berretto del NBA, lo stesso che suo padre gli aveva regalato il giorno del suo tredicesimo compleanno, lo stesso che aveva poggiato sul ginocchio e che, durante il bacio con Gabriele, probabilmente, era caduto tra i sedili dell'aereo e lì era rimasto. Sbuffò infastidito, soprattutto dal formicolio che gli aveva smosso le labbra al pensiero di quel bacio: perché l'aveva fatto? Chi diavolo era quell'uomo? L'avrebbe mai più rivisto?

Ovviamente, l'aveva cercato per tutto il tragitto sino a quando non era giunto fuori dalla zona di arrivo.

Una volta messo piede fuori di lì, si rese conto che quell'aeroporto era molto piccolo, probabilmente grande tanto quanto il suo liceo.

Non aveva proprio nulla a che vedere con uno qualsiasi degli aeroporti londinesi.

Si diresse verso il lungo bancone del bar posto di fronte le vetrate che separavano l'interno dall'esterno dell'edificio e cercò di attirare l'attenzione dei baristi. Erano tre uomini di mezza età presi da una conversazione volante con alcune turiste.

Stavano lì a preparare caffè, riempire bicchieri di succo di frutta, agguantare croissant, continuando a muoversi sincronizzati senza mai urtarsi e parlando, nel frattempo, con le due ragazze dalle lunghe gambe e i capelli color dell'oro.

Ridevano e scherzavano in un italiano misto a inglese e, alle volte, si rivolgevano tra loro tre con parole aspre e dall'accento marcato: le due ragazze scuotevano la testa rimanendo indietro con la conversazione e i tre ridevano con un certo cameratismo maschile. Sino a quando, Paolo non venne urtato da una ragazza più o meno della sua età, poco più bassa di lui.

-Mi scusi- disse la giovane con fare scocciato. -È a turno?- gli domandò sollevando gli occhi sul suo viso. Aveva un'espressione acida, con grandi occhi a mandorla e lunghe ciglia scure. Era sovrappeso, ma non in maniera eccessiva, visto che la maggior parte delle sue rotondità erano concentrate su seno e sedere. Indossava abiti monocromatici, jeans, sandali bassi, t-shirt, borsa a tracolla di simil-pelle scadente, tutto di colore nero. Il trucco era nero: eyeliner, mascara, ombretto, persino smalto di unghia delle mani e dei piedi, eccezion fatta per un rossetto rosso vivo che metteva in risalto le sue labbra carnose.

Paolo venne catturato dal neo piccolo e delizioso vicino le sue labbra e dovette fare uno sforzo per ricordarsi della domanda della giovane e risponderle.

-Sì, anche se non riesco a catturare la loro attenzione- le rispose poco dopo, indicando con un pollice i tre baristi.

-Tipico. Basta una gnocca per rincoglionire gli uomini, figurati se ce ne sono due!- ribatté sprezzante la ragazza, lanciando un'occhiataccia in direzione dei banconisti.

-Buongiorno!- urlò quasi, poco dopo, in direzione dei tre e quelli sobbalzarono, rivolgendole occhiate poco cordiali.
-È possibile avere un caffè che vengo ora da Londra e ho rischiato un conato di vomito per quasi una settimana a ogni sorso di quella schifezza che loro spacciano per caffè?!- disse tutto d'un fiato e Paolo notò il leggero rossore che le aveva imporporato le guance. Probabilmente era più timida di quello che voleva apparire.

-Certo, signorina- disse uno dei tre.
-E vedete che vuole l'amico mio, qua, che sta invecchiando in attesa di essere servito- il barista le rivolse un'altra occhiataccia, ma annuì.
-Prego, mi dica- disse l'uomo rivolgendosi a Paolo.
-Va bene un caffè inglese per me, con un po' di latte, grazie- la ragazza al suo fianco sollevò un sopracciglio stupita.

-Minchia!- esclamò. -Sei straniero? Magari inglese!- Paolo annuì. Lei gli sorrise, di colpo timida per la gaffe che aveva fatto e l'attenzione del ragazzo venne nuovamente catturata dal suo neo. -Sei qui in vacanza?- gli chiese qualche minuto dopo, mentre, finalmente, venivano serviti.

Paolo notò la ragazza versare appena un pizzico di zucchero da una bustina sul suo caffè, guardarlo con attenzione mentre rimaneva un po' sospeso sulla schiuma dorata, e poi prese il cucchiaino al contrario e iniziò a mescolare il liquido con il manico.

Il ragazzo bevette un sorso del suo caffè e lo trovò un po' troppo forte, storse il naso e tornò a guardare la ragazza mentre sorseggiava il suo.
-Vi piace davvero così forte?- le domandò.

-Se mi dici ch'è forte quel coso che ti stai bevendo, rischio di risponderti male- ribatté la ragazza, aggrottando la fronte. Paolo si sentì leggermente offeso dalle sue parole e si allontanò di un passo da lei, iniziando a mordersi l'interno di una guancia. -Senti, non ce l'ho con te. Ma non bevevo un caffè come Dio comanda da dieci giorni e sono stanca per via del viaggio- il ragazzo le si fece nuovamente vicino. Chissà perché si sentiva attratto da quella sua sfacciataggine, stonata da un velo di insicurezza.

-Io sono Rosalia, ma puoi chiamarmi Rosy- aggiunse poco dopo, allungandogli una mano in segno di saluto.
-Io sono Paolo- rispose il ragazzo, stringendo la mano che gli veniva offerta.

-Nome italiano...- osservò la ragazza.
-Mio padre è originario di un paesino vicino Palermo-
-Ah, capisco. Di dov'è?-
-Cinisi. Ma vive a Londra da più di vent'anni-

La ragazza fece una strana smorfia con le labbra che il giovane non riuscì a comprendere, prima di chiedergli: -Sei diretto a Palermo?-
Paolo annuì.
-Devo solo capire come arrivarci, i miei mi hanno organizzato questo viaggio, ma in modo abbastanza vago: vogliono che me la cavi da solo. So soltanto di dover raggiungere un albergo in centro-

-Bene, se non hai intenzione di prendere un taxi, l'unico modo, al momento, che hai per raggiungere la città, è prendere il pullman- Paolo inarcò le sopracciglia stupito.
-Non ci sono treni?- le domandò e la ragazza scosse la testa.
-Stanno facendo lavori alle linee ferroviarie tipo... da dieci anni!-
-E ancora non hanno terminato?- domandò ancora più stupito e Rosy scoppiò in una fragorosa risata, scuotendo la testa in segno di diniego.

-Dove lo prendo il pullman?- domandò il ragazzo.
-Qui fuori, lo devo prendere anch'io: se vuoi, facciamo strada insieme- Paolo le sorrise riconoscente e annuì in risposta alla giovane.

Pagarono le loro consumazioni e uscirono dall'edificio.

Fecero qualche metro tirandosi dietro i loro trolley. Non appena furono fuori, la ragazza si accese una sigaretta e Paolo iniziò a tallonarla mentre quella camminava spedita come un generale dell'esercito, sino a giungere al parcheggio dei pullman che consisteva in una striscia di marciapiede, poco più in là rispetto uno degli ultimi ingressi dell'edificio dell'aeroporto.

Trovarono un autista intento a staccare biglietti; ne acquistarono uno a testa, caricarono i bagagli nella pancia del mezzo e vi salirono: si sedettero vicini, più o meno verso il centro del corridoio.

-Ti dirò io quando scendere- disse la ragazza. -Sai, almeno, il nome della zona del tuo albergo?-
-Mi hanno detto che si trova in via Libertà, vicino a un giardino inglese- la ragazza stette a riflettere qualche secondo sulle sue parole.
-Il Giardino Inglese, la villa- dedusse. -Ah! Ho capito qual è. Devi essere ricco!- esclamò Rosy, lasciandosi andare a un risolino nervoso. Paolo rimase in silenzio: non capiva quella ragazza, non aveva idea di cosa le passasse per la testa né se fosse davvero amichevole o semplicemente antipatica. Era entrambe le cose e nessuna delle due, era un misto di cose imprevedibili e non capiva ancora se la trovasse positivamente o negativamente interessante.

Poco dopo il mezzo partì. Rosy mise in riproduzione, dal proprio cellulare, un vecchio modello di android che aveva visto giorni migliori, una playlist di musica intitolata LoveSongs: gli porse un auricolare e Paolo lo accettò titubante, timoroso di stare per farsi sanguinare le orecchie con qualche motivetto tutto cuoricini e dediche d'amore.

Alla prima nota che udì gli prese un colpo.
-Gli Skillet!- urlò quasi e Rosy sollevò un sopracciglio stupita.
-Li conosci?-
-Oh, God! Questa è Whispers in the dark! È il mio pezzo preferito!- disse il giovane e lo stupore illuminò anche il viso della sua compagna di viaggio.
-Vacci piano, tesoro, questa è, innanzitutto... la mia canzone preferita!- ribatté la ragazza.

I due si fronteggiano un po' a viso duro e, infine, si sciolsero in una risata, già complici, mentre nelle loro orecchie risuonava la musica hard-rock... di una canzone d'amore.

TWO WEEKSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora