Capitolo 38

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"Gentile signor Miller,
le confermo che il suo elaborato scritto di prova finale è stato ufficialmente verificato e approvato dal consiglio interno dell'Université La Sorbonne. Le faccio le mie più sincere congratulazioni. Se fosse così gentile da passare nel mio ufficio, così da poterle consegnare i vari documenti che dovrà riportare una volta rientrato in Italia. Saluti.

Monsieur Kavanaugh."

A stento riesco a stare fermo sulla sedia, la felicità prende il sopravvento. Scalpito dalla gioia all'interno del mio camerino personale, durante una pausa dall'ennesimo servizio fotografico.

D'istinto mi guardo allo specchio e, nonostante il look goth da angelo caduto, sento delle lacrime rigarmi il viso. Per fortuna il make-up è waterproof.

Questa volta, però, so per certo che non si tratta di lacrime di compassione o di dolore. Ma, al contrario, di lacrime di soddisfazione. Quelle che non fanno altro che renderti fiero di te stesso almeno una volta nella vita. Quelle che riflettono il tuo stato d'animo e che vorrebbero sbattere la verità in faccia a qualcuno, ovvero la verità di avercela fatta.

Ed è proprio così. Ce l'ho fatta nonostante le vicissitudini degli ultimi anni e il doversi sentir solo in una città del tutto nuova. Una città che mi ha accolto dal nulla, Trento. Dalla quale sono partito per puntare sempre più in alto.

Oggi, infatti, sono a Parigi e mi è appena stato comunicato che mi laureerò. Ormai è fatta.

Una volta concluso l'elaborato finale non resta che iscriversi all'appello di laurea e aspettare che arrivi il grande giorno. Mi tremano quasi le mani a immaginare me, in tutto il mio splendore, con la corona d'alloro a sormontare il mio capo.

Adesso l'unica cosa da fare è impostare l'ennesimo conto alla rovescia, fino al giorno della mia laurea. Perché è come se fosse una sorta di rivincita per me stesso, nei confronti di tutti coloro che hanno cercato di mettermi i bastoni tra le ruote. Nei confronti di tutti coloro che non mi hanno aiutato, ma che, anzi, hanno fatto di tutto per farmi perdere contro me stesso.

Ma va bene così. Se c'è qualcosa che questo percorso mi ha insegnato è, appunto, di fare affidamento sulle proprie forze. Ed emanciparsi vuol dire anche questo: non avere bisogno dell'aiuto altrui.

«Per oggi abbiamo finito.» Una voce alle mie spalle mi fa sobbalzare. Mi volto di scatto. È Bobby, il mio manager, il quale si ferma sulla soglia del camerino.

«Com'è andato il servizio fotografico?» Domando senza alcun interesse. D'altronde, so perfettamente il motivo per cui continuo a fare questo lavoro, e non è per piacere. Certo, avrei potuto smettere una volta estinto il debito con la banca, ma devo guadagnare qualcosina d'extra se voglio continuare a camparmi.

«Alla grande. Sembravano abbastanza soddisfatti degli scatti. Stai raccogliendo clienti dopo clienti. Continua così e diventerai il nuovo Jon Kortajarena.» Esclama lodandomi in maniera eccessiva, per poi entrare all'interno del camerino e sedersi su un divano vicino al guardaroba.

«Non mi sognerei mai di raggiungere il suo livello, ma sono felice che stia andando bene.» Mento, e non so se a me stesso, a Bobby, o a entrambi. Non ho ancora preso bene l'idea di fare lo stesso lavoro di Éric, soprattutto se lui non lo sa.

«Che ne dici di fare quattro chiacchiere? Come va con lo studio?» Non ho per niente voglia di stare qui con lui. Sono talmente stanco da non riuscire nemmeno a trovare le forze per raggiungere la fermata della metro. E poi cosa gli importa del mio studio?

«Tutto bene, grazie.» Taglio corto. «Sai, Bobby. Sono molto stanco, vorrei solamente rientrare a casa.»

«E Parigi? Ti sta piacendo?» Continua ignorando il mio tono disinteressato.

Questa Sera Basto a Me StessoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora