RACCONTA DEI TUOI SOGNI

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Non sapevo cosa stesse succedendo mentre avevo le mani sporche di sangue, avevo fatto appena in tempo a suonare il campanello per richiamare gli infermieri prima che mi si appannasse la vista.
Mi faceva male il petto e sentivo un sapore disgustoso in bocca che sembrava continuare a defluire.
-Nefertiti-
Il sussurro di Venezia mi giunse alle orecchie e mi girai a guardarla.
Avevo le mani sporche di sangue e nonostante il dottore cercasse di rimediare di sicuro avevo un aspetto terribile, lo capí da come mi guardava.
Marco era dietro di lei impietrito e bloccava la porta a Toth che urlava disperato.

Stavo facendo male al mio bambino...

Tre giorni dopo

Io e Alessio non avevamo la stessa mamma, in comune avevamo solo il padre, l'uomo che era seduto vicino al mio letto e mi guardava impassibile.
Alessio era nato da una relazione di mio padre prima che conoscesse la mamma. Quando conobbe mia madre infatti lasciò la moglie e costruì una nuova famiglia portando con sé il piccolo Alessio.
La madre di Alessio era una donna particolare, ballava nei teatri più in vista del mondo e non aveva tempo per un figlio, così colse l'occasione per lasciarlo a mio padre come si fa con i pacchi o con un vecchio regalo ricevuto tempo addietro e di cui non sai che fartene.
Quando mamma e papà accolsero Alessio io non ero ancora nata e lui era davvero piccolo, tanto che per lui sua madre sarà sempre la donna che ci ha cresciuti, non ha mai voluto conoscere la donna che l'ha messo al mondo.

Papà si alzò in piedi appena mi vide aprire gli occhi e si diresse verso lo specchio del bagno della clinica privata dove ero stata portata ore prima.
Si guardò allo specchio si sistemò i lunghi capelli tenuti insieme da un elastico, si strinse il nodo alla cravatta, poi si aggiusto il bavero della giacca e come se fosse pronto ad andarsene di lì si rimise il soprabito che aveva poggiato sulla poltroncina bianca della stanza.

Da piccola lui era il mio eroe.
Tutte le mattine lo guardavo compiere questi gesti allo specchio della camera che condivideva con mamma e all'ingresso gli passavo il calsante per le scarpe, gli davo un bacio sulla guancia e lo vedevo uscire.
Incredibile come da piccola non mi rendessi conto di cosa in realtà lui fosse.
Lavorava presso la clinica privata in cui ero stata trasferita, era il dirigente e volle fino alla fine che io e Alessio lavorassimo al suo fianco in quel posto.

Pensava al nostro futuro?

No, non lo faceva era solo controllo e la sua stupida reputazione che non doveva essere distrutta.

Quando ero piccola lo ammiravo, esisteva solo lui, mia madre era severa, cercava di arginare il mio carattere oppressivo già da piccola, mentre papà lo coltivava dicendo che un giorno mi avrebbe aiutata.
Papà mi viziava.
Qualsiasi cosa io chiedessi lui faceva, lo faceva senza affetto però.
Io e Alessio dovevamo essere i migliori, e lo eravamo...
Solo che quei figli in cui confidava tanto divennero la sua più grande delusione.

Ricordo che la sera di natale dei miei otto anni lui con la sua grande e calda mano mi accarezzò la guancia, l'unico gesto di affetto che fece per me dal giorno in cui nacqui e mi disse :- un giorno arriverai lontano, farò in modo che tu ti erga come una regina su qualsiasi altro- e poi se ne andò, uscì di casa consegnando tra le mani di mio fratello dei soldi e se ne andò.
Anni dopo compresi della sua doppia vita.

-papà- sussurrai.
Lo vidi girarsi nella mia direzione e osservarmi con uno sguardo deluso, lo usava spesso da quattro anni a questa parte.
-hai fatto i test di ingresso per l'università, stare in ospedale non é una scusa per non pensare al tuo futuro-

Cosa?

-come?- chiesi.
Stavo morendo e lui si preoccupava di uno stupido test...

-sei cresciuta Nefertiti, sei una donna, una bellissima donna che può avere tutto e nonostante tu ti sia rovinata la vita sei ancora in tempo per recuperare- disse semplicemente.
Mi sentivo guardata dall'alto in basso quando faceva così.
-papá sto male, sto male e tu pensi a questo?-
-il tuo futuro è più importante di questo, sai benissimo che come le volte prima questo non è niente, verrai curata dai migliori e ti riprenderai-

Lo osservai e notai nei suoi occhi solo delusione...

A sedici anni era venerata da mio padre che mi trattava come una dea, andavo in una scuola privata a differenza di Alessio e il mio animo era orribilmente marcio.
Ricordo di quel periodo che mi innamorai di un ragazzo del mio stesso corso e entusiasta lo presentai a mio padre che dimostrò quanto fosse arido e quanto poco gli importasse di me.
Venni trasferita nella scuola di Alessio e le parole dell'uomo che ammiravo divennero improvvisamente offuscate.
Secondo lui ero troppo per chiunque, sarebbe stato lui a scegliere per me.
Il suo fiore del deserto sarebbe rimasto puro fino a che qualcuno degno scelto da lui non sarebbe stato approvato.

Lentamente mi resi conto, le braccia mi divennero pesanti e dove andavo vi erano solo porte chiuse, alle finestre sbarre d'oro e quando urlavo dalla mia gola uscivano solo singhiozzi.
Case e scuola, scuola e casa.
Non avevo amici, mi era stato vietato e quando apprese che nella nuova scuola qualcuno si stava avvicinando a me contempló l'idea di farmi studiare a casa.
Ero chiusa in una prigione fino al giorno della festa.
Ricordo che gli dissi che se non mi avesse fatta uscire io sarei scappata e così feci, chiamai Alessio che era con la sua ragazza e gli chiesi di accompagnarmi alla festa a cui ero stata invitata.
Da lì in poi il buio.

-papá, sto morendo- sussurrai.
-sciocchezze- disse -i migliori medici si occuperanno di te-

Dopo un mese da quella festa tornai a casa con la coda tra le gambe.
L'incidente e la faccenda con Marco mi avevano portata a trasferirmi nella casetta che Alessio aveva preso in affitto per scappare da papà.
Ero incinta e delusa avevo bisogno dell'affetto di mia madre, ma incontrai solo il muro gelido eretto dalla delusione di mio padre.
Tornai più morta che viva a testa china, con la coda tra le gambe e il fallimento negli occhi.
Non avevo più lo stesso approccio alla vita, non ero più libera e di certo non ero più spensierata, tutto si stava trasformando.
La figura imponente di mio padre mi si stagliava davanti inquisitoria e nelle orecchie sentivo solo la risonanza della sua delusione.
Ricordo i suoi occhi quando glielo dissi e ricordo come con disgusto mi disse che sarei stata portata dai nonni, mi disse che sua figlia non avrebbe partorito un bastardo e che la sua reputazione era stata macchiata da una stupida inetta.
Mi disse che io di certo non avevo rispetto per lui, mi chiese dove avesse sbagliato con me e poi se ne andò dalla stanza lasciandomi in lacrime.

L'unica persona che sapeva farmi piangere, l'unica persona che temevo perché uguale a me, ero una delusione per l'unica persona che idolatratovo oltre mio fratello.

La mamma mi venne accanto e mi abbracciò mentre dalla camera proveniva la voce di mio padre che al telefono parlava con la nonna, quando la chiamata si concluse vi fu il rumore di vetri rotti e una porta sbattuta.
Papà rinnegó la dedizione nel suo lavoro, me e la sua famiglia.
Quel giorno mi maledì per aver macchiato tutto ciò che aveva creato e io piccola e fragile ero in balia di quella maledizione.

Me ne andai definitivamente da Alessio...

-mi hai mai veramente voluto bene?-chiesi allora con le lacrime agli occhi, piangevo spesso ultimamente.
-eri il mio orgoglio più grande, eri la gemma più preziosa, ti ammiravo, ero convinto saresti arrivata in alto, ma ora guardati-venne davanti al mio letto. -guarda come ti sei ridotta, la figlia che ho cresciuto io non é questa-

Guardai in alto e percepì il rumore di una bottiglietta di plastica posarsi sul comodino e di una vuota venire schiacciata e poi buttata nel cestino.
Udí i passi pesanti di un uomo incamminarsi alla porta e il rumore della maniglia che si abbassa.
-non ti chiederò scusa Filippo-
Mio padre si girò e sorrise.
-non si deve mai chiedere scusa Nefertiti- sospirò poi continuó -ti ho dato un nome altisonante che ti rendesse grande, ti ho cresciuta come la migliore e ottengo questo, ricordati che il successo non è per tutti.
Nella vita esistono i vincenti e gli eterni sconfitti, mi pento solo di non aver capito subito a quale categoria tu facessi parte.
Il tuo atteggiamento, quello che emuli dal mio non è altro che insignificante, come lo è questa tua situazione.
Tuttavia per dimostrarti quanto tengo a te ho deciso di offrirti una seconda opportunità, non deludermi di nuovo-

La porta si chiuse.

Quando morirò non chiamerò il tuo nome...


Vita ordinaria di una ragazza senza nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora