NELL'ATTESA DI SBOCCIARE

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La casa era così silenziosa.

In ogni angolo mi giravo avevo la strana percezione di mancanza, non so descriverla bene questa sensazione, era come se in ogni stupidissimo gesto o oggetto percepissi un senso di incompletezza che generava malessere in ogni mio pensiero.
Vivere lì stava diventando tossico per me, era come se ogni giorno mi avvelenassi di ricordi, ma non potevo andarmene, non volevo andarmene, non me ne sarei andata!

''Masochista''

Nel corso dei mesi precedenti alla scomparsa di Alessio ritenevo la mancanza di mio fratello come una benedizione, averlo tra i piedi voleva dire solo caos.
Quando tornava a casa aveva la brutta abitudine di mettere qualsiasi cosa gli passasse tra le mani a soqquadro.
Odiava l'ordine, diceva che avere tutto in ordine non rispecchiasse ciò che era e di conseguenza si sentiva improduttivo, la verità era che semplicemente non aveva voglia di riordinare.
La sottoscritta si prodiga per sistemare con maniacale accuratezza e lui con maniacale accuratezza si occupava di mandare all'aria il mio lavoro.

Adesso però mi guardavo intorno e vedevo solo vuoto.

Il giorno dopo la sua morte ho chiuso a chiave la camera dove lui si rintanava per scrivere.
Vedere il prodotto della sua fantasia mi stringeva il cuore in una morsa dolorosa e rileggere le sue parole mi faceva scoppiare a piangere ogni volta.

Era incredibile come l'apparenza potesse ingannare.

Alessio era alto un metro e novanta, aveva delle spalle larghe e un fisico atletico, passava la maggior parte del suo tempo libero a giocare a basket e per quanto mi costi dargli meriti ogni cosa che faceva gli riusciva dannatamente bene, era il primo in ogni cosa facesse, ma la sua più grande passione era la scrittura.
Ricordo che tutte le sere si ritrovava in un campetto vicino casa per giocare a basket con dei ragazzini.
Verso le undici di sera tornava a casa zuppo di sudore, si faceva una doccia veloce, indossava la sua tuta arancione, legava i suoi capelli biondi in una mezzacoda e inforcava gli occhiali da vista per poi rinchiudersi nella sua stanza dei pensieri spesso fino alla mattina seguente.
Ricordo che delle volte passavo la serata a fargli compagnia mentre lui scriveva o studiava io mi appollaiavo sulla poltroncina e studiavo.
L'averlo vicino era la mia forza.
Capitava spesso poi che mi addormentassi su quella poltrona, ma la mattina mi risvegliavo sempre sul mio letto e accanto avevo sempre il peluche di pezza che lui mi aveva regalato quando avevo quattro anni.
Ogni mattina, ogni dannata mattina, io mi svegliavo prima di lui e andavo nella sua stanza per costringerlo ad alzarsi per andare in università.
Ricordo che lui sbuffava quando lo infastidivo chiamandolo darling, ma si alzava comunque, mi scompiglia i capelli poi mi caricava in spalla e mi portava in cucina.
Tutte le mattine preparava il caffè per me e successivamente mi posava davanti un pacco di biscotti e mi chiedeva di raccontargli cosa avessi fatto il giorno prima mentre lui si fumava una sigaretta.

Mi mancava così tanto...

La mattina dell'incidente ricordo che non ci fu bisogno di chiamarlo per farlo alzare, era in cucina e stava preparando la colazione, non si lamentò quando lo chiamai darling e anzi mi disse che se un giorno non avesse più potuto sentire la mia voce sarebbe stato peggio di morire.
Mentre sorseggianvo il caffè non si accese la sigaretta e non parlò fino a che io non finì la mia colazione...
-Sai mostriciattolo, averti nella mia vita è un sollievo-
Si sedette sulla sedia e prese un biscotto dal grande pacco di gocciole, il pacchetto di sigarette era vuoto sul tavolo e lui prese a sgranocchiare la gocciola con fare annoiato.
Lo guardai storto e continuai a sorseggiare il caffè.
-sono grato di avere questo bel rapporto con te-

Quegli occhi, quegli occhi non me la raccontavano giusta...
Lo sguardo di un condannato, lo sguardo di una persona rassegnata a perdere.

-Darling- sussurrai.
Lo guardai bene in volto e notai i suoi occhi azzurri cerchiati da due occhiaie scure.
-non mi dispiace poi così tanto quel soprannome- sorrise - ti ricordi quando eri piccola e senza gli incisivi, nel tentativo di parlare emettevi dei fischi?-
Ridacchiai divertita.
-certo che lo ricordo, mi prendevi per i fondelli tutti i giorni e io in tutta risposta ti tirai un pugno-
-giá, ci siamo messi a piangere tutti e due quella volta, tu per il dolore alla mano e io per il dolore al naso. A sette anni eri una bestia!- gli tirai un pugnetto sulla spalla ma non lo spostai di un millimetro.
-non girarci intorno darling- dissi -funziona con gli altri, ma io ti conosco fin troppo bene-
Il sorriso gli morì sulle labbra, sospirò e si legò i capelli in una coda con l'elastico che aveva al polso.
Lo sguardo di rimprovero che conoscevo bene gli si formò sul volto.
-dove eri ieri sera?-
La voce aveva cambiato tono, adesso era molto più profonda e soprattutto fredda.
Posai la tazza del caffè sul tavolo e non risposi.
-smettila- sussurrò, mi guardò negli occhi e vidi distintamente la rabbia percorrere i suoi.
-di fare cosa?- chiesi.
-Nefertiti, non prendermi in giro-
-non so a cosa ti riferisci- sospirai.
-credi che sia cretino?-
-no- risposi.
-allora dimmi dov'eri ieri sera-
Lo sapeva eppure voleva glielo dicessi.
-Marco- sussurrai.
Alessio assunse un'espressione strana.
-lui ti ama- mi rispose.
-lo so benissimo-
-e tu Nefertiti, credi sia giusto giocarci?- mi chiese.
-non farmi la predica- sibilai-Maria è incinta di te, hai tradito la tua ragazza e il tuo migliore amico-
-ci sei andata a letto?-
-no-
-Nefertiti non mentirmi- sussurrò.
Era deluso.
-no, non ha ceduto, anche se pende dalle mie labbra rispetta Maria- urlai.
-ti rendi conto della frase che hai appena detto- urlò di rimando
-cosa c'è di sbagliato, lui mi ama-
-tu no, tu vuoi solo giocare, a te di lui non importa nulla, gli vuoi solo rovinare la vita- si alzò in piedi e sbatté le mani sul tavolo, io ebbi un sussulto.
-sto cercando di inseguire la felicità-
-cazzate, io non sono Marco, lo so benissimo cosa stai cercando Nefertiti, tu vuoi la tua rivincita-
-perché mi stai trattando come la cattiva- esclamai.

Ero in procinto di piangere.

-perché tu ti diverti a rovinare gli altri, tutte le cose belle che hai fatto per lui erano per un fine, ti stai approfittando del suo dolore, vuoi solo che ti faccia divertire, tu non concepisci un no.
Sei una narcisista, manchi di empatia e vuoi essere solo al centro dei suoi pensieri nonostante di lui ti freghi meno di zero, le persone non sono dei giocattoli- spalancai gli occhi attonita.
-sei cattivo-

Alessio rise.

-insegui un sogno disperato, vuoi essere ciò che non sei e non sarai mai, ti mostri agli altri in un modo che non ti rappresenta, c'è un abbisso tra ciò che sei e quello che mostri.
Il malessere che senti te lo provoca questo, hai paura che un giorno ti scoprano, hai paura che un giorno ti tolgano la maschera, ogni tua parola nei suoi confronti è menzogna, ogni tuo sorriso una mera smorfia ed ogni tuo gesto falsità-
-questo potevi risparmiartelo- sussurrai, le lacrime premevano per uscire, mi alzai in piedi e feci per andarmene.
Alessio non tentò di fermarmi.
Mio fratello se ne stava ora appoggiato al bancone della cucina, era deluso e arrabbiato, le braccia conserte e la postura rigida.

Quel peso al cuore.
Ogni giorno senza di lui è come quel giorno in cui percepì una crepa in me.
-Darling- sussurrai solo questo voltandomi nella sua direzione, lui non si scompone, una volta che aveva preso posizione non lo faceva mai.
-Darling- sussurrai di nuovo, era come avere davanti un muro.
Le lacrime erano aumentate, ma lui non si scompose.
-se non sai metterti un freno da sola lo farò io, a costo di farti terra bruciata intorno-
-Alessio, ti prego- sussurrai, le lacrime mi offuscavano la vista.
-non stai piangendo perché sei pentita, stai piangendo perché voglio fermare il tuo gioco- ribatté.
Mi avvicinai a lui e mi aggrappati alla sua maglia.
-non fare la vittima, ti riesce dannatamente male- il suo sguardo non si ammorbidiva.
Lo abbracciai aspettando ricambiasse, lo fece, mi asciugò anche le lacrime, poi si abbassò alla mia altezza e mi guardò negli occhi.
-adesso basta, non fingere-
La rabbia prese possesso di me.
-non sto fingendo-
-quelle lacrime non mi smuoveranno, fammi vedere cosa provi davvero- disse.
-lo odio- sbraitai.
-perché vuoi distrugerlo-
-per colpa sua sono diventata debole, per colpa sua sono rimasta incinta, per colpa sua sono stata delusa, per colpa sua mi sono addossata le sue colpe, per colpa sua Riccardo é morto tra le mie braccia-
-quindi, sei così infantile da non riuscire ad andare avanti?- chiese, la sua domanda era per puro scherno.
-non avrò pace finché non soffrirà la metá di come ho sofferto io, lui pagherà per primo e Serena sarà la prossima-
Mi colse di sorpresa con un lungo abbraccio.
-farò in modo di costringerti a non farlo, sono tuo fratello ma anche il tuo più grande nemico, cosa tu distruggerai io ricostruiró, non importa quando ci vorrà ti spingeró ad aprire gli occhi-

Uno...
I ricordi iniziano a dissipare.

Due...
Il suo volto scompare.

Tre...
Il freddo del pomello della porta e lo stridio del legno...

Quattro...
Un passo dentro la stanza.

Cinque...
Accendere la luce.

Sei...
La parete bianca con una scritta in viola.

"E finalmente uscimmo a riveder le stelle"

Era la calligrafia di Maria...

Sul tavolo un foglio spiegazzato che doveva aver portato dopo aver fatto la scritta sul muro.
"Terzo cassetto della scrivania, sopra c'è scritto il tuo nome, è per te, racconta di te.
Nell'attesa che tu possa sbocciare, ti voglio bene mostriciattolo.
Tuo Darling"

Vita ordinaria di una ragazza senza nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora