Il Sangue dell'Olimpo

360 29 50
                                    

L'uomo fissava la porta da ormai mezz'ora, indeciso se bussare o meno. Non avrebbe dovuto essere là. Quello del giorno prima era stato solamente un momento di debolezza.
Forse poteva ancora tornare indietro, affidare il compito a qualcun altro. Eppure non era riuscito a sopprimere il suo desiderio di andare fin lì, desiderio dalle motivazioni sconosciute perfino a se stesso.

Raccolse tutto il coraggio che aveva per bussare. Dopo una manciata di secondi, una bambina di circa nove anni gli aprì la porta. Indossava una maglietta rossa con dei leggings grigi.

Quegli occhi azzurri, i suoi stessi occhi glaciali, lo fissavano incuriositi.
"Buongiorno."

Il cuore gli si fermò per un istante.

"Ciao piccola. Dov'è..."

"Alex!"

Dietro la bambina era comparsa la madre.

"Megan" Gli era difficile controllare le sue emozioni contrastanti, ma riuscì a dirlo con il suo solito distacco.

"Alexia, finisci di decorare i biscotti. Ti raggiungo tra poco."

"Mamma chi è?" chiese la bambina.

"Nessuno, Alexia. Vai." rispose la madre

"Ok. " Alexia corse via diretta alla cucina, girandosi ogni tanto per guardarli.

Megan si rivolse al suo sgradito ospite.

"Che cosa ci fai qui?"

"Ho saputo che è piuttosto intelligente per la sua età." Prese un libro dal cappotto. "Potrebbe iniziare a leggerlo prima di quando programmato."

La donna lo prese e lo rigirò fra le mani.

"Avresti potuto mandare qualcuno a portarlo."

"Sì, avrei potuto."

"Avevi giurato di lasciarci in pace."

"Temo di non essere riuscito a mantenere la promessa."

"Puoi andartene. Hai portato il libro, lei lo leggerà e farà parte del tuo stupido gioco."

"Perfetto." Si girò e fece per andarsene, ma non poté resistere e chiese: "Posso vederla? Un'ultima volta?"

"Assolutamente no. Tu non tieni veramente a lei."

Alex si arrabbiò: "Sì, invece. Ho lasciato che la portassi via solamente perché non volevo che te ne andassi da sola, facendola rimanere senza madre."

"È una scusa che usi con te stesso."

"Sappiamo entrambi la verità, Megan. Nove anni fa hai vinto tu, quindi lasciami parlare con lei per qualche minuto."

Megan stringeva la maniglia della porta, pronta a chiuderla.

"È inevitabile, io e lei ci rincontreremo e lei diventerà il capo dell'organizzazione dopo di me. Le lascerei tutto questo se non tenessi veramente a lei?"

"Tu vuoi solamente un complice per i tuoi giochetti. Hai tutti questi soldi solamente perché volevi che lei avesse una bella vita? É una scusa. Ti fa solamente sentire meglio con te stesso. Sappiamo entrambi la verità, Alex." E gli sbatté la porta in faccia.

Alex rimase fermo alcuni minuti, incredulo. Si portò una mano sulla guancia e la trovò bagnata. Una solitaria lacrima gli solcava il viso. La prima da mesi, se non da anni.

Si sedette sulle scale. Non sarebbe dovuto venire. Aveva solamente ottenuto una litigata con la sua ex moglie e aveva visto sua figlia solo per pochissimi secondi.

Megan si sbagliava eccome. Non voleva certo un collega, ma sua figlia: lei aveva il suo stesso sangue, perfino il suo stesso nome. Per questo era destinata a grandi cose. Non poteva stabilire se fosse ambiziosa come lui, se avrebbe odiato il resto dell'umanità come lui. Ma in qualche modo dovevano essere simili,  avrebbero governato su tutti quei mortali insieme.

Alex ridacchiò. Aveva un enorme potere, alleanze con altri mondi, avrebbero potuto fare tutto quello che volevano. Potevano comprare una fabbrica di biscotti o diventare dei. Megan avrebbe rifiutato tutto, ma Alexia forse no.

Perso tra le sue fantasie, rimase su quelle scale per mezz'ora, finché la porta dell'appartamento non si aprì di colpo. Alzò la testa, sicuro di vedere Megan che voleva cacciarlo via colpendolo con una padella, invece c'era Alexia, con un biscotto in mano.

"Sapevo che non era andato via. Signore, vuole dei biscotti al cioccolato?"

Il volto di Alex si illuminò.

"Sì, grazie."

Alexia socchiuse la porta e andò a sedersi sulle scale accanto ad Alex, poi gli diede il biscotto. L'uomo gli diede un morso.

"Buonissimo! L'hai fatto tu?"

"Sì."

"Dov'è la mamma?"

"Sta dormendo, era stanca."

"Capito."

"Credo che tu sappia il mio nome, ma io non so il tuo." Gli disse Alexia, sistemandosi meglio sul gradino.

"Mi chiamo Alex."

"Sei un amico della mamma?"

"Un vecchio amico, diciamo."

"E perché sei venuto qui?"

"Sei molto curiosa, eh?"

"Vuoi evitare la domanda, eh?" Chiese Alexia, in tono serio.

"Sinceramente? Volevo vederti."

La bambina non rispose, confusa.

Alex non sapeva cosa dirle, era troppo presto per farle sapere la verità.

Alexia si alzò. "Devo andare, mamma non mi ha dato il permesso di stare qui. Ciao."

Arrivò fino alla porta prima che l'uomo riuscisse a dirle qualcosa.

"Alexia!" La bambina si girò. "Un giorno ci rivedremo e allora potrai avere tutto quello che desideri."

Alexia annuì confusa, poi corse in casa e chiuse la porta a chiave.

***

Ogni volta che vedeva un uomo parlare con sua madre, Alexia non poteva fare a meno di pensare che magari lui fosse suo padre.

Si ricordava di ognuno di loro, alcuni meglio di altri, Alex era finito inevitabilmente nella lista dei sospettati. Quando aveva tredici anni si era resa conto che questo l'avrebbe fatta impazzire. Smise di aggiornare la sua lista mentale, ma non poteva cancellare il ricordo di nessuno di quegli uomini.

Per questo, durante la simulazione, era apparso ciascuno di loro. Tutti confessavano a turno di essere suo padre, Alexia era circondata da loro e non riusciva ad uscire da quel cerchio che avevano creato. Le loro voci si sovrapponevano, rendendo tutto quello che dicevano incomprensibile.

Alexia si mise le mani sulle orecchie e gridò: "BASTA, STATE ZITTI!"

Gli uomini obbedirono, poi uno si fece avanti: "Alexia, dillo tu chi è tuo padre."

"Dillo tu."

"Dillo tu."

"DILLO TU."

Continuarono a ripetere queste parole, mentre Alexia si girava intorno, cercando di stabilire chi fosse suo padre, ma i volti e le identità di quelle persone erano troppo confuse.

La testa le stava girando, la Semidea cadde a terra. Chiuse gli occhi pieni di lacrime.

"BASTA, NESSUNO DI VOI È MIO PADRE. Per esserlo saresti dovuto rimanere con me e mamma... adesso sei nessuno."

Le voci cessarono. Erano tutti scomparsi.

Quando, una volta sveglia, le dissero che aveva dovuto affrontare una delle sue paure, si rese conto di non aver mai pensato di temere di incontrare suo padre. Eppure era stato così per fin troppo tempo.

Dopo la simulazione, sapeva cosa dirgli se mai lo avesse incontrato. Ma non immaginava che sarebbe accaduto così presto.

The Fangirls GamesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora