Louis' pov.«Allora, mi ripeti qual è il tuo nome?»
Chiesi nuovamente al paziente che si trovava davanti ai miei occhi.
Come se già non lo sapessi.
Nulla, ancora.
Stava seduto a terra, accovacciato sulle sue stesse gambe, con i ricci cadenti sui suoi occhi.
«Ti diverti a stare ancora qui dentro eh?» avevo detto con la speranza di avere una risposta concreta.
Ma ancora nulla.
Eppure questa scena non era sconosciuta alla mia mente, avevo la certezza di averla già vissuta.
E per sfortuna si stava ripetendo, ma era il mio lavoro.
«Se non vuoi dirmi nulla dovrò farti ricoverare» dissi stufo.
Il ragazzo davanti ai miei occhi si mosse, per sistemare i suoi folti capelli castani.
«No» sospirò «Non voglio stare qui, ancora» fece con un tono esasperato.
«Allora, per l'amor del cielo, dimmi qualcosa»
Il ragazzo sbuffò e si sedette nella poltrona accanto a me.
«Mi chiamo James, e vengo da Manchester ed ho diciotto anni»
«Ok, molto bene. Allora, ciao James, io sono il tuo nuovo psichiatra, mi chiamo Louis ed ho ventisette anni, e vengo da Doncaster, ma come puoi vedere vivo a Londra» accennai cortesemente.
Il ragazzo fece spallucce mostrando una faccia completamente indifferente.
Allora chiesi «James, perché sei qui?»
«Mi ci ha portato mia mamma, forse perché lei è pazza, ma crede che io sia pazzo»
Sospirai. Solita situazione, problemi familiari.
Il mio occhio cadde sull'orologio, erano già le sette e trenta, e avrei dovuto smettere di lavorare alle sette e quarantacinque.
«Di questo magari ne parleremo meglio la prossima volta, d'accordo? Perché la tua seduta è finita oggi»
Il ragazzo senza dire niente mi strinse la mano e scomparve dalla stanza.
«Che gente strana...» dissi tra me e me.
Come se già non sapessi che razza di gente che vivesse su questo pianeta.
È strano come i problemi ci riducano... A volte sembriamo luci spente, o altre luci troppo accese.
Ed è difficile stare male e cercare di non diventare mostri.
«Ma andiamo...»
Presi la mia valigetta, e sistemai tutti i fogli sparsi nel cassetto.
Uscii dal mio studio e percorsi le pareti bianchissime di quel corridoio.
Tutti i miei dipendenti erano al lavoro, nella mia clinica, dove finalmente non mi sarei più perso, dove non c'erano segretarie di poco serie e niente più segreti da nascondere.
«Arrivederci direttore» disse Charlie, seduto dietro la scrivania della stanza d'aspetto.
«Buon lavoro!» dissi uscendo dalla clinica.
Aspettavo pazientemente che il bus arrivasse a quella fermata e che mi riportasse a casa. Finalmente un po' di riposo per me.
I bus di Londra non tardavano mai per fortuna, infatti nel momento in cui il veicolo rosso lucido si fermò davanti a me io salii senza esitare.
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Fourteen days
FanficQuattordici giorni per guarire. Quattordici giorni per rischiare. Quattordici giorni per provare ad abbracciare un sentimento: l'amore. (CONTIENE SEQUEL)