MI CHIAMAVANO COLEI CHE REGGE IL MONDO

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Venezia, nacque a Roma il cinque marzo 1999, i genitori decisero di darle il nome della città in cui si erano conosciuti e a sua sorella gemella Serena l'appellativo con cui era conosciuta nel modo, la Serenissima.
Beh l'abbinamento era carino, no?
Approdata in prima media venne separata dalla sorella che essendo un prodigio del pianoforte venne spedita in una scuola privata per coltivare il suo talento

Non fu un bene!

Nel giro di tre soli anni la distanza tra loro divenne abbissale.
Per Venezia la sorella divenne una rivale che sopportava a stento.
Non la riusciva a tollerare!
Nello stesso anno, quella precisa estate, Serena tornó dal conservatorio con una sua amica che suonava il violino, Maria.
Lei era un vero angelo e anche se a tutti sembrava impossibile, con la sua presenza riusciva ad appianare le divergenze tra le due che se lasciate da sole non riuscivano a non litigare.
All'età di diciassette anni Maria conobbe Marco e tra i due sbocciò subito l'amore, mentre Venezia conobbe Alessio.
Avevano tutti la stessa età e passavano tutti insieme la maggior parte del tempo.
Dopo che Maria si mise con Marco, Serena non fu più la stessa, lasciò il conservatorio iniziando a frequentare la stessa scuola della sorella.
Io entrai nel gruppo esattamente quando loro iniziarono la quinta superiore, avevo solo un anno in meno e mio fratello voleva tenermi d'occhio dopo una disastrosa storia.

Buttai giù un sorso di birra seduta al bancone del bar mentre Serena mi guardava stranita.
I suoi occhi erano puntati su di me e osservava ogni mio movimento come aspettandosi il peggio.
Lei era attenta ad ogni minimo dettaglio di ogni singola cosa che la circondava, non so bene perché avesse sviluppato questa abilità fatto sta che più di tutti era riuscita a irritarmi fin dal primo momento che l'avevo incontrata.
Forse se non mi fossi lasciata tentare dai suoi occhioni e dal suo comportamento a quest'ora mi sarei risparmiata innumerevoli problemi.

-cosa ci fai qui?- chiesi irritata dopo attimi di silenzio imbarazzante.

-ti ho vista entrare, casualmente mi trovavo da queste parti. Dovresti smetterla di intrattenere le tue conversazioni con questo tono, è irritante!- rispose guardandomi storto.

Sapevo benissimo oramai cosa la irritasse e irritarla era la cosa che preferivo di più!

-lo so, è questa la cosa divertente- risposi alzando le spalle e posando la bottiglia di vetro sul bancone.

-credi che le cose si appianeranno?-chiese allora la mia interlocutrice prendendo la mia bottiglia e finendone il contenuto.
-scherzi spero!-
Ridacchiai.
-Marco è in condizioni pietose, Maria sta cercando di uccidere lei e il pargolo e Venezia sta facendo la povera vittima come al solito- mi pentí delle osservazioni su Venezia, avevo decisamente avuto poco tatto.

Serena era dipendente dalla sorella, non aveva mai tirato fuori gli artigli se si trattavasi lei e spesso la difendeva a spada tratta quando era indifendibile.
Era buffo come lei tentasse in tutti i modi di accaparrarsi un briciolo di affetto da quella serpe.

Serena rise poi ordinó un bicchiere d'acqua al barista.
-sai certe volte mi chiedo se noi fossimo veramente legati, stavamo insieme soltanto perché Alessio faceva da collante.
Adesso verranno fuori tanti di quegli scheletri!-
Risi di gusto.

In un certo senso ero contenta che venissero fuori tutte quelle cose e non mi importava minimamente del fatto che venissero a galla anche le cose che avevo fatto io per prima.
Avevamo sbagliato innumerevoli volte tutti quanti e le conseguenze ce le meritavamo tutte e anche con gli interessi.

-Nefertiti, se ciò accadesse tu dovresti iniziare a pensare ad un modo per ripulirti la reputazione- disse queste parole con un sorriso beffardo sul volto.

Pensava forse che non lo sapessi?

-sai benissimo di chi stiamo parlando, non trapelerá mai nulla, collasseremo su noi stessi portandoci nella tomba tutti i nostri segreti- scesi dallo sgabbello e diedi una pacca sulla schiena a Serena poi mi avviai verso la porta.

-quello che hai fatto, nessuno di noi si sarebbe immaginato fosse così grave, ma se lui ti ha coperto io continueró a stare zitta- mi rispose quando oramai stavo chiudendo la porta del locale.

Il freddo gelido di Gennaio mi penetró nelle ossa costringendomi a stringermi nella pesante felpa di mio fratello, inebetita percorsi la strada che divideva casa mia dal bar a testa bassa e a passo svelto.
Speravo di arrivare il più presto possibile e mettermi nel letto di lui per cercare di averlo più vicino a me possibile.

Avevo chiesto a mamma di prendere la maggior parte dei suoi vestiti per poterli usare io o almeno lo avevo fatto con quelli che erano rimasti.
Venezia due sere prima era piombata da me dicendo che voleva delle cose appartenute ad Alessio e mamma non ha avuto il coraggio di ribattere, anzi per lei fu un sollievo liberarsi di quelle cose.
Mia madre non voleva avere ricordi materiali del figlio, per lei era troppo doloroso.

I lampioni delle strade sfarfallavano e una folata di vento mi colpì la schiena.

"Dio, fortuna manca poco a casa!"

Accellerai quando vidi che una tenue pioggerellina gelida inizió a scendere dal cielo completamente bianco, di lì a poco avrebbe di sicuro iniziato a nevicare e se non mi fossi sbrigata sarei gelata lì sotto.

-Nefertiti-
Mi sentii chiamare da dietro l'angolo e spazzientita mi fermai girandomi in direzione di Serena
-potevi anche aspettarmi.-
Si fermó a due passi da me e riprese fiato respirando affannosamente.
-il motivo per cui vieni nella mia stessa direzione mi sfugge- risposi acida.

"Non li voglio intorno e non voglio intorno soprattutto te!"

-non fare così, ho bisogno della mia amica, ti prego!- sussurró puntandomi addosso due globi azzurri e tirandosi sulla testa il cappuccio della felpa che le era calato.
Sospirai spazzientita e mi voltai di nuovo continuando a camminare.
Sentí i suoi passi leggeri seguirmi e procedere mano mano sempre più velocemente per annullare la distanza che ci divideva.

-ti rispetto sai- disse oramai sotto il portone di casa.

Cercai la chiave dentro le tasche, ma la maledetta non si trovava, sperai solo di non averla lasciata al bar.

-non ho la forza di reagire come hai reagito tu, ne tantomeno la forza di impormi su Venezia-
Si appoggió al muro vicino al portone mentre io cercavo freneticamente le chiavi nelle tasche.
Dopo due minuti di ricerca la trovai e infilai la chiave nella toppa della serratura girando verso destra.
-questo perché sei una stupida- le risposi facendole cenno di entrare e seguendola subito dopo.
-Sai benissimo che Venezia si approfitta del potere che ha su di te e sai ancora meglio che a Maria piacevi eppure te la sei lasciata scappare- chiusi la porta e le feci strada su per le scale.
Riuscivo sempre a trattare con riguardo anche chi non si meritava parole tolleranti da parte mia.
Sono, ero e sarò sempre una cretina.

-credo che tu sia troppo dura con me- mi fece notare seguendomi su per i gradini scoscesi con un tono di voce che conoscevo bene e che odiavo quando lei lo usava.
Il vittimismo mi provocava l'orticaria, soprattutto se a farlo era un lupo travestito da agnello.

Tre rampe di scale dopo arrivammo alla porta di casa, presi la seconda chiave e la aprì, era tutto in ordine da quando Alessio non viveva più con me.
Avevamo preso casa insieme quando lui compì diciotto anni per non fare il viaggio casa scuola che comprendeva circa un'ora di pullman se eravamo fortunati.
I nostri genitori ci venivano a trovare una volta al mese portandoci la spesa anche se gli avevamo ampiamente detto che non serviva.

Poggiai le chiavi sul tavolo e tolsi gli anfibi bagnati.
-so che hai ragione, ma quando l'ho vista con Marco non ce l'ho fatta a dirle che mi ero innamorata di lei, non potevo. Sembrava così felice.- sussurró sedendosi sul vecchio divano e togliendosi anche lei le vans bagnate.

Mi stava sporcando il pavimento e la cosa mi urlava non poco.

-ora vai a dormire, domani abbiamo da fare. Scusa ma ho l'emicrania non mi va di parlare, soprattutto con te!- mi diressi verso la stanza di mio fratello e chiusi la porta, mi appoggiai ad essa e scoppiai a piangere.
Odiavo profondamente tutta la situazione che si era venuta a creare, volevo andarmene, non ce la facevo proprio più!

-come hai potuto lasciarmi questa responsabilitá-urlai verso il soffitto nella speranza che la mia rabbia potesse arrivargli.

Singhiozzi strozzati mi uscirono dalla gola e le lacrime non sembravano fermarsi.

Qualcuno mi aiuti, vi prego!

Vita ordinaria di una ragazza senza nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora