Capitolo 33

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«Merda. Merda. Merda.» Impreco al cellulare con Éric senza rendermene conto. Sto letteralmente correndo per raggiungere la metro il prima possibile. «Sono in ritardissimo. La biblioteca chiude tra mezz'ora e hanno deciso di avvisarmi cinque minuti fa che i miei libri sono arrivati!» Continuo diretto scavalcando la gente intenta a farsi gli affari propri su Rue des Pyrénées. Alcuni penso mi abbiano anche insultato per averli sorpassati con così tanta irruenza, ma ho seriamente bisogno di quei libri.

«Non puoi andare domani?» Domanda Éric dall'altro capo del telefono cercando una soluzione.

«Il termine di scadenza è entro domani mattina. Il professor Kavanaugh mi ha espressamente raccomandato di non ritardare. Ha bisogno di leggere l'altra parte dell'elaborato per poterlo inviare alla commissione dell'Università e poterlo accettare.» Spiego cercando di inspirare un po' d'aria anche per i miei polmoni, ma la corsa me lo rende difficile. «Diciamo che ho avuto difficoltà a rimettermi sui libri dopo il nostro spring break. Mi sono concentrato su altro. Sono un inguaribile procrastinatore.»

«Parli di me?» Usa un tono innocente.

Lui comincia a ridere mentre io, un gradino dopo l'altro, mi affretto a entrare nella stazione, non prima di venire fermato dal solito senzatetto che domanda qualche spicciolo. Di solito mi presto a dargli qualcosa, ma oggi vado davvero di fretta.

La stazione è deserta. Mi guardo attorno, non sento nemmeno il rumore delle ruote delle metro che strisciano sui binari. Cosa succede?

Mi avvicino alla bacheca vicino al punto informazioni, che riporta un immenso grève nationale su gran parte degli articoli dei quotidiani. Sgrano gli occhi e sbatto i piedi per terra.

«Sciopero nazionale dei mezzi pubblici? Seriamente?!» Esclamo in preda al panico. «L'universo ce l'ha con me? Ho fatto qualcosa di male?»

«Posso prestarti la mia auto. Sono appena rientrato in casa da un servizio fotografico.» Esordisce Éric. Io sobbalzo al suono della sua voce, avevo quasi dimenticato fossimo ancora al telefono.

«Emh... no, tranquillo. Prenderò un taxi.» E prima di poter concludere la frase, sono già sul marciapiede intento ad attirare l'attenzione di qualche anima pia. «Taxi!!»

«Okay, direi che ci sentiamo più tardi. Non vorrei perdere l'udito all'orecchio destro.» Sogghigna beffardo.

«Scusami.» Un taxi si ferma davanti a me. Il tassista fa per scendere dall'auto per aprirmi la portiera, ma io lo blocco con un tono di voce più alto di qualche ottava. «Non ce n'è bisogno! Faccio da solo!» Penso mi abbia preso per fuori di testa, ma poco importa. Dalla fretta, ho addirittura dimenticato di parlare in francese.

Éric ha già riattaccato dopo avermi saluto. Non ricordo di aver ricambiato.

«À la Bibliothèque nationale, s'il vous plaît.» E proprio in quell'istante mi accorgo di aver incastrato la mia giacca nella chiusura dello sportello, ma prima che possa fare qualcosa, il tassista ha già dato gas al motore per sfrecciare tra le strade trafficate di Parigi e io mi ritrovo con la testa attaccata al finestrino per evitare di sbatterci contro. Che imbranato!

*

Sono a casa. Sano e salvo. E con i libri che stavo aspettando. Sono riuscito a raggiungere la biblioteca giusto dieci minuti prima della chiusura. Anche se gli addetti all'arrivo merci mi hanno alquanto fatto pesare la mia presenza, soprattutto perché si trattava di fine giornata.

All'interno delle mie pantofole e dei miei shorts primaverili, affondo le mie papille gustative in una tisana ai frutti rossi. Nonostante dentro casa faccia più caldo, fuori dalla porta la temperatura è scesa di qualche grado. Quindi fa sempre piacere coccolarsi con qualcosa di caldo e morbido.

Il laptop è accesso. Fisso le ultime pagine del mio elaborato come se fossero in grado di correggersi da sole. Dopo aver consultato i libri di cui avevo bisogno, è stata un'impresa piuttosto ardua riuscire ad aggiustare i vari buchi e, soprattutto, gli errori grammaticali. Il mio francese deve ancora perfezionarsi. Ma sembra quasi essere arrivata la fine, e proprio nel momento in cui digito il punto conclusivo, esulto con voce stridula, fiero del mio lavoro e del mio impegno. Non vedo l'ora di mandarlo a Kavanaugh per sapere cosa ne pensa. È tutto già pronto. Domani mattina dovrò solamente premere invio e il gioco sarà fatto.

Mi scoppia la testa. Guardo l'orologio: sono le dieci e ventitré di sera. Non ho ancora mangiato nulla, né tantomeno pensato a cosa cucinare per cena. Il mio stomaco sta brontolando.

Rizzo le orecchie al suono del campanello. Non aspetto nessuno, chi sarà mai?

Apro la porta e un uomo con un berretto che gli copre il volto erge fieramente un cartone di pizza.

«Sicuramente non è come quella italiana, però anche questa è commestibile.» Alza lo sguardo, è Éric.

«Come facevi a sapere che non avevo ancora cenato?» Chiedo spalancando la porta per permettergli di entrare.

«Intuito di un ex studente alle prese con le scadenze accademiche. Anche io ci sono passato e non cenavo per molte sere di fila.» Spiega mentre poggia la pizza sul bancone, per poi togliersi il cappotto.

Mentre recupero alcuni piatti e bicchieri dalle mensole, lui si guarda attorno. «Sei addirittura più disordinato di me. Non l'avrei mai detto.»

Noto anche io i vari documenti sparsi sul divano e i libri aperti disseminati per terra e sulla scrivania.

«Non giudicare. Se tutto va bene, questa dovrebbe essere l'ultima volta che tocco qualsiasi libro che non sia un romanzo rosa da divorare in un fine settimana.» Addento una fetta di pizza. Nonostante il sapore non sia dei migliori, il mio stomaco sembra gradire. Probabilmente è la fame a farmi mangiare una pizza francese.

«Non hai intenzione di continuare gli studi?» Chiede con la bocca piena. È bello anche mentre mangia.

«Non credo. Vorrei piuttosto trovare lavoro e comprare casa. È sempre stato un mio sogno poter avere un posto tutto mio.» Spiego mentre osservo i suoi occhi lucidi che riportano il riflesso della luce del lampadario.

«Qui a Parigi?»

La sua domanda mi spiazza. In realtà ho sempre considerato Parigi come un buon trampolino di lancio per poter iniziare un percorso all'estero, ma non so se è la città in cui vorrei vivere negli anni a venire. Ho sempre voluto poter viaggiare per il mondo, e cerco appunto un lavoro che possa facilitarmi questo mio desiderio.

«Non saprei. D'altronde c'è ancora tempo per decidere.» Lo liquido con questa risposta, anche perché non penso di aver la forza per affrontare la domanda che vuole realmente farmi, ovvero: e di noi che ne sarà? Non voglio pensarci, proprio perché il noi è appena cominciato e voglio godermi passo dopo passo.

«Hai ragione. Sei quasi a metà del tuo percorso, quindi hai ancora tutto il tempo di cui hai bisogno. Sappi che, qualsiasi sia la tua decisione, io sarò sempre qui a supportarti.» Accenna un sorriso prima di baciarmi appassionatamente sulle labbra.

Il mio cuore si scioglie. «Grazie, non sai quanto significhi questo per me.» Ed è proprio vero, perché nessuno mi ha mai supportato nelle mie scelte. A volte, nemmeno io.

Questa Sera Basto a Me StessoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora