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L'acqua scivolava sulla sua pelle come una confortante, calda, carezza.
Il vapore aveva reso l'aria un po' pesante ed appannato lo specchio sopra il lavandino.

Paolo chiuse l'acqua della doccia e poggiò la fronte contro le mattonelle che ricoprivano buona parte della parete.

Rimase immobile per qualche secondo, godendosi il contrasto termico tra la sua pelle bollente ed il freddo sconvolgente delle mattonelle.

La sua mente vagò velocemente ripercorrendo gli avvenimenti degli ultimi giorni: esageratamente pochi a fronte di tutti i casini in cui si era trovato coinvolto.

Era, forse, arrivato il momento di tagliare i ponti con Rosalia e la sua comitiva? O stava cercando di scrollarsi di dosso le proprie responsabilità erigendo ad unico colpevole chiunque al di fuori di se stesso?

Colpevole... di cosa?

Erano giovani, pieni di voglia di fare, vita: non si poteva pretendere che tutto fosse sempre facile e perfetto come se si ritrovassero attori intenti ad interpretare un film.
Il mondo era pieno di persone, ogni più piccola interconnessione era in grado di scatenare imprevisti: era da arroganti pensare che tutto dovesse andare verso un'unica strada, quella prefissa dalla mente di un unico individuo, senza tenere conto di tutto ciò che li circondava, che faceva loro da sfondo... alle volte, mettendo il bastone tra le ruote.

Aveva deciso di restare a vivere nel capoluogo siciliano... per davvero?

Non ne era sicuro.

Rosalia e Kevin... cosa si aspettavano da lui? Cosa stavano cercando di ottenere dal giovane inglese? Stavano davvero  cercando di ottenere qualcosa?

Ed i suoi genitori? Come avrebbe dovuto collocarli all'interno di tutta quella situazione?

Paolo scosse la testa. Uscì dalla doccia e si avvolse nel candido e bianco accappatoio fornito dall'albergo. Frizionò i capelli con un asciugamano e passò una mano sullo specchio.

L'occhio sinistro sembrava già essersi sgonfiato un po', anche se era ancora evidentemente livido; il labbro era un po' gonfio ed arrossato ed il cerotto che vi avevano applicato a tutela dei punti di sutura, spiccava sul suo viso concentrando l'attenzione in quel punto preciso.

Paolo sospirò e tolse l'accappatoio iniziando a rivestirsi con gesti meccanici: era stanco. I suoi amici lo avevano invitato a festeggiare il Ferragosto con loro quella sera stessa, ma lui si sentiva a pezzi, ancora scombussolato a causa della notte insonne appena trascorsa. Come facessero, loro, a pensare di poter passare un'altra notte svegli a fare baldoria... proprio non riusciva a capirlo.

E c'erano i "servizi sociali" che anche lui avrebbe dovuto fare: Rosalia gli aveva confidato che non si trattava di una vera e propria punizione a livello legale. Nessun giudice aveva decretato che avrebbero dovuto svolgere dei lavori socialmente utili per espiare la loro parte di colpe per la rissa che li aveva visti coinvolti.

In vero, si trattava di una punizione del tutto "famigliare" ideata dal padre di Rosalia per lei ed i suoi fratelli già durante la loro infanzia: combinavano qualche marachella? Li metteva a pulire le panchine delle villetta sotto casa.

Un brutto voto a scuola? E li obbligava a pulire il loro appartamento da cima a fondo.

Litigavano con qualcuno? Qualcosa da fare gliela trovava sempre, sia che fosse utile solo per se stesso che per l'intera comunità.

E, nel tempo, la situazione era mutata soltanto nella mole di lavoro che, il genitore, finiva per caricare addosso ai suoi figli... e chi si rendeva complice dei loro casini.

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