Capitolo 16

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La tensione nella camera d'albergo diventa palpabile mentre tento, per l'ennesima volta, di indirizzare le mie fantasie erotiche verso un andamento più consono alla situazione e meno palese agli occhi degli altri. Pizzico ripetutamente il braccio sinistro per smorzare la concentrazione ormonale stabilitasi in un determinato punto del mio corpo. Mi impongo di raffigurare nella mia mente situazioni esilaranti che potrebbero placare la mia erezione persistente. Metto in pratica qualsiasi soluzione alternativa che non sia darmela a gambe. È un gioco arduo, soprattutto perché nel momento in cui provo a far distendere i miei nervi, Éric sfoggia le sue pose più sexy e accattivanti, anche se non ho ancora stabilito quali siano effettivamente quelle meno coinvolgenti.
Ammiro attentamente ogni gesto, ogni espressione del viso, ogni angolo del suo corpo fantasticando su come sarebbe intenso e fervente poterci entrare in contatto. Ammiro minuziosamente la sinuosità di Éric dando adito alla mia fame fisica, assegnando importanza a ciò che in molti considererebbero un mero gesto di superficialità. Forse è corretto chiamarla così, ma momentaneamente non sento la necessità di conferire altro alle mie esigenze.
La mia attenzione è indirizzata sull'egregia spontaneità di Éric. Ancora non riesco a comprendere il motivo di cotanta codardia che lo persuadeva a fare un passo indietro rispetto alle sue volontà. So che voleva farlo, so perfettamente che lo avrebbe fatto, ma qualcosa gli impediva di avere fiducia in sé stesso. Mi chiedo solamente cosa abbia potuto frenarlo?
L'obiettivo della macchina è suo amico. Penso che nessuno possa osare dire il contrario, sennò non staremmo qui a osservare il modo in cui esprime la sua sensualità senza sfociare nel volgare. Non staremmo qui a decifrare l'enigma che lo rende tanto affascinante. Incarna in maniera esaustiva ciò che il Dio Eros ha sempre rappresentato: l'amore fisico e il desiderio sessuale. Sarà per questo che non riesco a percepire nessun tipo di distinzione tra i due.
È talmente immerso nella sua professionalità che non sembra quasi notare la mia presenza, tantomeno quella di Bobby o del fotografo. È inscindibile dall'attrazione del flash abbacinante, mostrando ogni lato di sé al pubblico affinché possa ottenere l'ambita approvazione, in primis nei suoi confronti.
Io, invece, provo a starmene nell'angolo più appartato della stanza, non ho intenzione di disturbare la quiete lavorativa che permette a entrambi di collaborare al progetto fotografico. Bobby credo la pensi come me; sarà per questo che non ha degnato Éric di uno singolo sguardo. Per tutta la durata dello shooting è rimasto fisso al cellulare, intento a rispondere alle chiamate incessanti che hanno portato all'esasperazione sia sua che del fotografo, il quale ha più volte caldamente invitato Bobby a rispondere in corridoio.
Immagino non sia una professione sinonimo di calma e tranquillità. Anzi, i ritmi da sostenere risultano essere piuttosto frenetici e stressanti. Rapportarsi con centinaia di persone al giorno è estenuante, e per sopravvivere a un lavoro del genere si può solamente chiedere una grazia.

L'ennesima telefonata, l'ennesima porta socchiusa per evitare di causare ulteriori danni al servizio fotografico, anche se il sottofondo musicale di Je ne regrette rien di Edith Piaf sembra non far pesare questo continuo via vai. L'ennesima ramanzina per un ruolo che non è stato svolto in maniera corretta o per un intoppo nella pubblicazione del prossimo numero di quella che sembra essere la rivista mensile di cui lui è caporedattore. È qui perché gli è stato affidato un articolo sui rapporti sessuali interrazziali e hanno deciso di mettere Éric in prima pagina. Ho sentito questa spiegazione un centinaio di volte, potrei chiedergli di pagarmi per rispondere alle sue telefonate.

Ne approfitto anche io per cambiare aria. Esco dalla camera d'albergo affinché i bollori soffocanti del mio corpo possano quietarsi per qualche istante, anche perché la temperatura della stanza sembra essersi elevata maggiormente. Chiudo la porta alle mie spalle, Bobby mi fissa ripetutamente, risulta ancora inquietante. Risponde a un'altra telefonata; questa volta, però, rivolgendosi a qualcuno in italiano. Rizzo le orecchie all'udire una lingua abbastanza familiare.
«È tutto a posto, tesoro? Perché mi hai chiamato? Sai che sono al lavoro» esordisce continuando a mandarmi occhiatacce ogni qualvolta i nostri sguardi si incrociano.
Evito di mettermi nei guai, guardo altrove, mi allontano un po' da lui.
«Ti ho già detto che rientro stasera ... sì, sì ci penso io a comprare la cena» ripete questa frase almeno tre volte. Esasperato, comincia a muovere la gamba destra nervosamente.
«Va bene. Okay. Certo, tesoro. Sì ... sì, ci vediamo stasera. Ciao ... sì, ciao. Ti amo anche io» conclude prima di abbandonarsi a un sospiro liberatorio. Si gratta la fronte, brontola. Ripone il cellulare nella tasca della giacca.
«Era mia moglie» si rivolge a me senza guardarmi. Sussulto, non mi aspettavo potesse sapere fossi italiano.
«Come fa a sapere che ... ?» interrompo la frase a metà, lui ghigna.
«Che sei italiano?» chiede esplicito. Annuisco. «Dovresti lavorare un po' di più sul tuo accento, si riconosce subito che non sei di queste parti».
Faccio una smorfia, ma lui non la nota. Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere, soprattutto perché si suppone che dopo quasi dieci anni di lavoro oneroso nell'imparare le varie sfaccettature della pronuncia francese, il mio accento sia pressapoco uguale a quello nativo.
«Non potevo immaginare che il mio accento fosse così malandato» commento sarcastico.
Lui ghigna un'altra volta. «Non è così male, ma se vuoi passare per un vero parisien, ti conviene esercitarti. Potrei consigliarti un'ottima applicazione per il cellulare» agita leggermente le mani nell'intento di rendere la sua pronuncia francese nettamente più teatrale.
«Prenderò in considerazione il suo consiglio» mento. Che sbruffone.
«Ti prego, Michael. Possiamo darci del tu, no?» chiede accennando un sorriso. Si avvicina lentamente verso di me. Annuisco per non sembrare sgarbato, anche se avrei giusto due parole da dirgli sull'approcciarsi con gli sconosciuti. «Così sarà più semplice scambiare quattro chiacchiere» riduce il tono della sua voce mentre con un altro passo cerca di introdursi nel mio spazio vitale. La situazione sta diventando eccessivamente intima.
Indietreggio, lui mi fulmina con lo sguardo. Non comprendo il motivo di tale reazione. Odio che le persone si impossessino dello spazio a me circostante senza il mio consenso.
«Allora, Bobby» cerco di evitare ulteriori riavvicinamenti. «Sei un semplice amante dell'Italia o c'è qualche motivo particolare per cui sai parlare così bene l'italiano?»
Abbassa lo sguardo verso la tasca della giacca, tira fuori una sigaretta elettronica. «Persona curiosa». Fa un tiro liberando una nuvola di fumo aromatizzato alla menta.
«Nessun motivo particolare» esordisce. «Trent'anni fa ho scoperto cos'è l'amore, e si da il caso fosse proprio un Made in Italy».
«Tua moglie è italiana?» chiedo per conferma. Lui annuisce inspirando un altro po' di nicotina.
«Pensi si possa fumare qui dentro?» chiede sarcastico al suo quarto tiro. Io scuoto leggermente la testa per indicare che non sia opportuno farlo. Lui fa spallucce prima di prendersi gioco della mia ingenuità.
«Quindi tu ed Éric siete amici?» ricomincia con l'interrogatorio. Finirà mai questo inferno?
«Sì ... sì, siamo amici» balbetto.
Il suo sorrisetto malizioso si fa vivo un'altra volta. «È davvero un bravo ragazzo. Testardo sì, ma un bravo ragazzo» inspira per l'ennesima volta. Anche io comincio a fremere per una dannatissima sigaretta. Non ho fumato per tutto il giorno, stare con Éric mi ha completamente stravolto le abitudini.
«Sarai stato curioso di sapere com'è questo mondo, per questo l'hai accompagnato, no?» deduce. Io alzo gli occhi al cielo, il suo atteggiamento saccente mi dà ai nervi.
«In realtà no. L'ho accompagnato solamente perché abbiamo passato la giornata insieme».
«Peccato» commenta.
«Peccato per cosa?» chiedo indiscreto. Corrugo le sopracciglia. Bobby fa un altro passo verso di me, la situazione diventa imbarazzante un'altra volta. Mi sento tremendamente a disagio.
«Per questo» continua. Tira fuori dalla tasca un biglietto da visita con su scritto "B&B - Bobby Bernard", accompagnato da un recapito telefonico e un'email aziendale. Non so se sia a causa di questo eccessivo odore di menta, o la musica che riecheggia in sottofondo, ma mi sento frastornato. Non comprendo tale gesto, perché darmi le sue referenze?
«Non capisco» sussurro. Lui sogghigna.
«Hai un viso così bello» esordisce, «e anche il corpo non è niente male». Un brivido intenso mi attraversa la schiena. Le gambe cominciano impetuose a tremolare.
«Potresti avere una grandissima carriera come fotomodello e poi, chissà, magari anche come indossatore» conclude sorridendo.
Non riesco ad afferrare dove lui voglia arrivare a parare. Cosa gli ha fatto intendere che io volessi fare questo tipo di lavoro? Mi sta prendendo per il culo? È solo un modo per beffeggiarsi di me? Centinaia di pensieri continuano a vagare nella mia mente, mentre il ragazzino insicuro di qualche anno fa si fa vivo imperterrito. Osservo il suo atteggiamento da superuomo, rimanendo immobile a riflettere su tale proposta, a tratti curiosa.
«Non mi sognerei mai di rubare il lavoro a Éric» sentenzio. Gli porgo il biglietto da visita.
«Nessuno ha mai parlato di rubare il lavoro a qualcun altro. Ce n'è per tutti, mio caro» sorride mostrando fieramente il suo dente d'oro. «E poi, puoi tranquillamente non dirgli nulla se hai paura di urtare i suoi sentimenti» conclude. Rifiuta il mio gesto, spingendo lentamente la mia mano verso di me e costringendomi a conservare i suoi recapiti.
«Penso sia ora di rientrare, si spera abbiano finito. Non possiamo mica stare qui tutto il giorno» sbuffa rientrando nella camera d'albergo.
Resto attonito appoggiato al muro del corridoio, perlopiù perplesso. E' stato così improvviso da prendermi alla sprovvista. Non vorrei mai che Éric potesse pensare male di me, ma l'idea di un lavoretto extra non sarebbe male, anzi tutto il contrario. Riuscirei a coprire le spese senza arrivare con l'acqua alla gola a fine mese. Certo, ho già dei risparmi da parte, ma non basterebbero per l'intera permanenza e, infondo, avevo già preso in considerazione la possibilità di lavorare pur concentrandomi sullo studio e sulla scrittura della tesi. Ripongo il biglietto nella tasca dei miei pantaloni, privo di ogni consapevolezza e ignaro del gesto. Ma, fondamentalmente, riflettere su qualcosa non ha mai ucciso nessuno, spero vivamente di non essere il primo caso nella storia.

Questa Sera Basto a Me StessoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora