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Paolo si sganciò dai ragazzi poco prima di pranzo, rimanendo d'accordo con loro di vedersi il giorno dopo per andare a Mondello.

Tutte le loro discussioni lo avevano lasciato frastornato e sentiva la necessità di restare un po' da solo, di ritagliarsi un po' di tempo per assimilare per bene tutto quello che era venuto fuori quella mattina.

Lo sconvolgeva la celerità con cui aveva stretto legami, seppur ancora effimeri, con le persone di quella città.

Era sempre stato un tipo socievole, quello sì, ma non si era mai reso conto di quanto sino a quando non aveva messo piede a Palermo.

Rosalia gli aveva dato l'indirizzo del suo albergo e lo inserì all'interno della applicazione di Maps incominciando a percorrere la strada che lo avrebbe ricondotto lì.

Aveva rifiutato l'offerta della ragazza di riaccompagnarlo con il suo compagno in auto, ed adesso stava lì a percorrere strade sconosciute nella speranza di non perdersi.

Si fermò per mangiare qualcosa a metà strada nei pressi di una tavola calda e si sedette fuori dal locale a ridosso della cancellata di quello che l'applicazione gli rivelò essere il Teatro Massimo.

Era sito in una piazza stracolma di gente, con grandi alberi a delimitare il marciapiede, carrozze con cavalli, in attesa di turisti, in sosta poco più in là rispetto l'ingresso del Teatro.

Il caldo era quasi insopportabile e Paolo scosse la testa ricordando le parole del padre: "Lì è davvero estate", gli aveva detto e mai si sarebbe immaginato un clima tanto diverso rispetto quello a cui era abituato.

Si sentiva come evaporare, la pelle ricoperta da un sottile strato di sudore, la testa bollente e gli occhi affaticati dall'eccessiva luce.

Decise di telefonare ai suoi genitori. Provò dapprima con suo padre: in teoria, sempre che non si trovasse impegnato in qualche pranzo di lavoro, avrebbe dovuto rispondergli senza problemi durante quella che era la sua pausa pranzo.

-Paolo!- esclamò Fausto festante, ed il ragazzo allontanò un po' il cellulare dall'orecchio prima di appoggiarlo nuovamente contro di esso:
-Da quando urli così mentre parli?- gli chiese il figlio già pentito di aver fatto quella telefonata.

-Da quando l'entusiasmo sotterra la ragione ed è ovvio che sia così, dato che sono quasi due giorni che non ti fai sentire. Non ci hai avvisati neanche del tuo arrivo in Sicilia- il ragazzo sbuffò scuotendo un po' la testa.

-Ero ancora arrabbiato con voi- disse ed il padre rimase un po' in silenzio. Dopo qualche secondo riprese a parlare:
-Lo sei ancora adesso?- gli domandò.

Paolo rifletté attentamente prima di rispondergli:
-No- disse con un sorriso che suo padre, ovviamente, non poté vedere.
-Allora... come stanno procedendo le cose lì? Ti trovi bene?- gli domandò l'uomo.

Paolo rimase nuovamente in silenzio per un po': qualcosa, nel tono di voce del padre, sembrava avergli fatto suonare un qualche tipo di campanello in testa. C'era qualcosa che non andava.

-Sì, in effetti. La città è molto bella, per quel poco che sono già riuscito a vedere. Ho incominciato a stringere amicizie inaspettate e sì... credo di trovarmi bene qui, anche se fa un caldo boia!- concluse con una mezza risatina.

E Fausto, ancora una volta, rimase in silenzio. Dopo un po', mentre il cuore di Paolo prendeva a battere furiosamente, suo padre riprese a "parlare":
-Ah- disse soltanto ed il ragazzo aggrottò la fronte.

-Non te l'aspettavi?- gli domandò:
-Sinceramente... no.-
-Perché no?-

Paolo iniziò ad odiare i silenzi prolungati di suo padre, avrebbe voluto urlargli di smetterla, di dire chiaro e tondo ciò che pensava, ma non aveva mai avuto quel genere di "confidenza" con suo padre: lo rispettava tanto e non si sarebbe mai permesso di inveire contro di lui in quel modo.

TWO WEEKSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora