Capitolo 13

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Éric

I miei muscoli si irrigidiscono al sentire quelle parole. Rimango attonito. La testa comincia a vagare mentre il mio cuore si pente di avergli proposto una domanda del genere. Ripeto nella mia mente le parole più temibili che un essere umano possa dire o sentirsi dire: "io non ho più una famiglia". Ho perso mia madre tre anni fa, ma è una ferita pur sempre aperta che, probabilmente, non si rimarginerà mai. Lei era tutto per me, quindi posso minimamente immaginare come si senta Mike.

«Mi dispiace» è tutto ciò che riesco a formulare. Lui è impassibile, non lascia trasparire neanche una minima emozione dal suo sguardo. È arrabbiato? È dispiaciuto? Non capisco il suo essere così emblematico. Rimane in silenzio per qualche istante, guarda fuori dal finestrino, mette le mani sulle ginocchia come se si sentisse in imbarazzo. Non era mia intenzione metterlo in difficoltà.
Scuote la testa. «Non preoccuparti, in realtà i miei genitori ...» viene subito interrotto da un rumore assordate che proviene dalla parte posteriore dell'auto. Cazzo, abbiamo bucato.
«Merda!» impreco. Sbatto le mani sul volante mentre arresto l'auto su Boulevard Magenta.
«Stai tranquillo. Vado a controllare cos'è successo» dice Mike. Slaccia la cintura, apre lo sportello e con espressione alquanto allarmante cerca di rassicurarmi: «fortunatamente hai bucato solo una ruota. Posso cambiarla io». Toglie il cappotto e lo poggia sul sedile del passeggero.
«Sei impazzito? Ti congelerai» urlo. «Lascia fare a me» scendo dall'auto a passo svelto, ma prima che possa fare qualcosa, Mike ha già aperto il portabagagli e preso il necessario per mettersi all'opera. In realtà, noto un certo senso di inadeguatezza mentre osserva il cric e lascia penzolare alcune parti che andrebbero montate diversamente.
«Sai come usare un cric, almeno?» chiedo. Lui arrossisce, mi fa quasi tenerezza.
«Ho cambiato una ruota solamente una volta, pensavo di riuscire a ricordarmi, ma non sapevo nemmeno come si chiamasse questo affare» si giustifica. Alza le spalle.
«Dallo a me, ci penso io» tolgo il cric dalle sue mani e mi inginocchio per posizionarlo sotto l'auto.
«Posso aiutarti a fare qualcosa?» ripete continuamente mentre io sollevo l'auto di qualche centimetro.
«Puoi cominciare a svitare i dadi con la chiave a croce mentre recupero la ruota di scorta» do indicazioni. Mike si fionda verso la scatola degli attrezzi e comincia a frugare in maniera impacciata. Passa qualche secondo, ma non riesce a trovare ciò di cui ha bisogno.
«Sono quei due affari che formano una croce» rispondo alla domanda implicita che non ha il coraggio di esplicitare.
«Non prendermi per stupido» esordisce. «So qual è la chiave a croce». Con sguardo fiero e determinato si dirige verso la ruota destra posteriore e si inginocchia, incastra per bene la chiave a croce e con estrema forza delle mani tenta di svitare i dadi, ma senza ricevere nessun riscontro. Non demorde, ci prova una seconda, poi una terza, ma anche una quarta volta. È veramente cocciuto.
Io mi accingo a recuperare la ruota di scorta mentre cerco di capire quanto tempo impiegherà per rendersi conto che deve fare forza con i piedi per allentare i dadi. Improvvisamente sento il rumore della chiave che cade a terra e un netto: «ci rinuncio» pronunciato dalle labbra di Mike. Trattengo una risata nel vedere la sua espressione dispiaciuta, quasi infastidita dal fallimento appena conseguito.
«Sei uno che si arrende facilmente?» cerco di provocarlo. Tiro fuori la ruota e la poggio sull'asfalto ancora umido.
«Di solito non getto la spugna subito, ma tutto ciò che riguarda la meccanica non è il mio forte» dice a braccia conserte. Sorrido per qualche istante, è così tenero. «E no, non mi scuserò per la mia ignoranza. Non è proprio il mio campo» continua a giustificarsi.
Mi avvicino verso di lui e gli porgo una mano. «Mettiti in piedi, ti mostro io come fare». Lui esita per qualche istante, deve essere la tipica persona testarda che preferisce raggiungere lo scopo con le proprie forze, senza importargli del tempo o degli sforzi impiegati o, meglio dire, sprecati.
«Non farti pregare, su» continuo. Lui guarda la mia mano tesa che aspetta di aiutarlo ad alzarsi. Ci ripensa prima di convincersi ad afferrarla e inciampare, maldestramente, sulla chiave a croce che lui stesso aveva gettato a terra. Riesco ad afferrarlo tra le mie braccia, è un momento abbastanza imbarazzante. Lui ha la testa appoggiata sul mio petto e io lo sto stringendo forte a me, riesco quasi a sentire il suo respiro. Il suo corpo è così caldo che vorrei non si staccasse più dal mio. Riesco a percepire ogni singolo movimento che avviene al suo interno. D'improvviso, Mike alza lo sguardo su di me, mi fissa negli occhi. I suoi sono castani, lucidi a causa del freddo. Sfioro la sua mano destra, lui sobbalza al contatto, le mie sono calde. Il suo cappotto è ancora sul sedile del passeggero, starà congelando.
«Non riesci proprio a stare con i piedi piantati per terra» scherzo. Gli si formano due fossette sul viso. Arrossisce.
«A quanto pare oggi la fortuna non è dalla mia parte» commenta. È ancora stretto a me. Lascio che il calore del mio corpo pervada il suo.
«Come no? Sono sempre pronto a soccorrerti. Questa non la chiami fortuna?» lui sorride. Dio, che sorriso.
«Certo, ma preferirei essere più stabile. Non so davvero come mai io sia così maldestro. Eppure sono sempre così attento» alza un sopracciglio. Si stacca da me e si allontana di qualche centimetro per poi mettere le mani dentro le tasche dei suoi pantaloni.
«Dovresti prendere il cappotto, non vorrei ti ammalassi». Mi inginocchio per svitare i dadi e sostituire la ruota forata. Lui si avvicina all'auto osservando ogni singolo passo che fa; non distoglie lo sguardo da terra. Sarà ancora in imbarazzo per la caduta.

Questa Sera Basto a Me StessoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora