26.10.2019- Abbracci

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Ricordo ancora il giorno in cui ti presentasti sotto casa mia con gli occhi lucidi e il labbro inferiore che tremava.
Purtroppo quella mattina mio padre non era andato a lavoro e quando ti vide dalla finestra ad aspettarmi, il suo sguardo si fece furente per la rabbia.
"Se ne deve andare via", furono le fredde parole che mi rivolse e che mi fecero gelare il sangue nelle vene. Lo pregai di permettermi di scendere solo per sapere il motivo della tua visita. Il suo duro rifiuto non ammise repliche e mentre lui rientrava in cucina, buttai uno sguardo fuori dalla finestra. I tuoi occhi incontrarono i miei: tante lacrime trattenute ecco cosa vidi in quei due pozzi che tanto amavo. Quella vista innescò in me un qualcosa che mi portò a salire al piano superiore, ad uscire dalla finestra della mia camera, a scendere lungo il melo che faceva ombra alla casa, a ferirmi le gambe nude con dei rametti e a correre con la tua mano nella mia per minuti interi. Ci infilammo nello spazio che separava due case e cercammo di riprendere fiato dopo la corsa. Ancora con l'affanno presi il tuo viso tra le mani e scrutai i tuoi occhi liquidi per le lacrime. "Vieni qui piccola e se ne senti il bisogno piangi", sussurrai prima di chiuderti in uno di quegli abbracci pronti ad accogliere dolore e regalare forza.
"S-sono cinque anni che lui...non c'è più, m-mi manca...aveva s-solo 7 anni cazzo, perché lui, perché, era così p-piccolo e buono...non lo meritava", piangemmo l'una tra le braccia dell'altra e capii che delle volte, il dolore prima di essere curato va condiviso.

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