Berlino 1995

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Louis aveva freddo. Non ne poteva più di stare seduto su quella panchina in legno dell'aeroporto di Berlino. Gennaio era sempre stato ritenuto un mese freddo in gran parte del mondo, figuriamoci in una città come quella. Ma. Louis sospirò emettendo una nuvoletta bianca dalle sue sottili labbra. Sua sorella aveva scelto proprio un mese sbagliato per mandargli sua nipote. Beh diciamo che le cose erano un po' complicate ecco. Sua sorella Lottie aveva avuto la brillante idea per il suo viaggio di nozze di andare in Italia in pieno inverno, ancora questa cosa era da chiarire, ma d'altronde sua sorella era sempre stata un caso particolare fin da quando era piccola quindi non c'era da stupirsi. Perciò abitando a Londra e non spendo dove lasciare sua figlia di diciassette anni, pensò bene di lasciarla da suo fratello Louis, d'altronde gli altri parenti che avevano erano in America e di certo tra il volo e tutto il resto non sarebbe stato poi così tanto economico. E okay, Louis non aveva niente in contrario, ma non gli piaceva affatto l'idea che la sua famiglia pensasse a lui solo quando avevano bisogno di qualcosa. Ora Louis aveva ben cinquantacinque anni e di certo si sarebbe trovato in difficoltà su come far passare il tempo a sua nipote. Si strinse maggiormente nel suo cappotto nero, mentre con molta rapidità e malavoglia, fece uscire la mano dalla sua tasca ormai calda, per controllare che ora fosse dal suo orologio da taschino. Erano le due del pomeriggio, perciò visto che sua sorella lo aveva informato che il volo sarebbe arrivato alle due e un quarto, si diresse verso la rispettiva uscita con una leggera ansia che non avvertiva ormai da anni.
Ivy era uguale a sua madre e come Louis anche lei aveva ereditato gli occhi azzurri che in quel momento ammirarono quell'aeroporto, ma solo per un momento. Louis mentre si faceva strada tra la folla di persone che erano appena scese dall'aereo proveniente da Londra, dopo alcuni metri riuscì a trovare sua nipote. La ritrovò con la schiena appoggiata ad una colonna in marmo, una mano sul manico della valigia nera e nell'altra un libro dalla copertina marrone scura. Aveva lunghi capelli castani e alcune ciocche le ricadevano davanti agli occhi, ecco spiegato il motivo per cui ogni tre secondi se ne sistemava alcune. Le labbra carnose le si incresparono in un sorriso dolce e Louis ebbe proprio l'impressione che Ivy stesse leggendo uno di quei capitoli di un libro in cui vorresti farne parte anche tu, molto probabilmente era una di quelle classiche scene romantiche tra i due protagonisti.
«Ivy?» la richiamò alla realtà Louis avvicinandosi a lei fino ad arrivare a toccare la valigia con la punta della sua scarpa. La ragazza alzò il volto dalla pagina del libro che stava leggendo e Louis notò come il suo sorriso si spense man mano perdendo il suo valore.
«Oh sei tu...» disse appunto la ragazza richiudendo il libro, prima però sistemando un pezzo di carta tra le pagine come segna libro, non si sa mai che perdesse il segno, in quel caso sarebbe stata una catastrofe. Depositò il libro nella tasca anteriore della valigia per poi rialzare nuovamente lo sguardo su suo zio.
«Ciao anche a te, Ivy.» disse Louis sarcasticamente.
«Ciao...»
«Vogliamo andare?»
«Si.»
Louis non abitava esattamente in centro città, aveva sempre odiato quel punto per varie ragioni, perciò con il passare degli anni si comprò una villetta nei dintorni di Berlino. Il viaggio in macchina quindi non sarebbe durato più di venti minuti. Ivy se ne stava sul sedile anteriore intenta a guardare con occhi sgranati la Berlino del presente.
Erano fermi ad un semaforo quando si fermarono in un punto in cui Louis dovette far forza a se stesso pur di non piangere, erano passati
ventisette anni ormai, ma i ricordi che sono presenti nella sua mente li ricorda come se fosse tutto successo il giorno precedente.
«Quello è un pezzo rimanente del muro di Berlino?» chiese indicandolo. Louis strinse talmente tanto forte le mani sul volante che le nocche gli diventarono bianche. Poi come se si fosse ricordato in quel momento di aver accanto sua nipote, le rivolse un sorriso.
«Sì.» rispose a denti stretti non volendo voltarsi per guardarlo, non lo avrebbe fatto nemmeno sotto tortura. Guardò davanti a sé con uno sguardo totalmente perso, come se fissare la strada e incantarsi avesse portato delle risposte, ma la verità è che non ce ne erano affatto per tutto quello che gli era successo e tutto quello che aveva dovuto affrontare. Gli vennero in mente gli assordanti rumori di mitragliatrici che colpivano le persone senza una ragione e senza direzione. Rivide le migliaia di persone morte e risentì le loro urla nella speranza di abbattere quel muro e di ritornare dai loro cari che si trovavano dalla parte opposta. Ma Louis sapeva bene, eccome se lo sapeva, che questa era una delle cose più difficili da portar a compito e non sempre le cose vanno come ci aspettavamo.
«Zio Louis?»
La voce di sua nipote lo portò nuovamente alla realtà e solo in quel momento si accorse di aver creato una coda dietro di lui e che il semaforo era già verde da alcuni secondi.
«Scusami.» disse solo Louis reprimendo le lacrime e continuando a guidare verso casa sua, cercando di non pensare agli anni precedenti per almeno un secondo della sua vita.

Erano arrivati da qualche ora e tra il sistemare le cose e preparare un tè caldo, si erano fatte le quattro. La stanza di Ivy si trovava al secondo piano della sua villetta, una stanza abbastanza piccola, ma accogliente.
E per fortuna le era piaciuta quel tanto da farla sorridere. Ad un certo punto le fece una domanda.
«Hai intenzioni di uscire?»
«C'è una libreria da queste parti?»
«Sì, ce ne è una a qualche isolato da qua, ma non credo che capirai molto.» disse Louis seduto sul divano mentre leggeva il giornale di quel giorno.
«E perché? Sentiamo.» disse Ivy puntando le mani sui fianchi e piazzandosi davanti a suo zio.
«Beh forse perché sono in tedesco, non trovi?»
La faccia che fece sua nipote subito dopo l'avrebbe voluta immortalare con una polaroid solo per poter prendere la foto e conservarsela nella sua scatola dei ricordi e chissà, magari mostrargliela quando avrebbe avuto trent'anni e dei figli.
«Guarda che lo so.» rispose rossa in volto sostenendo lo sguardo anche se ormai era dalla parte del torto.
«Io non credo.» rispose tornando a leggere il giornale.
«Non ti sopporto già più, me ne vado in camera mia.» disse cambiando umore velocemente passando dall'indifferente all'arrabbiata in men che non si dica. Louis provò una fitta la petto nel sentire quelle parole, in fondo era da tempo che qualcuno non gli parlava in quel modo, ma sentirselo dire da un estraneo era un conto, da sua nipote era un'altro. Stava per salire le scale quando si fermò sul primo gradino voltandosi verso Louis.
«Tu, vivi da solo, no?» quella domanda ruppe definitivamente il cuore di Louis.
«Sì.» sussurrò con occhi velati di tristezza.
«Ecco, ora ho capito perché sei solo nella vita, tu sei una persona fin troppo triste.»
E forse era così perché in effetti, se Louis ci pensava bene, l'ultimo vero sorriso che aveva increspato le sue labbra, risaliva a molti anni fa, nel tempo in cui c'era ancora la persona che amava al suo fianco e se aveva essa, ogni giorno equivaleva alla felicità e se Louis non aveva quella persona, allora non capiva proprio cosa volesse dire sorridere.
Erano le sette di sera e ormai fuori era buio. Louis era seduto sulla sua poltrona preferita, quella in stoffa color verde scuro, uno dei suoi colori preferiti da anni. Teneva tra le mani una tazza di caffè mentre nella sua mente trascorrevano i ricordi di quella litigata con sua nipote. Era appena arrivata eppure non aveva fatto altro che renderla di cattivo umore. Forse il destino di Louis era proprio quello, vivere di dolore e tristezza.
Mentre sorseggiava il caffè stava bene attento a non far cadere nemmeno una singola goccia sul diario che teneva sulle sue gambe. Posò delicatamente la tazza sul tavolino in legno dinnanzi alla poltrona per poi accarezzare con il palmo della mano la copertina marrone chiaro di quel diario, compiendo quell'azione proprio come se stesse accarezzando la guancia di qualcuno, qualcuno che aveva amato per molto tempo e che continuava a farlo tutt'oggi. Nel mentre, non si accorse di sua nipote che era scesa da camera sua e si era seduta sul bracciolo del divano.
«Non credere mica che sia venuta per chiedere scusa.»
«Oh non ne dubitavo.»
Ivy sbuffò roteando gli occhi al cielo, insomma un po' se l'aspettava quella risposta da parte di suo zio, perciò non c'era da stupirsi così tanto.
«Cosa tieni stretto tra le mani?» chiese guardando quel diario con uno sguardo indagatore. Louis come d'istinto strinse maggiormente la presa su di esso stringendolo al petto proprio all'altezza del suo cuore, molte volte gli piaceva pensare che in quel modo era più vicino a lui di quanto potesse immaginare.
«Niente un diario.»
«Posso vederlo?»
«No.» rispose subito.
«Perché no?»
«Perché è la seconda cosa più importante della mia vita e ci tengo.»
«E la prima quel'è?» chiese riferendosi alle due cose più importanti per Louis.
«La prima, è il proprietario di questo diario.»
«Non capisco...» disse Ivy con lo sguardo confuso scendendo dal bracciolo per sedersi sul tappeto difronte la poltrona su cui era seduto Louis e appoggiando le braccia sul tavolino.
«Ivy, ti interessa davvero?»
«Si.»
«Va bene,» sospirò Louis prendendo poi un lungo respiro. «devi sapere che questo diario apparteneva all'unica persona che io abbia mai amato. Apparteneva ad Harry.»
«E dov'è ora Harry?» chiese in un sussurro, come se dentro di lei avesse già intuito la risposta ma non ne aveva il coraggio di dirlo a voce alta. La cosa per Louis non fu da meno se non molto peggio.
«Harry non c'è più. Ma questa è una storia che risale a molti anni fa.»
«Me la racconteresti?»
«Sì ma, sei sicura?» le chiese forse quella domanda avrebbe dovuto farla più a sé stesso che a sua nipote.
«Si, ho tutto il tempo del mondo, racconta.» disse con un sorriso timido sulle labbra, il primo sorriso sincero che le vedeva fare. E allora Louis in quel momento capì che quella storia li avrebbe uniti almeno un po', infondo l'amore di Harry aveva sempre portato a questo. Così Louis chiuse gli occhi inspirando e li riaprì espirando l'aria dai polmoni. Con gesti delicati e nostalgici, aprì il diario e subito, come ogni volta, la vista della scrittura di Harry gli procurò una perdita del battito del suo fragile cuore che man mano andava a sgretolarsi con il passar degli anni. Le pagine erano ingiallite, la scrittura elegante rifletteva la persona che era Harry e non appena iniziò a leggere fu come immergersi nuovamente negli anni precedenti.

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