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Ancora una volta in aeroporto, di nuovo in viaggio.

Paolo sospirò, alzando gli occhi al soffitto di vetro, oltre il quale si intravedeva un cielo cupo e scuro.

La grande sala ristoro era piena di passeggeri, carichi di bagagli, in attesa di imbarcarsi verso le proprie mete.

L'aria era satura di odori di cibo, profumi che impregnavano vestiti, disinfettante, ma tutto sembrava pesante, diveniva presto nauseante all'interno di un ambiente che era sì, enorme, ma, decisamente, sovraffollato.

-Tutto bene?- gli domandò Tyler, sedendosi al suo fianco.
Il giovane allungò le braccia davanti a sé, senza rispondere, per poi lasciarle cadere lungo i fianchi. Lo vide avvicinare il bagaglio a mano alle gambe, per poi sollevarle e poggiarle su.

Anche lui stava per lasciare Londra: a differenza di Scott e Christine, il suo amico aveva deciso di interrompere anticipatamente quella vacanza, e aveva implorato i genitori di riportarlo a Brighton.

Emma e Jason, i genitori di Tyler, erano rimasti frastornati dalla supplica del figlio, ma avevano deciso di accontentarlo.

Così, si trovavano tutte e quattro lì, in attesa dei voli che li avrebbero allontanati, forse, per sempre.

Era quello che rendeva tetro l'umore del giovane. Pensava che non fosse giusto, che non ci fosse un valido motivo per cui si sarebbero dovuti dire addio.

Aveva compreso i sentimenti dell'altro, ma non riusciva ad accettarli: la lontananza li avrebbe potuti aiutare a tornare amici, senza bisogno di tranciare di netto il loro rapporto.

L'idea di separarsi da lui per sempre, gli serrava un nodo in gola, facendolo sentire impotente e sbagliato.

Si strinse nelle spalle prima di rispondergli:
-Ho sentito mio padre. Stanno organizzando una serata per Vittoria. Spero che il mio volo non porti molto ritardo-
-Il tempo è instabile, ma sono sicuro che arriverai in tempo. Però... non era a questo che mi riferivo-

Paolo sollevò lo sguardo su Emma e Jason, seduti di fronte a loro, sulla fila di sedili speculari a quelli che occupavano i due giovani.
L'uomo stava leggendo una rivista, mentre l'altra giocherellava con il cellulare e ogni tanto si portava una ciocca di capelli dietro l'orecchio, senza mai alzare gli occhi dall'apparecchio che stringeva tra le mani.

Gli parve evidente che stessero entrambi sull'attenti: stavano origliando la loro conversazione. Magari, nonostante non l'avessero espresso a voce, stavano ancora lì alla ricerca di un motivo, qualcosa che spiegasse loro lo strano comportamento del figlio.

Avevano intuito qualcosa?

Il giovane dubitava che avrebbero potuto avvicinarsi alla verità, ed era grato di quello: non voleva che qualcun altro si immischiasse in quella faccenda, né tanto meno che gli rovesciasse addosso ulteriori accuse.

Sua madre non era stata lieta della sua decisione. Lui era fuggito da ogni ulteriore confronto con Raquel, ma lei aveva tentato sino all'ultimo di trattenerlo con sé.
Per fortuna, Fausto non si era tirato indietro neanche quella volta e, di nuovo, aveva messo mano al portafoglio, per soddisfare le necessità del figlio, senza battere ciglio.

Paradossalmente, ciò che era accaduto in quei tre giorni, era anche quello che più lo infastidiva: si sentiva in difetto, come se si stesse comportando da ragazzino viziato con il padre, che tutto pretendeva e tutto otteneva con uno schiocco di dita, senza meriti né sforzi.

Dall'altra parte, le parole di Raquel l'avevano umiliato, fatto sentire sporco e ingiusto, anche in riflesso della situazione di Fausto, come se la propria bisessualità, potesse, in qualche modo, recare al genitore ulteriore danno.

TWO WEEKSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora