IL GIORNO IN CUI FUI UCCISA

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14 dicembre 2018

Le mani mi tremavano, avevo lo sguardo fisso sulla bara ricoperta di fiori.
Marco era seduto accanto a me con gli occhi bassi e mi teneva stretta una mano, mamma era adagiata come un guscio vuoto sulla panca.

Le mancava la forza per piangere.

Maria osservava il prete con uno sguardo vuoto mentre Venezia fissava inespressiva la bara senza mostrare segni di cedimento.
Serena invece era scoppiata a piangere appena entrata in chiesa e adesso se ne stava alla destra di mia madre con lo sguardo sulle sue mani.

Mio padre non era venuto, aveva un impegno.
Aveva detto la sera stessa in cui l'ospedale aveva chiamato che il giorno dopo avendo una riunione che non poteva rimandare non gli sarebbe stato possibile partecipare.
La mamma lo aveva guardato con le lacrime agli occhi e lo aveva preganto di fare qualcosa per la sua famiglia almeno una volta nella sua inutile vita.

La faccenda era esplosa in una lite.

Mio padre con una faccia di bronzo terrificante prese la giacca dall'attaccapanni dicendo che avrebbe passato la notte da un collega.
Il collega suppongo si chiamasse Giulia e che fosse la stagista che lavorava per lui.

-dovresti piangere-
Marco mi strinse la mano ancora più forte e io sorrisi.
Lo osservai bene e notai quanto era stanco.

Prima il fratello e poi il migliore amico.

-la mamma sta male, se mi vedesse piangere non ce la farebbe- sussurrai.
Marco annuì tolse la mano dalla mia e continuò a guardare il vuoto.
-tua madre non vorrebbe vederti soffocare il dolore-
-non lo sto soffocando- risposi.
-ieri sera non hai dormito-
La sua mano calda tornò a stringere la mia più forte, era come se volesse proteggermi con quel tocco.

-ora vorrei lasciare la parola alla sorella-
La voce candida del parroco mi riscosse e completamente inebetita mi diressi verso la bara.
Sentivo gli occhi dei presenti osservarmi colmi di pietà e quando mi fermai davanti al parroco la strana sensazione di disagio non fece che aumentare.

-mi dispiace tanto Nefertiti-
Il parroco mi strinse le mani nelle sue e mi guardò con gli occhi lucidi e le labbra tremanti.
-lo so zio- sussurrai.
-non so cosa sia successo a tuo padre, parlerò con lui...-
Iniziò, ma lo interruppi con un sorriso e un cenno della testa.
Mio padre aveva scelto di non venire e mio zio non doveva farsene una colpa.
-non ti preoccupare, sono sicura che avesse qualcosa di più importante da fare-
Lo zio mi strinse in un abbraccio e poi mi osservò posizionarmi di fianco alla bara.

La mano destra poggiata su di essa e lo sguardo a terra.
Avevo scelto una bella bara bianca, e avevo chiesto al fioraio di ricoprirla di rose bianche seguendo le ultime volontà di mio fratello.

Presi un respiro profondo.

-Ho sempre creduto che questo giorno non sarebbe mai arrivato così presto...- sospirai pesantemente e puntai gli occhi su Marco.

Non riuscivo a parlare...

Sentii gli occhi farsi lucidi e un groppo alla gola salirmi fino a rendermi impossibile parlare.
La stretta dolorosa che mi percorreva il corpo mi rese impossibile percepire il dolore che provavo e una sola sensazione di sconfitta si fece largo in me.

''Perché proprio lui?''

-io avrei così tante cose da dire, ma ogni parola non servirebbe più a nulla ormai-

Marco continuava a sostenere il mio sguardo.

Istintivamente mi portai la mano alla bocca e soppressi un singhiozzo.
Marco si alzò e venne al mio fianco, mi prese la mano e la strinse forte.
-la prospettiva di essere completamente libera e abbandonata a me stessa mi ha sempre spaventato, per quanto mi ribellassi ad ogni regola che mi veniva imposta le conseguenze mi facevano piombare in uno stato di sconforto che sfiorava la depressione.
Al mio fianco lui c'era sempre, riparava ogni mio errore, colmava ogni mia mancanza, eravamo cresciuti in simbiosi e di conseguenza ci completavano a vicenda.
Lui per me era importante, molto di più di quanto possa esserlo un fratello, lo consideravo una parte di me, lui diceva sempre che nella scorsa vita eravamo un essere solo...-

La mamma si riscosse al suono della mia voce e mi puntò gli occhi vitrei addosso.

-L'ho tuttavia odiato quando mi disse che per lui non c'era nulla da fare, l'ho considerato un codardo e sarebbe stupido non dire che lo considero ancora così per essersi lasciato andare alla malattia senza agire.
Era forte.
Mi dico sempre che se mi avesse concesso di stargli accanto forse avrei potuto convincerlo che si poteva fate di più.
Ero convinta che la strada giusta la potessimo intraprendere insieme, ma lui si è perso, mi è sfuggito quando mi sono voltata per cercare la strada migliore e mi ha fatto piombare in un incubo.
Alessio mi ha salvata tante volte, mi ha aiutata ogni volta che stavo male e mi ha sollevata da terra tutte le volte che cadevo.
Era per me un eroe, mi ha cresciuta lui eppure adesso io non ho potuto fare nulla nel suo culmine di fragilità-
Alzai gli occhi da terra e mi pietrificati alla vista di lunghi capelli biondi screziati di bianco legati in una mezzacoda.

'Così uguale al mio Alessio!'

Mio padre era arrivato, se ne stava davanti alla porta della chiesa e mi osservava inespressivo.

-scusate, non ho più nulla da dire-
Raccolsi le ultime forse che avevo e mi incamminai verso l'uscita cercando di trattenermi dal fare una scenata.
Avevo gli occhi di tutti puntati addosso e Marco alle calcagna.
-esci di fuori- sibilai appena gli fui di fronte.
Mio padre fece un cenno con la testa allo zio che riprese la funzione e mi seguì fuori dalla chiesa.

Mi accesi una sigaretta con le mani tremanti e lo osservai, così simile a lui eppure così diverso.
Due occhi gelidi che mio fratello aveva solo quando facevo qualcosa di veramente sbagliato.
-qualcosa di più importante?-ironizzai facendo un tiro dalla sigaretta.
Mio padre fece per rispondere, ma venne interrotto da Marco.
-Nefertiti non oggi-
Mi prese per il braccio e mi strappò la sigaretta di mano gettandola a terra.
Voleva portarmi dentro e evitare di causare ancora più dolore in quel giorno alla mamma.
-Sua moglie non si è accorta della sua presenza- disse poi a mio padre come a sottintendere che se ne dovesse andare prima che mamma se ne potesse accorgere.
-Avevo dimenticato che si sarebbe tenuto oggi- disse semplicemente.
-dimenticato?-

Mi sciolsi dalla presa di Marco e mi parai davanti a mio padre.

-che tu possa crederci o no devo pensare a cose più importanti-
-hanno chiamato ieri sera i medici per avvertirci della sua morte e il funerale è stato organizzato in fretta- dissi - hai risposto tu al telefono-
Gli occhi glaciali e lo sguardo fisso sui miei.
Gli stessi occhi del mio Alessio incastonati nel suo cranio subivano un cambiamento atroce.
-é morto tuo figlio- sussurrai
-era malato- rispose
-la mamma sta male-
-lo so, ma si riprenderà col tempo- ribatté di nuovo.
-non te ne importa proprio nulla?- chiesi.

Marco dietro di me mi teneva per il braccio sinistro con il timore di una mia reazione improvvisa.
-Filippo la prego non é il caso- intervenne Marco.
Mio padre si fermò a guardarlo e poi guardò me.
-Nefertiti domani ti aspetto nel mio ufficio, dobbiamo discutere del tuo futuro-
Strinze la mano di Marco e successivamente se ne andò.
-sei un bastardo papà, dimostra che almeno un po' ci volevi bene, siamo sangue del tuo sangue come puoi fargli questo- urlai
Mio padre si voltò.
-siete sangue del mio sangue è vero, ma non posso permettermi di approvare due figli che si arrendono-

Si allontanò senza nemmeno salutare per l'ultima volta suo figlio.

-torna dentro- mi disse allora il ragazzo.
-non me la sento- risposi.
Ero incredibilmente stanca, l'unica cosa che in quel momento volevo era che quel groppo alla gola sparisse.
Marco annuì, feci per sedermi e sentì i suoi passi sui gradoni della chiesa.
-non ci dare peso-
Mi poggiò una mano sulla spalla e il tono della sua voce si addolcì.
-entra in chiesa e di che non mi sento bene- gli risposi.
-Nefertiti ti prego- iniziò.
-sparisci dalla mia vista-
Lo sentì sospirare e quando fui certa che ormai fosse entrato in chiesa mi accesi un'altra sigaretta.

Come poteva essere morto...

Vita ordinaria di una ragazza senza nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora