Quattordici

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(Mi scuso davvero per la brutta foto, ma purtroppo il soggetto lascia molto a desiderare)

"L'hai già fatto una volta, cosa ti impedisce di farlo ancora?" Fino a quel momento il mio corpo era rimasto coricato, in una posizione rilassata, a sentire quelle parole però la reazione istintiva fu quella di piegare i gomiti e posare il peso del mio busto su di essi.
Il mio sguardo si fa ancora più intenso sulla figura del ragazzo e sono sicura che lui l'abbia percepito, perché adesso mi osserva anche lui.

Non è lo stesso scambio di sguardi di prima, ora chiaramente lo osservo con disappunto, non contenta delle parole uscite dalla sua bocca. Anche lui deve essersi accorto di aver esagerato, perché vedo il suo volto cambiare espressione, ma comunque non dice nulla, si limita a fissarmi.

Era vero comunque, cosa mi impediva di farlo di nuovo? Perché questa volta sarebbe dovuta essere diversa rispetto alle precedenti?

"Pensavo avessimo superato questa fase." Ammisi con tutta sincerità.

"Non è facile dimenticare che non ci sei stata per quattro anni." Il tono che assunse era tutt'altro che malinconico, c'era molto di più, sicuramente rabbia e probabilmente anche disprezzo. "Te ne sei andata esattamente come hanno fatto mio e tuo padre." Ciò che da piccoli aveva fatto crescere la nostra amicizia era stato la perdita nei nostri padri, cosa che aveva accomunato anche le nostre madri. Il fatto che avesse detto una frase così brutta mi fece raggelare. Non poteva realmente paragonami a suo e a mio padre, non pensava realmente ciò, non posso immaginarlo.

Non rispondo, rimango in silenzio, perché quella frase mi ha tolto la capacità di reagire. Vorrei urlargli contro, dirgli che è uno stronzo e che le sue sono solo cazzate, ma non riesco. Gli occhi iniziano a pizzicare e quando deduco che delle lacrime stanno per uscire faccio per andarmene, perché l'ultima cosa che avrei voluto è farmi vedere ferita da lui.

"Elisabeth." Il mio nome esce dalla sue labbra quasi come una sinfonia, leggera e soffice, mi ammalia, vorrei girarmi, ma nuovamente non lo faccio, perché se lo facessi so già che mi perderei in quegli occhi che so già essersi pentiti di quelle parole.
Non posso voltarmi e non voglio, non voglio sentire scuse uscire dalle sue labbra, perché sono troppo ferita e ora come ora vorrei solo che scomparisse.
Scompaio io dalla scena però e senza preoccuparmi troppo degli occhi dei presenti salgo le scale e mi chiudo nella mia stanza.

Sono sicura che in questo momento al di sotto ci siano tante voci sussurrare e chiedersi cosa sia accaduto, magari è proprio Harry a dirlo, ma non posso esserne certa, perché dal pavimento della mia stanza è complicato sentire.

Forse é questa casa, queste mura che ricordano a l'uno e all'altro, a me e a Harry, chi eravamo e chi adesso non siamo più, forse questo aumenta i suoi pensieri, perché quando siamo stati solo io e lui in un luogo apparentemente neutro, tutto ciò non è successo. È anche vero che forse sono stata io troppo stupida a pensare che le cose sarebbero migliorate così in fretta. Per guarire una ferita c'è bisogno di tempo, io lo so bene, e forse Harry ha bisogno di più di tre settimane e io devo darci questo tempo, intanto però cosa dovrei fare?

Con la testa poggiata sulla porta chiusa delle stanza sento dei passi sempre più vicini, fino ad udire qualcuno bussare alla porta.

"Elisabeth." È lui. Il mio nome esce nuovamente dalla sue labbra e anche se non dovrebbe succedere, perdo per un secondo un battito per colpa di ciò. Non dovrebbe succedere questo solo sentendo la voce di qualcuno, non la sua quantomeno, che per quanto fosse cambiata, ormai è già fissa nella mia mente.

Years · h.sDove le storie prendono vita. Scoprilo ora